venerdì 28 maggio 2010

Haram

CONAD il barbaro

Conad il barbaro contempla il Regno dei Finocchi;
Coop, la regina, gli passa lo spadone; è il momento di darci un taglio: è giunto la maturità, ed è tempo.
Il tempo delle pere.
Basta seghe mentali, che le manine bisogna ancora farle andare, ma per travagliare: solo...il lavoro rende liberi.
Conad il barbaro si rivolge alla sua dolce metà:
- «Da subito voglio una raccolta differenziata; che si guardi al bollino: la stella gialla e in numero tatuato sia marchio d'infamia e rifiuto.»
Coop osserva il villoso Conad, il gonfiarsi dei pettorali, l'eleganza del movimento di bicipiti e addominali, in un tremolare di muscolari scultorei: è cominciato il giorno dei tricipidi.
- «All'arrivo dei carri, tutto sia avviato ai forni!»
Ahi, ahi, ahi, pensa Coop: l'argomento si fa...spinato.
In quel mentre, Jude, l'ortolano arriva a palazzo, per la quotidiana fornitura di verdurine, per la mensa.
Conad lo vede, ed avanza minaccioso, lo sovrasta e ringhia:
- «Jude, maledetto tè! Da oggi basta minestrina: solo carne!»
Così dicendo, comincia a palpeggiarlo.
- «Caspita, non mi ero accorto che eri così burroso e tenero. Sembri un porcellino...aspetta, butta il resto, ma lascia la mela. Coop, portami lo spiedo!»
Da allora, di Jude non si seppe più nulla;
solo, cambiò l'arredamento nelle stanze di Conad.
Un nuovo paralume, con la lampadina avvolta in una trasparente pellicola di pelle;
una smagliante dentiera, con parecchi denti d'oro;
un generoso parrucchino, con folta capigliatura;
un nuovo sapone idratante, per il bagnetto, occhialini con la montatura d'oro, un anello con due triangolini incastonati, a formare una bella stella azzurra su sfondo bianco, ricca dote di vestiario, posateria e suppellettili varie e la seconda casa, dal cui ingresso fece scalpellare subito il nome del vecchio proprietario.
"Proprio vero, che del porco non si butta nulla!", pensò, sogghignando soddisfatto.
- «Al Fatah non si comanda!» proclamò solennemente.
- «Ehm, tesoro», corregge Coop «si dice: al fato non si comanda.»
Conad ribatte arcigno:
- «Donna, quello volevo dire: c'è chi nasce lupo e c'è l'agnello, e il destino loro è di vello e non di pelo!»
Coop annuisce:
- «E già. E poi, mi ero proprio stancata del brodetto e del riso e bisi, con i piselli.»
"Basta Jude e la sua verdura: boicottiamo i prodotti israeliani!", proclamano gli araldi e portano scritto i manifesti, sparsi per il reame.
Conad il barbaro passa tra gli scaffali delle sue botteghe, nei campi e nelle fabbriche, dove s'incrocia la falce con il martello, e poi, vicino alla gran quercia, dove conobbe il suo amore;
ancora scolpito nel legno, il legame alla sposa:

Conad...Hamas Coop.


Io, secondo me...26.05.2010

boiCOOP Israel

lunedì 24 maggio 2010

ROMdagi

- «VOGLIO! VOGLIO! VOGLIO!»

Il racconto dell'erba voglio si perde nella notte dei tempi e si ripresenta con tante varianti, ma con una sola morale:
neppure un re, per maestà e potere, può avere tutto.

"[...] strillava senza posa / voglio l'oro sul vestito / voglio un piatto prelibato / voglio lo zucchero filato / voglio un letto a baldacchino / voglio un anello col rubino / le scarpe rosse e un nuovo cappello / voglio questo, voglio quello".

Il medico di corte subito arrivò e, al vedere la malattia crescere e peggiorare, il dotto sentenziò:
«Io rimedio, ahimè, non ho; forse un'erba molto rara la potrebbe far guarire: presto, andatela a cercare!»
Così furono piantate, nel giardino del castello, erbe strane, d'ogni specie.
Passarono i mesi, cambiò la stagione;
- «Voglio questo, voglio quello!», ma non arrivò la guarigione e non crebbe l'erba voglio, perché quella, non cresce neppure nel giardino del re.

- «Non ce ne andremo senza una casa e un lavoro!»

Licenziati, che presidiano il posto di lavoro, sul tetto della fabbrica?
Disoccupati, che chiedono di poter sopravvivere?
Sfrattati, che chiedono di avere un'altra possibilità di riscatto?
No,
Rom.
Ore tocca a Milano, con quelli di via Triboniano ma, se il colpo gli riuscisse, presto a macchia d'olio, nel resto della penisola;
pure quelli alla finestra d'ogni baraccopoli sarebbero ad imitare i fortunati, che trovassero tanti fessi;
e ancora: i parenti lontani, che accorrerebbero a sciami, come le cavallette, nella terra del bengodi.
- «Compagni, amici, parenti, venite nel paese del Tafazzi: personaggio comico, famoso per il suo saltellare e prendesi energicamente a bottigliate sui genitali, traendone enorme goduria e piacere; venite, che i coglioni glieli rompiamo noi!»
Già un primo abboccamento era pervenuto alla fonte, che tanti di quelli hanno lasciato le inospitali terre d'origine - dove erano presi a pedate e lasciati a macero nel loro prodotto - per trovare nuova cuccia, dove lo strillo non porta più a bastonate e calci nel deretano.
- «Eccoti dimora, luce, acqua e gas: Firma questo documento, un patto di legalità, dove t'impegni al rispetto delle nostre leggi.»
Scherziamo?
- «Atto razzista! La firma è costrizione, sotto minaccia di sgombero!»
E già; pensa tè: tanto è la prevaricazione del "voglio", che neppure vale un avaro "offro".
Il manganello del Tafazzi continua a colpire:
"Bisogna individuare soluzioni abitative alternative ai campi", dice l'esercito dei masochisti;
"Si devono destinare fondi per garantire lavori di ristrutturazione delle abitazioni e per istituire corsi di formazione e di avviamento al lavoro", continuano i "flagellati".
Ho visto pensionati e povera gente arrivare a mercato finito, a raccogliere gli avanzi di frutta e ortaggi, quelle parti che schizzinosi lasciano al banchetto perché "non si presentano bene", con quel leggero tocco, mancanza di lustro o a dar sensazione di rachitico.
Gli scarti della tavola di Crapulone, le briciole dell'abbondanza, per la ciotola del cane.
Sempre più vedo di casa mia, gente che si mette in coda alla mensa dei poveri, vergognosa perché si fa carico di non avere più un posto di lavoro, quasi che la colpa fosse loro;
e vecchi, nelle case popolari, che hanno paura ad uscire di porta e, peggio, andare all'ospedale per le cure, nella paura di trovarsi l'appartamento occupato e le poche cose saccheggiate o gettate;
vedo la mano tesa di Celestina, una donna dai capelli grigi, che trovo spesso nel mio vagabondare per Milano: ormai mi conosce dai tanti incontri, e mi ha raccontato tanto della sua vita tribolata, del come è scacciata dai posti migliori dove chiedere elemosina, da quelli che difendono i guadagni della pietà con il coltello: quelli che ho visto di persona uscire dal refettorio dei frati Cappuccini, di via Piave, a Milano, che imbracciano le stampelle subito svoltato l'angolo, dopo aver galoppato agilmente nell'attraversare il semaforo rosso.
Fauna d'importazione, che ha soppiantato l'autoctona, più debole.
Anche la povertà - e la finta - può portare denari, se ben recitata, che l'italiano è buono e sciocco nello stesso tempo, quando si muove in fretta segue monotono percorso - lineare e tracciato, come quello delle formiche - gettando sguardo distratto su quel che lo circonda, accecato dalla sua fretta di correre chissà dove, senza avere tempo per riflettere e far decantare le cose della vita.
Uno che ti allunga la mano frena lo slancio, e subito sganci l'obolo perché si scansi, e Celestina mia non ha buon gioco, che quella dignità che mantiene non le fa gioco d'insistenza e mal si vede, nell'angolino, all'ombra.
La selezione della specie, ancora di più agisce, e il nuovo che avanza è can ROMdagio, e mi si perdoni il disprezzo, che non provo pietà per chi arriva in casa d'altri e grida «VOGLIO! VOGLIO! VOGLIO!» e minaccia «Case e soldi. O la guerra!»
E ben intendano quelli che pronti, leggendo del mio, gridassero al razzismo, che ben sappiamo di chi stiamo parlando, e che non cerchino di trovare mosca bianca, per far credere che come quella sono i compagni di merende!

Almeno una, una sola parola, magica, carezzevole, amichevole, pacifica, rispettosa, gradirebbe sentire, il padrone di casa, come pur insegna l'educazione, ai bambini:

- «...PER FAVORE!», che per troppi voglio, la testa l'hanno persa pure i re.

E se scontento o disillusione monta, se ne tornino: la strada da cui sono venuti ben conoscono, a ritrovar sapori e il nodoso legno delle loro piante.


Io, secondo me...24.05.2010

ROMercato globale

giovedì 20 maggio 2010

Monsignor Hilarion Capuccibollah

Sincretinismo

- «Radere al suolo tutti gli edifici brutti, grattacieli compresi [...] si mettono tante mine e tutto crolla giù!»

'azzarola: Bin Laden a Milano?
No.
Peggio: Adriano Celentano, che palleggia e si pavoneggia all'idea di candidarsi sindaco della metropoli.
Tolto quel che sa fare bene, il "molleggiato" dimostra i propri limiti quando esce dalla riserva, dove la natura gli ha ritagliato il giusto abito entro cui stare, senza scucire.
Ogni tentativo del nostro eroe di applicare forme di sincretismo, ovvero, fondere insieme due o più dottrine diverse, arriva per lui a formare una nuova forma d'evoluzione, che si chiama "Sincretinismo", a dimostrare l'esattezza di quella teoria chiamata del "Massimo cretino": un passo indietro, sei all'apogeo delle tue potenzialità e capacità, capace di rendere e dare il meglio di cui la natura ti ha fatto dono;
un gradino sopra, sei al massimo, ma da cretino, ad occupare una nicchia che evolutiva che non ti compete.
Come se un leone tentasse di brucare e la pecora di azzannare.
Adriano è un bravissimo cantante, un passabile attore, un uomo di e per lo spettacolo.
Punto.
La dote che madre natura gli ha fornito gli permette solo questo matrimonio, e non oltre.
Nulla di male il provare ad alzare l'asticella, ma dopo alcuni salti falliti, si deve arrivare ad un compromesso, aggiungendo alla pila nel cassetto un altro sogno, senza per questo smettere di sperare, ma non atteggiandosi a messia per riempirsi d'aria e credersi un gigante, quando solo si formerebbe petto di tacchino.
Certo è difficile, in una società dove lo smalto copre la ruggine e, un bel vestito, un manichino, dove non importa quel che si dice ma come, preferendo il "Chi vusa pusè la vaca l'è sua", chi urla di più si porta via la bestia, dove se dici la stessa cosa al bar Sport piuttosto che in televisione, la scemata diventa voce di Profeta.
Ma è ora di finirla nel cercare di estrarre sangue dalle rape e latte dalle mosche;
artisti, attori e gente di spettacolo hanno anche dimostrato d'essere passabili, onesti o buoni politici, oppure eccellere in altri campi, come Giorgio Faletti che da Vito Catozzo - improbabile e comica guardia giurata della "Spazialpol", nello spettacolo televisivo Drive In - è passato a scrittore di romanzi di successo;
questi però erano - e sono - persone in prestito al mondo dei lustrini e paillettes: come per le scatole cinesi, l'arte del palcoscenico loro spesso nascondeva un altro contenitore, con diversi doni, doti e dotazioni.
Adriano no; tanto è, tanto ha e quello rimane: tutto l'aggiunto è fuffa, cascame, scarto e scoria.
La testa è più leggera e piena d'aria di un palloncino che diventa ostaggio del vento.
Il mondo che disegna e vorrebbe neppure esiste nella cranioteca di un tossico, dopo una pera abbondante.
"[...] radere al suolo tutti gli edifici brutti, grattacieli compresi; si mettono tante mine e tutto crolla giù".
Facile, no?
Ricominciamo da "Ground zero" e, perché no, dall'uomo "buon selvaggio" di Jean-Jacques Rousseau, "animale" tenerone e pacifico, solo poi corrotto dalla società e dal progresso.
No alla "caverna verticale", sì all'orizzontale, a distendere il grattacielo in terra, con i suoi tanti cubicoli, sparsi e circondati da macchie di verde;
il lupo che s'accovaccia con la pecora e tutti che vivono di fotosintesi clorofilliana, di bacche e radici.
Commovente: così tanto che vorrei conoscere il suo pusher!
Qualcuno, mosso a pietà per il "Re degli ignoranti", prova a sdrammatizzare:
- «Celentano è sempre così, in bilico tra la provocazione, la presa in giro e la serietà.»
No: a furia di lasciarlo ragliare, ogni asino si convince d'essere la sua lingua universale, valida "Urbi et Orbi", per la città e il mondo.
Diagnosi: Milano "è una città senza volto";
la cura: lui, il piccone e la mina, il chirurgo plastico e la medicina...o la purga.
- «Celentano sindaco!» urla un fossile, che ha sbattuto contro il muro di Berlino, il falcemartelluto Mario Capanna.
Adry gigioneggia, fa la ruota, gonfia i pettorali, finge che no, ma se devo, per il bene del popolo:
- «[...] non vorrei fare il sindaco [...] credo che durerei poco, ma la coscienza...questa voce...è talmente elevata e forte che dovrei piegarmi alla richiesta.»
Nel 2011 potrebbe scendere in campo - piegato - per la poltrona da sindaco di Milano.
Ha già idea di chi potrebbe affiancarlo nella guida della città: Capanna vicesindaco;
ma tè, ma va là: che combinazione!
Claudia Mori assessore.
E magari il suo gatto come consigliere, il cane come capo della sicurezza, il canarino alla salute e il pappagallo alla geriatria, ospizi e ospedali.
- «Per appassionare la gente ad un progetto si potrebbe buttare giù Milano: la gente si divertirebbe a distruggerla; ricostruire le città ad uso dell'uomo e non viceversa, rifare le cose da capo!»
Beh, nella noia di tutti i giorni, quando non c'è un cazzo da fare e pensare, qualche colpo di mazza ci starebbe.
- «Dobbiamo riscrivere la lettera della storia perché il mondo è una lettera e ci sono segni che ci mettono paura come il vulcano che offusca il cielo, il petrolio che rovina il mare e allora come si va avanti così?».
Ah, il caro, dolce, tenero, romantico, animalesco "buon selvaggio": quelli sì, erano bei tempi, del beota e della beata ignoranza;
un cuore e una caverna per noi: una poltrona e una...Capanna per il Celentano.

Signore, Padre Nostro che sei nei cieli, in terra e in ogni dove, ti prego, ti scongiuro, mi prostro e ti adoro, esaudisci l'ultimo desiderio: dovesse essere eletto, dovesse trionfare in Sincretinismo Celentano-Capanna-Mori, dovesse mai regnare, il "Re degli ignoranti", fa che abbiano ragione i Maya e che, nel 2012, arrivi la fine del mondo.

Grazie.


Io, secondo me...17.05.2010

Matrimoni felici

Ground 15

- «Se la và... la g'ha i gamb!»

Se và, ha le gambe, dice un vecchio proverbio meneghino;
nell'incertezza, si prova: mal che vada, si resta al palo, ma se funziona...Eureka!

- «Mettiamoci una pietra sopra», sembra voler dire il Feisal Abdul Rauf, imam, progettista e ideatore della pensata;
- «Chi ha avuto avuto avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce 'o passato, simmo a New York paisà!»
Beh, forse lo ha detto in arabo, ma la sostanza è quella.
- «Di quel che c'è rimasto sotto, pace; ora pensiamo al sopra: una bella moschea di 15 piani!»
Nell'area dove c'erano le Torri Gemelle, dalla mezzaluna si vuol toccare la luna, dal dito un braccio e da lì l'intero corpo anzi, lotto, inteso come appezzamento o area su cui edificare un nuovo simbolo.
E già, perché quello sarebbe, se qualche mentecatto dovesse abboccare all'amo.
Spesso la forma è sintesi di sostanza, essa stessa a diventarlo;
come un addensante, un nucleo attrattore, un coagulante, un marcatore di territorio, affermazione di forza e possesso.
Dopo l'attentato e il crollo del simbolo occidentale, da Dar al-Charb, "Casa della Guerra", si passerebbe finalmente alla pace; anzi, alla "Casa della Pace", Dar es Salaam.
No, peggio: diverrebbe Dar al-Islam, "Casa dell'Islam", territorio sottoposto alla sharia, cioè al diritto islamico, consacrato e acquisito per l'eternità.
Oltre che alla più grossolana presa per il culo dell'intera storia dell'umanità!!
Vengo, ti ammazzo e edifico.
Certo che Feisal Abdul Rauf ha detto che "New York è la capitale del mondo e questo luogo, vicino a quello dell'11 settembre, è così SIMBOLICO", ma la figura che immagina lui sarebbe una figuraccia per gli americani.
Come se, tornando a casa, trovassi sul campanello il nome di un altro.
Se i grulli dovessero prevalere, da Grande Mela, si passerebbe a Grande Patata, per definire New York, il suo sindaco Michael Bloomberg e le tante autorità cittadine ad essere tuberi, qualora ingoiassero esca, amo e filo.
"Le autorità sono favorevoli al progetto, in segno di rispetto della libertà religiosa e d'espressione", sarebbe la prima reazione, dopo che le acque sono state pasturate per richiamare i pesciotti.
Daisy Khan, direttrice dell'American Society for Muslim Advancement:
"Contribuirà ad amplificare la voce silenziosa della maggioranza dei musulmani, che non hanno nulla a che fare con le ideologie estremiste", ribatte questa campana, il cui rintocco si avvicina più a quello da morto che da festa.
Gìà "amplificare" e "voce silenziosa" è un bisticcio, anche se nascosto sotto la voce "ossimoro", ovvero frutto di termini in conflitto, in antitesi e incompatibili: non vedo una crosta, una pelle refrattaria al terrorismo;
direi attendismo, senza rivolta culturale, simbolica e sostanziale allo stato d'aggressione di Al Qaeda & Co.
Una forma psicologica somigliante alla "Sindrome di Stoccolma", che predispone la vittima a simpatizzare per il carnefice, avvio al martirio, qualora il "richiamo della foresta" si facesse più forte.
La brace che cova sotto la cenere, la prova del fuoco è stata con gli attentati di Londra, dove addirittura i "dormienti" appartenevano alla terza generazione di trapiantati, spesso terroristi fai-da-te, nati dallo spirito d'ammirazione ed emulazione.
Altri e in altri luoghi hanno seguito questa linea, reattivi come quei semi che, coperti dalla terra, sono lo stesso pronti a germogliare, alle prime piogge.
Un cane non è più lupo, ma quando sente latrare, pure lui si ricorda, riscopre e riprende l'antico retaggio, il pelo e il vizio.
Se da Ground zero si passasse alla moschea a piani, a "Ground 15", sarebbe come la croce nel cielo, per Costantino, con sotto la scritta "In hoc signo vinces", con questo segno vincerai!
Tanti "muslim", ancora incerti, dubbiosi, indifferenti o neutri, sarebbero irrorati dalla goccia nel deserto, e fiorirebbe la volontà di rispondere a quel "richiamo della foresta" che infiammò tanti loro avi, ai bei tempi, quando spadroneggiavano in lungo e in largo: altro che i Crociati!
Quel paletto nel cuore della Grande Mela assurgerebbe a segno divino, a consacrazione, a benedizione dell'eterno, per la propria prole, prediletta, eletta e avviata a sottomettere le genti, i "Kafir", gli infedeli, notoriamente esseri inferiori, destinati ad essere servi, quando non schiavi.

Ground 15...se la và... la g'ha i gamb!

Io, secondo me...12.05.2010

lunedì 10 maggio 2010

Red style

- «Cris, vieni, c'è un documentario sugli animali. Guarda, proprio ora c'è un Babbuino che presenta le chiappe color porpora al rivale, che lo fronteggia!»
La mia dolce metà s'affaccia, studia le immagini e poi sbotta:
- «Beppe, guarda che non è un filmato sulla natura selvaggia, ma Ballarò, il programma di Giovanni Floris; quei pomelli rossi sono i guanciali congestionati del D'Alema, incazzato come una biscia!»
'azzarola, è vero!
A guardar meglio, quei peletti che sbucano sono proprio i baffini del compagno Max, anche se vibrano come corde di violino.
Bestia, è proprio al massimo del pompaggio, che la faccia sembra il petto del tacchino in amore.
- «Vai a farti fottere!!»
L'esclamazione crepita e scoppietta come un petardo...o un peto.
Sono proprio curioso di sapere con chi ce l'ha, a chi augura di subire quanto politicamente a lui.
Dalla trincea opposta appare la pelata lucida dell'Alex, l'Alessandro Sallusti, condirettore de "Il Giornale".
- «...bugiardo, mascalzone! Pagato per fare il difensore d'ufficio del governo!»
Ma che gli è capitato al Max, che sembra uno a cui gli hanno sostituito la carta igienica con quella abrasiva.
- «Le manderanno qualche signorina per ringraziarla del suo lavoro!»
Madonna, ma al "Tovarish" gli è proprio saltata la...mosca al naso, per parlare di soldi e fringe benefit ovvero, retribuzioni in natura, cioè concessione in uso ai dipendenti di beni aziendali, destinati ad uso promiscuo per esigenze di lavoro e private.
- «Io stasera non la faccio più parlare!»
Ah, finalmente qualcosa di famigliare: il "red style", l'anima rossa, l'urlo di guerra, che erompe dal profondo del gulag, più che dalla gola, il rimpianto per i bei tempi, quando c'era "Baffone" Stalin a purgare i riottosi.
Ma quello c'aveva la corazzata Potemkin, non la barchetta a vela.
"Addavenì Baffone!", urlava ai tempi delle barricate il nostro Massimo, salvo poi augurarsi che no, proprio male non si stava anche di qua, dove non brillava il sol dell'avvenire e, dalle pezze al culo arrivò alle scarpe di vacchetta.
La rivoluzione può attendere, pensava nel '95, entrando nella bella e spaziosa casona da 633mila lire al mese di canone, in via Musolino, a Trastevere.
Gli riuscì così l'impresa di aggiudicarsi l'ambito appartamento dell'Inpdap, l'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, usufruendo di una corsia di favore, che gli permise di scavalcare in graduatoria chi era prima di lui e ne aveva più diritto.
Il 3 settembre del 1995 compagni di merende lasciarono "distrattamente" la pratica del baffino nascosta fra le "varie", che era abitudine approvare senza prestarci tanta attenzione.
Alla faccia dei lavoratori e degli sfrattati sloggiati, oltre che dalla proprietà, pure dal "compagno" D'Alema che, all'occasione, si comportò come il bravo maiale Napoleon, promotore della rivolta contro l'uomo di cui - nel romanzo Animal Farm, La fattoria degli animali, del britannico George Orwell - prese il posto, per poi mantenere e vestirne autoritarismo, mentre gli altri animali, con lui alla rivolta, si trovarono solo cambio di padrone e forma, mai di sostanza.
Forse, qualche militante duro e crudo tentò pure di far notare che quella era una delle abitudini dei maledetti "nemici del poppolo", imperialisti e capitalisti, che affamavano e angariavano il proletariato, vivendo tra gli agi e privilegi, sottraendo ai poveri;
Napoleon però aveva provato che, se è vero che i soldi non danno la felicità, ancor peggio la miseria: meglio morire di indigestione che di fame.
Napoleonbaffino diventò così un pontificatore, un predicatore all'"armiamoci e partite", un moralizzatore al "fate quel che dico, non quel che faccio", un fustigatore, un "professorino", che passava tra i banchi degli asini e assestava le sue belle scudisciate sulle dita, commiserando in cuor suo quell'esistenza grama che lo aveva messo a dover avere a che fare con mandrie di cretini.
L'ultima delle serie lo ha fatto cozzare contro il Sallusti, che gli ha mostrato quanto poco avesse lui da mazzolare il prossimo, nello specifico, il Claudio Scajola ministro - dimissionario - per lo Sviluppo economico, preso con le dita nella marmellata - o con il sorcio in bocca, come si suol dire - per una faccenda di casa con affaccio sul Colosseo, pagata una bazzecola, visto la valenza di mercato;
si sospetta un "aiutino" di qualche amico, riconoscente per servigi resi...nel lasciare qualche pratica tra le "varie".
Baffino, sale in cattedra e prova il trombone, ma l'Alex lo placca, ricordandogli la persa verginità, che pure lui ha fatto il "ballo del mattone" e venticelli nel mulino della farina.
Apriti cielo: abituato a battezzare e non a subirne ha dato in escandescenza, partendo per la tangente.
- «Cris, vieni a vedere, che gli ritorna rosso!»


Io, secondo me...06.05.2010

Ahmassadbollah

Caravanserraglio

Quando li vedi, in Camera, pare quella da letto e non dove si riuniscono gli eletti, i rappresentanti del popolo italico;
chi è stravaccato che pare uno strofinaccio lasciato abbandonato, chi si scaccola la narice, chi apre il paginone del giornale per coprire la pagina doppia di Playboy - e te n'accorgi per la bava che cola - chi si appisola nelle pose più strane: dal classico mento sorretto dalla manina puntellata sul gomito alla testa affondata nelle pieghe delle braccia intrecciate, come una fragola adagiata nella panna;
quello che pendola a destra e manca e sembra cadere da un momento all'altro: dondola tanto che viene da chiedersi se, oltre alle ore, batte pure le mezz'ore e i quarti.
Meglio fa quello che si soffia il camino e poi resta assorto, a contemplare il cremoso muco, galleggiante all'interno del fazzoletto, quasi fosse manna dal cielo.
Lasciamo stare i "nonni" della Repubblica, mummie in perenne narcolessia, che non t'accorgi della differenza nemmeno da morti perché colore, forma e posa è identica, come dal vivo;
solo il gomito tra le costole li fa sobbalzare, quel tanto che basta a schiacciare il pulsantino per la votazione e poi ripiombare nel mondo del ronfo, del rantolo e del russo.
Quello più attivo ha un telefonino alla destra, uno a sinistra e l'altro appoggiato al banco: con chi accidenti parla, non si sa, ma certamente sono intrallazzi suoi.
Altri, come al mercato: sono a raccontarsela, passando tra il cardiopalma nel commentare la minigonna della nuova eletta al disquisire su donne, motori e calcio.
Unica fibrillazione, tra tanti soporiferi comportamenti, lo scampanellare del Presidente, che richiama, annuncia e riporta la mandria nel giusto sentiero, a voler dare almeno quel poco che si chiede loro, per poi lasciarli di nuovo a pascolo e rumine.
Qualche volta l'ambiente si arroventa, qualche scazzottata parte e rientra, naturale litigiosità pari a quella che si vede negli ospizi e nei gerontocomi, ma si perde subito nello sbadiglio del vecchio leone, che ruggisce per poi appisolarsi, contento e beato dell'aver sentito tanto baritonale borbottio.
Altro è quando ci si deve accordare per aumentarsi privilegi e stipendio, dove sembra che abbiano ingurgitato pasticche di Viagra o Cialis, come confetti ad un matrimonio.
Neppure un tossico, appena bucato e fatto, ha tanta procace reazione, quanto quelli al pensiero di riempir di più pancia e mangiatoia.
Ma anche alla mitica buvette, antro delle meraviglie dove si beve e mangia a prezzi più simbolici che stracciati, l'energia profusa lascia esterrefatti, se paragonata alla letargia del lavoro tra i banchi.
Questa è la vera fucina delle vulcaniche idee, dove si forgiano le interpellanze e le interrogazioni più sofferte e sentite, dove si covano moti rivoluzionari di un popolo, non affamato di pane, ma di gelato, come quando, a nome di un nutrito gruppo di parlamentari, il senatore Rocco Buttiglione e la senatrice Albertina Soliani, scrissero ai questori di Palazzo Madama una lettera, che merita di rimanere scolpita nella memoria:
"Ci rivolgiamo a voi con una richiesta di miglioramento della qualità della vita in Senato. La buvette non è provvista di gelati. Noi pensiamo che sarebbe utile che lo fosse e siamo certi di interpretare in questo il desiderio di molti; è possibile provvedere? Si tratterebbe di adeguare i servizi del Senato alle esigenze della normale vita quotidiana delle persone. In attesa di riscontro, porgiamo cordiali saluti".
Si era nel giugno del 2007, e non si poteva dire che noi, fuori dalle torri d'avorio, si navigasse nell'oro;
ma, tant'è: nella vita ci sono delle giuste esigenze e delle priorità, come per il gelato.
Sempre più mi riconosco in don Mariano Arena, il padrino, protagonista de "Il giorno della civetta", di Leonardo Sciascia:
- «L'umanità si divide in cinque categorie: gli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaraquaquà.»
Se è vero che gli ultimi saranno i primi, ebbene: per i nostri eroi, partiamo dal fondo e gli uomini, specie in estinzione.
Recenti fatiche dei nostri "onorevoli", la congiuntura...il passaggio dalle donne ai "transgender", ibridi tra uomo e donna, di cui portano o mancano d'innesti e si provano come al mercato, quando si aderisce alla formula "paghi uno, prendi due".
Beh, nulla da meravigliarsi, quando una campionatura tra i nostri delegati ne trovò una buona parte dedita alla canna, e non parliamo di quella da zucchero:
"Il garante per la Privacy ha deciso di bloccare il servizio delle «Iene» sul test antidroga effettuato su 50 deputati. Il servizio, che dimostrerebbe l'uso di sostanze stupefacenti da parte di un onorevole su tre, doveva andare in onda, Ma aveva scatenato una serie di polemiche".
Era all'incirca l'ottobre del 2006.
Dal gelato alle polverine, dalle stelle alle stalle.
L'ultima trovata di tanti Indiana Jones del perditempo, è il cercare di rimuovere un fastidioso problema:
quando le auto blu, che scarrozzano tanta aristocrazia, bruciano i semafori, ignorano i parcheggi riservati ai disabili, o quelli selvaggi, come tante regole stradali, non devono essere penalizzate;
il colore, il blu della carrozza, è come distintivo del sangue: la nobiltà non va confusa con i miserabili, con le classi e le caste inferiori.
Viaggiare a trecento all'ora sarà solo sanzionabile, da segnare sulla "patente di servizio", come una volta su quei quadernetti neri, dove la povera gente faceva segnare il debito dal droghiere, per poi saldare a date definite;
peccato che qui, l'esborso uscirà sempre dalle tasche di Pantalone, ovvero, le nostre, che andremo a pagare le minchionate dei nostri parassiti.
Ma di tanta vergogna, di tanti incapaci e inetti, siamo a portarne peso nell'ultima zuffa, che non vede incrociare lame per motivi di criminalità, di lavoro perso, di attività che vanno a gambe all'aria, di gente costretta alle mense dei poveri o sanità allo sfascio;
no, motivo di tanto prendersi a cazzotti è una misera, insignificante, banale, marginale e meschina partita a pallone:
Inter batte Lazio due a zero.
- «La Lazio l'ha fatto apposta, per non far vincere lo scudetto alla rivale, la Roma!»
Bestia, che notizia, che marasma, che terremoto politico, da far tremare le fondamenta dell'intera Repubblica.
Leggo, da "Libero", uno per tutti:
"A Montecitorio e dintorni, è stata una giornata frenetica. Deputati e senatori in fibrillazione, decine e decine di dichiarazioni alle agenzie di stampa, critiche, accuse, l'ombra cupa dello scandalo che si allunga e si impossessa del Palazzo, richiesta di indagini, persino un'interrogazione parlamentare".
In questo caravanserraglio della politica, a questi perdigiorno, ho solo da dire:
- «Già le balle le avete rotte a noi: non c'è bisogno che ne cerchiate altre, lazzaroni!»


Io, secondo me...04.05.2010

Centrifughe classe "A"