mercoledì 31 agosto 2011

per Davide Saraceni, con l'augurio di riprendersi al più presto


Scajlogna




Si chiamano o no “assegni circolari”?

«Circolare, circolare!» intima il vigile, quando ci si marmorizza in un posto troppo a lungo intralciando il normale tran tran.
Quindi desumo che l’etichetta stia ad indicare una necessaria funzione dinamica.
Non esistendo il moto perpetuo, le leggi della fisica impongono che, a tanto affanno, segua poi un periodo di riposo.
Anche per l’assegno circolare...o per ottanta.
Quando il sonno coglie, ogni materasso è buono, anche d’altri.
Sotto al suo, lo sfigato Claudio, lo Scajola s’è trovato quel gregge al pascolo, quasi più numeroso degli acari, che notoriamente tra quelle pieghe ci abitano abitualmente.

Che scalogna...anzi, che Scajlogna!

Poverino, c’è rimasto di una male...
Come la tizia della pubblicità del dentifricio, che si vede abbordare da uno che gli chiede se si è lavata i denti;
«Certo, come ogni mattina!» risponde con sicumera la passante.
Quello che deve essere discendente di san Tommaso, il discepolo diffidente, gli passa sulla dentiera un simil-contatore Geiger che, al passaggio, comincia a ticchettare impazzito.
Uno schermo panoramico consegna al pubblico ludibrio la panoramica di quella superficie, dove milioni di batteri ancora fanno festa, come bambini su uno scivolo.

Ecco, quelli del Claudio li hanno contati tutti: 900 mila euro!
Pare sia stato infettato, a sua insaputa, da un certo Diego Anemone.
Sempre così, quando si hanno rapporti non protetti.
Senza cappuccio sulla testa, quando grandina sono guai!

«Sono sereno. Sarà chiarita la mia estraneità!»

Roma, via Fagutale 2: duecento metri quadri con vista sul Colosseo.
«Costerebbe una cifra tanto ma, visto che è lei, Claudio, facciamo 610 mila euro!»

Non deve essere parso vero al “Claude”, d’aver gabbato Papa, in quel 6 luglio 2004.
Sicuramente si sarà sentito baciato dalla fortuna...Benedetto, ecco!
Papa...le sorelle Papa: che personcine squisite.

Tin...tin...tin...tin...alle sorelle Papa il registratore di cassa continuava a trillare gioioso;
da 610 mila a 700...800...900...1000...uno scampanellio che pareva di sentire le campane di un paese in festa.
Il campanaro si chiamava Zampolini, “sagrestano” di “Don” Diego Anemone.

Ottanta scampanellate della cassa: pacchi di qualche decina di migliaia di Eurini spalmati come la Nutella sulla fetta di pane.

Papa incassa 1,7 milioni di spiccioletti. Sicuramente avrà acceso un cero in san Pietro.

«Non ne sapevo nulla» risponde incazzato lo Scajola «tutto è stato fatto a mia insaputa!»

Ci credo: deve essere capitato come quando qualcuno carica il cellulare, comunicando per errore il numero di un altro, che si trova - incolpevole - sul groppone una inaspettata ma provvidenziale ricchezza.
Si può chiamare proprio una bella distrazione...di fondi.

Alzi la mano chi non vorrebbe avere tanta...Scajlogna!

Io, secondo me...30.08.2011

la maNcia su Roma


Falce e borsello




Dalla “docta ignorantia” di Socrate, con il suo “So di non sapere", alla “Io non sapevo, ma se c’ero, dormivo” del “Piergiggi”, il Bersani.
Il primo, piace pensare “Volle così testimoniare il dovere di obbedire alle leggi dello Stato, anche se ingiustamente applicate”...e giù, un bel beverone di cicuta!
Il secondo, coevo nostro, solo gli riuscisse, vorrebbe darla noi a bere: non la pozione venefica, forse, ma invocare alibi d’innocenza e candore in veste di beata ignoranza.
La volpe, che vorrebbe dare ad intendere sia il pollo il colpevole, che gli si è infilato in bocca mentre, nel sonno, stava sbadigliando.
Invero, più che volpe, il nostro pare il modello usato per “mizaru”, “kikazaru” e “iwazaru”, le tre scimmiette, guardiane simboliche del mausoleo dello Shogun Tokugawa Ieyasu a Nikko, che rappresentano l’omertoso per natura: non vedo, non sento e non parlo, sono a voler dire, coprendosi a turno gli occhi, le orecchie e la bocca.
Gigetto nostro, vecchio arnese, “aparatcnik“, grigio - anzi, rosso - funzionario di oscure botteghe, “non sapeva” ‘na beata fava, di quel che gli stava borbottando nel pancino.
Lucida testa di diamante di una classe di dinosauri, scampati alle più turbolente catastrofi politiche, giunti con stesse carcasse dalla notte dei tempi e di ere geologiche, è a farci credere che il tanto spirito di sopravvivenza - che li ha scampati persino da sconvolgimenti, che hanno portato ad estinzione altri meno attrezzati - non è bastato a far prevenzione, nel distinguere per tempo le uova di vipera da quelle di specie propria.
Il Filippo Penati gli è cresciuto in seno, senza che il mentore suo avesse mai sentito la puntura dei dentini veleniferi, che di serpe ne dava avviso.
Tenero giuggiolone.
Quasi che essere ignoranti sia preferibile a...compagni;
anzi, è peggio, perché genera sospetti, come andrò a dar seguito.
Persino il più sprovveduto parroco di paese s’accorgerebbe della cresta sulle elemosine, figuriamoci quando non spiccioli, ma milioni di Euro - e sull’unghia - sono a far sentire consistenza e profumo, saltellando da un compare di merende all’altro!
Lui, e tutte le incrostazioni di vecchia data, scampati, riciclati e panni rivoltati, che ancora appestano la politica italiana, sono come ai tempi di “mani pulite” e dell’apertura della fogna della “Prima Repubblica”: una testa che continua a negare di sapere quel che fa il corpo su cui poggia.
Vergini, il cui imene presenta assidui passaggi, come porta da Saloon di vecchio Far West.
Filippo, l’orsacchiotto di “Giggino”, faceva da scambio, come il deviatore dei binari, che smista i treni, in una direzione o nell’altra;
il giro di quattrini seguiva un filo rosso che, chi voleva far affari nella Milano del Filippo, allora sul trono, doveva sborsare, se voleva aggiudicarsi la torta.
Poi seguiva i binari, per scaricare alla stazione giusta e nutrire il feroce appetito di un apparato sempre più famelico, convinto pure d’essere immortale e intoccabile, visto le dimensioni e la sicumera della propria forza, dopo essere scampato pure ad una “purga”, che disgregò invece l’antagonista più temuto.
Come il tariffario delle puttane, che stava in bella vista, nei bordelli d’altri tempi, chi voleva fottere il prossimo sapeva quel da pagare per togliersi le voglie.
Esporre il menù non significa lavarsele, avere “mani pulite” e coscienza pure, solo per avere messo alla cassa una tenutaria a farne amministrazione.
Ora si vorrebbe liberarsi di quella, lasciando però il baraccone, per metterci altre marionette e teatrino, una volta passata la bufera.
Il Penati mostrò tanto di faccione suo, nella competizione per la poltrona: era "vento che cambia"!
Più che del PD, forse assomigliava alla...PDue.
Mica era un quaraquaquà qualunque, il Filippo;
e Milano, neppure una frazioncina alpina, dove faceva cassa solo il bar, il lattaio, il panettiere, l’alberghetto e l’offertorio della chiesetta.
Giravano “danee”, che parevano l’imbottitura dei paninazzi del Mc Donald's.
Vogliamo che un partitone, con tutti i suoi capoccioni e la perfetta organizzazione di scuola moscovita non sia stato all’altezza di scoprire la mano che gli “ravanava” e gli faceva trovare le saccocce piene?
E dovremmo dare a questi, un domani, gestire del nostro?

«LUI non sapeva, altrimenti...»

Questa frase l’ho sentita alcune volte, un quarto di secolo fa, da alcuni vecchi e nostalgici del “quando c’era lui, caro lei”: il Benito, riferendosi ai tanti gerarchi intrallazzatori e corrotti.
Era la coda di vecchi “fascistoni”, seppelliti dalla malinconia di un passato mai rinnegato, di una gioventù del Littorio sì, ma intrepida e piena d’energia;
prima della tumulazione anche fisica, queste erano le parole con cui - ci credessero o no - cercavano l’alibi per una vita spesa per il signor “M”.
Vedo che i colori cambiano, le casacche idem, la tessera anche, ma l’alibi dello gnorri, mai.

Spero ancora non dover dare ragione al vecchio Valerio Massimo che, secoli fa, ebbe a profetare:

« Lex est araneae tela, quia, si in eam inciderit quid debile, retinetur; grave autem pertransit tela rescissa.»

La legge è come una ragnatela: se vi cade qualcosa di leggero essa lo trattiene, mentre ciò che è pesante la rompe e scappa via.

Io, secondo me...29.08.2011

Luna di fiele


venerdì 26 agosto 2011

Falce e borsellino


Le bombe del bamba


Quartiere Pisapia


...e chi non la pensa come me

L'ipocrisia degli anti-Gheddafi...

…che otto anni fa esultavano per l’analoga fine di Saddam. I guerrafondai di ieri pacifisti di oggi, una delle marce indietro più risibili che abbia mai visto. I patti con la Libia furono uno schiaffo inimmaginabile a quei poveri cristi nostri connazionali che dal beduino si videro rapinare tutto. Alcuni finirono a fare i barboni sotto i ponti, alcuni si suicidarono. Interessa? No.
Nel 2008 ebbi modo di parlare con una italiana cacciata dalla Libia. Donna di centrodestra, in quel momento avrebbe cavato gli occhi al satrapo di Arcore, al traditore dei liberali, al cane di tutti i dittatori arabi (già lo denunciò Oriana Fallaci ne “La Rabbia e l’Orgoglio”.Patti con al Walid. Ma noi, fessi, abbiamo continuato a dargli il voto).
Dopo i baciamano, le lezioni di Corano, i “liberali” (liberali dove? Dove? A parole) che non vedevano l’ora di appendere Saddam proni dinanzi ad un uomo peggiore di Saddam, i millemila miliardi per danni coloniali, gli italiani cacciati trattati come patetici rompiscatole che non portano “danee”, non posso che provare una gioia feroce nel vedere quel criminale rovesciato dalla sua stessa gente, fuggito nella stessa maniera ignobile con la quale tentò la fuga Mussolini (da lui usato in maniera propagandistica per dire che gli italiani sono “tutti fascisti”).
Inostri politicanti possono essere definiti col medesimo termine spregiativo col quale Napoleone definì gli inglesi “Bottegai”. Altro che destra, altro che Prezzolini, Montanelli, Mishima, senso dell’onore… “bottegai”. Oggi imputano a Sarkozy le bombe, quando otto anni fa davano del pacifinto a Chirac e inneggiavano alle bombe americane. Quindi ci va un’aggiunta “bottegai ipocriti”. Otto anni fa i “pacifinti” erano amici del dittatore. E ora? Ci sono dittatori che vanno bene e altri che vanno meno bene (tra l’altro, Aisha Gheddafi difese Saddam come avvocato. Tra l’altro, il tanto esecrato Chavez resta, assieme ai berlusconiani, l’ultimo a difendere Gheddafi)?I dittatori meritano tutti la stessa fine. Certo,mi piacerebbe vedere anche i mandarini di Pechino o il nuovo Soviet di Mosca fare questa fine, purtroppo sono forti (anche se la fine di Gheddafi li indebolisce). Ma ora guardatela, la vostra realpolitik.
Gheddafi minacciava di islamizzare l’Europa, Saddam no. L’ipocrita massone “difensore delle radici cristiane” avrebbe tranquillamente eretto minareti a San Pietro in nome dei suoi “danèe”. Ha lasciato tranquillamente che catechizzasse delle ragazze che, essendo precarie (grazie per quello che avete fattoper i giovani, vecchi delinquenti), erano costrette per racimolare due lire, a “prostituirsi” al nuovo Maometto.
Ma il mio pensiero va sopreattutto a quegli italiani distrutti da Gheddafi, ignorati per ragioni economiche. Siete vendicati, alla faccia degli Agnelli con la evve moscia, dei bottegai di Arcore, degli antislamisti a intermittenza (cioé Hamas e gli immigrati sono bestie perché non hanno “danée”, Gheddafi va bene perché ha i “danèe”) e di tutti quegli gnomi che hanno fornicato con questo satrapo terrorista e col suo clan delinquenziale. Sarò pieno di odio. Sì, odio Gheddafi, e odio tutti coloro che gli hanno permesso di essere,per qualche anno,l’effettivo padrone del nostro Paese.

Andrea Sartori
24 agosto 2011

Le bombe del bamba



«Ehi, Cristina, mi porti i Popcorn e la Coca Cola, per il rutto libero?»

Bello spaparanzato sulla poltrona buona, quella con il poggino per i piedi, mutandoni ascellari, ciabattine aperte e canotta arrotolata sull’ombelico, eccomi in postazione;
telecomando in una mano, il simbolo del potere casalingo, il tramezzino nell’altra e il ventilatore piazzato, che spara a soffitto e spande l’aria sulla cocuzza pelata...ecco: accendo il mostro, che oziava con la lucina rossa ammiccante e il ronzio di sottofondo che pare fusa, brontolio di gatto;
quello risponde e si dichiara pronto, con un breve e squillante “bling-blong”.
Spalanca l’occhione suo, sbatte, s’aggiusta i colori e apre la finestra sul mondo.

«Dai, moglie, svelta, che comincia e non voglio perdermi lo spettacolo!»

Agito i fianchi e la pancetta per meglio assestare la ciccia, tra cuscinetto e schienale.

Bum bum! Ratatatatam...patasbim, patasbem...pum, pum!

«E abbassa il volume, accidenti! Ma c’hai proprio il cervello in frolla: sempre a guardare film di guerra!», mi rampogna la compagna.

Ignoro l’impudente entrata a gamba tesa e la fastidiosa litania.
Affondo la mano nel pentolone del riso soffiato, come la benna di uno scavatore nel terreno; abbranco una manciata di quella pastura e ingoio dilatando le guance come quelle del pitone, quando ingoia qualcosa più grande della bocca.

Badabam...badabum...badabin, pem, pem pem!

Le canne dei mitragliatori sparano fumo e fiamme, le bombe piallano, scoperchiano, frammentano, sbriciolano interi muri, mentre qua e la cenci fumanti segnano il posto dove prima ci stava chi li indossava.

Sparo di mio un rutto pazzesco, che anche lui si riverbera e fa tremare i muri.

«Moglie, tu non capisci: non è un film. Questa è roba vera, sangue a fontanella, frattaglie e sbrindellamenti a gogò, dal vivo...beh, no...diciamo dal vero; è la battaglia di Tripoli, dove i rivoltosi di Libia hanno sfondato e stanno con il fiato addosso al Gheddafi...è cominciata la mattanza!»

La sento di spalle, che mi si affianca, abbassa gli occhialini sul naso e mette a fuoco.

«Quelli non mi sembrano raccomandabili e neppure hanno l’aria sveglia, di quanto sarebbe il nuovo che avanza e dovrebbe portare democrazia e stabilità.»

Lontano dal nemmeno sembrare decenti, le facce da galera e gli occhi da invasato, di quelli che passano davanti alle telecamere, non fanno presagire niente di buono, per quello che andrà a venire.
Di la dagli occhi coperti dalle fette di salame, di quelli che hanno creduto alla baggianata della rivolta “spontanea”, sempre più, t’accorgi che sono accozzaglie di banditi, quelli che sono a passare sotto la spianata delle bombe del Sarkozy e compagni di merende;
Le bombe del bamba.
Da soli non sarebbero riusciti neppure ad andare al gabinetto a fare pipì.
Se gli si provava a dare qualche arma oltre allo schioppetto, rischiavano di spararsi addosso per ignoranza, imbracciandola dalla parte dello sparo.
Hanno più l’aspetto di battaglioni tribali, al momento tenuti insieme con lo sputo, per eliminare il nemico, quello grosso, per poi venire ai ferri corti ed applicare la selvaggia legge della selezione naturale e la regola di “Highlander” dove “Alla fine ne rimarrà soltanto uno”.

L’impressione è che il nanerottolo megalomane di Francia abbia aperto l’ennesimo vaso di Pandora, fonte di tanti guai, disgrazie e iatture.
Dapprima convinto d’essere una piccola volpe, come il velocissimo Rommel, che lo era del deserto, non gli è riuscito il “Blitzkrieg”, la guerra lampo, che pensava alla portata dei suoi complici, quelli che i suoi servizi segreti avevano aizzato alla rivolta, convinto che avrebbero cavato le castagne dal fuoco per lui e che avrebbe poi potuto far fessi a piacimento.
Non avesse scatenato l’inferno con i suoi e - purtroppo - complici bombardoni e bombardieri, la consorteria barbonaccia dei pari in terra di Libia, emeriti straccioni da brigantaggio, sarebbero ancora a scaccolarsi il naso sul nastro di partenza.
Il galletto “Nicoleone”, il Nicolas, pensava di usare quell’armata Brancaleone e nel contempo di fottere i cugini d’oltralpe: quegli italioti talmente addormentati che non si sarebbero accorti da subito che gli stava fregando la borsa della spesa sotto il naso, scippando le lucrose commesse petrolifere che avevano - quasi in esclusiva - con quel paese e il Gheddafi.
I veri crimini contro l’umanità li ha fatti lui, con le sue mire da bauscia, che sembrano parte integrante di tutti i tappi che, come quelli delle bottiglie, se troppo agitati saltano con facilità.
Il disegno era ed è talmente scoperto, manifesto e spudorato, che ancora ci si meraviglia di quanti ancora siano a credere ai suoi aiuti umanitari” che, invece d’essere a forma di pacchi di pasta o farina, erano polvere da sparo, bombarde e cariche dinamitarde.
Come per Giuda con Gesù, dopo averci mangiato a tavola, ha accoltellato il beduino Muammar ed ora pure gli riuscirà di “suicidarlo”.
Nonostante l’inferno di fuoco, l’esercito di Gheddafi non si è squagliato, come farebbe qualunque armata che non credesse nel proprio condottiero.
Segno che non era per nulla vero che un intero popolo avesse preso le armi contro il tiranno di turno.
Ora, probabilmente, tanti faranno come i nostri fascisti dei tempi neri che, in prossimità della sconfitta, rivoltarono la camicia presentando il sopra rosso e nascondendo la vecchia fodera nera di sotto.
Le folle oceaniche, davanti al pericolo di evaporare, si rimescolano alla svelta.
Quanti morti ha fatto il “Nicolino” Sarkozy?
Non ce lo diranno, non lo sapremo mai.
Ma sono certamente un numero pazzesco, ma presto sepolti dalle bombe o polverizzati dalle medesime.
Quella che si deve chiamare guerra, e non aiuto umanitario, è arrivata nel momento peggiore della crisi economica che ha colpito a livello globale l’occidente.
La battaglia del Nicola ne ha acuito le conseguenze, i dolori e le pene.
Al piccoletto, scarso di comprendonio e di capacità tattico-strategiche, ancora non ha capito quel che ha combinato, troppo concentrato nel voler diventare padre-padrone di un’Europa quanto mai disunita e senz’anima.

«Ma dai, Beppe, non essere il solito menagramo: guarda quei poveri ragazzi, quante ne hanno passate, per avanzare fino ad abbattere il dittatore...sono sul campo da una vita: tanti c’hanno di quelle barbe così lunghe...»

Già, è vero...dove ne ho già visti di così?


Io, secondo me...23.08.2011

Ombre rosse



Come i bisnonni, tali i pronipoti: appena mettono le chiappe sul cadreghino, cominciano i deliri, le allucinazioni e i disturbi del pensiero.

Si sentono isolati, accerchiati, sotto assedio, come quegli animali con il fiato sul collo e il morso sui calcagni del predatore di turno.

Comincia la fifa, che altrimenti si direbbe blu ma, visto l’appartenenza loro, è rossa.
Le ombre sembrano prendere forma, consistenza e materia, paiono grandi, incombenti e ostili;
anche il vicino di branco sembra cambiare forma, quasi che sotto la cotica si nasconde il lupo per l’agnello.

La mania di persecuzione prende sempre più piede, la sensazione d’essere sempre sotto attacco diventa così acuta da provocare angoscia e senso di soffocamento;

L’adrenalina entra in circolo con la stessa violenza di un torrente in piena, che sommerge gli argini: il cuore s’accartoccia e poi si gonfia freneticamente i bronchi, la pupilla ed i vasi sanguigni dei muscoli del sistema coronarico vibrano, fibrillano si rigonfiano e gemono con scricchiolii preoccupanti.
Ogni muscolo del corpo si tende, come corda di violino; lo stomaco si contrae come un palloncino che si fora, mentre i vasi sanguigni cutanei e periferici diventano stretti come il collo di uno strangolato mentre la pressione arteriosa s’avvicina al fenomeno del vapore con la valvola della pentola a pressione turata.
Gli strati superiori del cervello, ultima acquisizione in termini di evoluzione, entrano in catalessi, per lasciare campo libero al primitivo rettiliano: estremamente reattivo e per niente riflessivo.

Pericolo, pericolo, pericolo!

Le mani si aprono ad artiglio, il viso diventa paonazzo, i denti digrignano e gli occhi diventano a palla.
Ecco pronti, ad affrontare i nemici: quei “poteri occulti, che tramano nell’ombra, che non vogliono apparire direttamente, che non si espongono”.
Lo schizzato ha solo certezze;

«I poteri forti ci sono, non ho alcun dubbio!»

Il “Giulietto” Pisapia, da pochi mesi signorotto di Milano, come gli antenati suoi, comincia a vedere i fantasmi, che ai tempi dei dinosauri chiamavano “controrivoluzionari”.
Il sol dell’avvenire non vide mai la luce;
Il “vento nuovo” rischia di nascere già con peto di bonaccia.

«I poteri forti tramano nell’ombra. Lavorano contro la novità della svolta politica e amministrativa che le elezioni ci hanno consegnato.»

Ciumbia!
Che strano però, come questi poteri “forti” si siano dimostrati tanto impotenti, quando potevano strangolare il Giuliano in fasce e hanno aspettato ora per tentare di farlo, quando già con il deretano ben aderente al seggiolone di regnante;
meglio sarebbe stato applicare la regola d’Erode e prevenire, invece di curare.
Forse che gli si era fulminata la lampadina e tanto quei poteri erano poco avveduti, da rimanere tanto nell’ombra da restare vittima del loro stesso scuro?
O magari non si erano ricordati di caricare la sveglia e, al risveglio, si sono accorti del ritardo e che la volpe era già nel pollaio?

«I poteri che contano [...] sono quelli storici della finanza, delle banche, dell’editoria, certi immobiliaristi e costruttori che hanno sempre fatto quello che hanno voluto e [...] temono per i loro interessi [...] adesso devono riposizionarsi, ma non vogliono perdere affari e profitti.»

‘azzarola!

Guarda tè quanta gente, durante la scalata del Pisapia, stava al mare, invece che curare l’orticello!


«Milano dà un segno di cambiamento enorme [...] le scelte che la mia amministrazione prenderà avranno un’incidenza forte sulla città e sulla rete d’interessi consolidati.»

Moschee distribuite a pioggia, a coprire quartiere per quartiere;
Centri Sociali nobilitati, da nido di pidocchi a benemerite sanguisughe da salasso;
Introduzione dell’addizionale Irpef;
“Ecopass” selvaggio, balzello per entrare nelle sacre mura meneghine: botta secca, indipendentemente dall’inquinare o meno, incuranti del sacrificio che tanti hanno fatto, per cambiare auto e permettersi la circolazione.
«Vado a piedi...!»
Aumento del biglietto del tranvai: mazziati e cornuti;
Milano applica la regola del “'ndo cojo cojo”: sparo con ampia rosa di pallettoni nel mezzo dei tordi, basta riempire il carniere.

Poteri forti? Poteri occulti?
Credo non ci voglia molto a capire l’antifona, e che la sollevazione presto monta dal basso, dove forse la gente normale e incazzata è in ombra e “occulta” solo perché il Giuliano non si cura di calpestare delle formichine.

«Certo, lo vedo chiaramente [...] obiettivo è denigrare la mia figura, come uomo, come politico e come amministratore [...] di accentuare, strumentalizzare le posizioni politiche, la dialettica che stanno dentro la mia giunta e la mia maggioranza. C’è una ricerca esasperata del contrasto anche quando non esiste. Io sono favorevole al confronto aperto, anche aspro con i miei alleati, ma una certa stampa gioca all’invenzione e questo non va bene.»

Povera stella, ce l’hanno proprio a morte con lui.

Ecco allora il solito armamentario della scuderia moscovita:

«I problemi più gravi restano quelli della città, degli effetti della crisi, dell’impoverimento di ceti sociali [...] La MANOVRA DEL GOVERNO taglieggia i bilanci delle amministrazioni locali e la mia principale preoccupazione è di dare un segnale forte di cambiamento, di giustizia, di solidarietà. Ho sempre detto [...] che ritenevo il bilancio dell’amministrazione precedente non veritiero, ma dobbiamo far fronte alle difficoltà mettendoci la faccia e assumendoci le nostre responsabilità. Questa scelta trova conforto nell’apprezzamento chiaro dei cittadini, soprattutto di chi soffre più duramente gli effetti della crisi e dei tagli del governo.»

La colpa è sempre degli altri; c’ho i buchi nelle braghe, piango per le mie pecore, ma le devo tosare comunque, perché arriva l’inverno e non c’ho il maglione pesante.
Però le pecore sono contente: adesso che ancora fa caldo, restare pelate gli da ristoro dalla calura...in inverno, si accalchino assieme, che ne avranno benefico tepore.

«L’impoverimento di Milano lo vedo [...] ci sono molte persone, cittadini che a causa della crisi, della perdita del lavoro, di una disgrazia, di una separazione, hanno perso tutto, che vanno a mangiare alla mensa e magari non hanno un posto per dormire [...] lavoratori dipendenti ridotti in povertà.»

Che culo: della macchina ne faranno a meno e, per risparmiare sul biglietto del tram, andranno al refettorio o all’ufficio di collocamento a piedi: faranno salutare movimento, che fortifica il fisico, il cuore e abbassa la pressione!
Però...c’è un però:

«Milano mostra livelli di ricchezza enormi, ci sono molti [...] che sono diventati ancora più ricchi. Ci sono in giro certi macchinoni, ci sono fortune enormi che emergono da un giorno all’altro nel commercio [...] Da dove vengono tutti questi soldi? Sono infiltrazioni mafiose? Un maggior controllo su certi fenomeni sarebbe necessario.»

E te pareva: eccola lì, la “sindrome del Savonarola”, la voglia, la frenesia della purga.
Invece che portare chi sta in basso a crescere, si usa la livella, sì, ma per fare del ricco un povero poi, nella merda si nuoterà, gomito a gomito, da buoni amici.

Una volta, la gente sua era nelle fabbriche, vicino ai lavoratori, ai “proletari”, al “poppolo”.
Allora c’avevano tutte le formule giuste, per aggiustare il vapore, per raddrizzare le schiene dei riottosi, per presentare il miracolo come azione comune, solo ad affidare nelle giuste mani la stanza dei bottoni;
quando e dove l’hanno avuta, si sono accorti quanto sia difficile fare i “conti della massaia”.
Dagli zoccoli alle scarpe di vacchetta, dal salvagente alla barchetta a vela, dalle salamelle alle ostriche; ora, se fanno quello di prima, gli vengono le vesciche ai piedi, il mal di mare con il materassino e l’orticaria con le costine delle belle feste dell’Unità.
Il culetto è diventato roseo e la pelle di velina, come quella dei neonati, e ci vuole la polvere di Fissan, per fargli passare il rossore, se la poltrona non ha l’imbottitura.

Hanno rivoltato il vestito, ma l’animaccia è rimasta quella, nel segno e nella tradizione dei bisnonni: quelli che “fecero l’impresa” novanta e passa anni fa.

Quando le ombre e i poteri forti si combattevano con un sano purgante.

Oggi, a quelli della “generazione Pisapia”, rimane solo la lucina da notte, quando vanno a nanna.

Per scacciare l’uomo nero, niente di meglio che...ombre rosse.

Io, secondo me...22.08.2011

lunedì 15 agosto 2011

martedì 9 agosto 2011

martedì 2 agosto 2011

m'Hama, non m'Hama


m’Hama, non m’Hama



E mò, Nicolino: che famo?

Dei tuoi giochini di guerra t’avanza qualcosa?
Che so...un Rafale”, un “Mirage”, un elicotterino”;
bombe e missili no: lo so che sei alla canna del gas e, se non chiudi per tempo, quel che arriverà potrebbe - me lo auguro - essere il tuo “Settembre nero”.
Come Cesare, per te che ti credi Napoleone, spero che arrivino le fatidiche Idi: non di marzo...magari l’11...di Settembre.
No, non sono così carogna da augurarmi che ti facciano la pelle, come lo vorresti tu, per il povero Mu'ammar Abu Minyar al-Qadhdhafi...il Gheddafi, tanto per capirci.
Spero che ti ridimensionino - ancora più di quanto sei tappo - nella misura in cui sei megalomane e convinto d’essere il nuovo Napoleoncino: che ti cancellino politicamente.
Vedi, mi stai sulle palle.
Sei un vermicello odioso, un guerrafondaio imprudente e impudente, un approfittatore, un filibustiere, che cerca addirittura di far le scarpe a dei cugini d’oltralpe: un poco ciula, lo riconosco ma, in fondo, buoni. Troppo.
La primavera araba ti ha fatto male.
Il cambio di stagione ti ha visto al risveglio come uno che ha sbagliato dosi di Viagra.
Ti è venuta voglia d’in...di trombare qualcuno;
uno sguardo d’attorno - et voilà! - due piccioni con una fava: gli italioti, cui fregare le commesse di gas e petrolio, e il di loro grossista, il beduino tripolino.
Quello che, tanto per capirci, avevi abbracciato e ricevuto con tutti gli onori, con tanto di tenda e sabbia del deserto nel bel mezzo del giardino dell'hotel de Marigny, la residenza degli ospiti d'onore dell'Eliseo, il quel dicembre del 2007;
pur di fare marchette, ti stava bene il tipo: allora si provò con le buone, con le lusinghe, decisi a far approfittare le imprese francesi dei rapporti privilegiati instaurati con Tripoli.
Peggio di Giuda con Gesù, che i denari erano ben più di trenta: bastava che firmasse pacchi d’accordi economici "pour la grandeur de la France";
e c’era in ballo anche la costruzione di un impianto per produrre acqua dolce dall'acqua di mare, alimentato da un reattore nucleare, oltre che contratti in materia d’armamenti e aeronautica.
Un pacco di quattrini alto così.
Era una vita che il cammelluto comandava in casa sua e ben già si sapeva chi e cosa era, come gestiva il potere e il suo controllo.
In un contesto tribale, dove la legge del più forte era - e rimane - la regola, certo non usava i guanti.
Basta guardare quelli che oggi sono in campo, sobillati dalle manovre del Nicolino: “rivoltosi” che peggio straccioni non sono, con la sola regola del branco e del saccheggio, con l’unico obiettivo di arrivare ad affondare il muso nel trogolo del pastone.
Senza l’artiglieria del “Nicoleone”, neppure sarebbero riusciti a rubare ad un paralitico.
Nel bene come nel male però, la realtà della “sua” Libia era delle meno peggio di quanti gli stavano d’attorno: niente a paragonare la qualità di vita con quella dei vicini.
Il pane c’era, non come nella Tunisia di Ben Alì;
le palanche giravano e i lavori più schifosi lo facevano gli immigrati delle altre realtà limitrofe, più sofferenti, quando non agonizzanti.
Dai barconi che arrivavano, dei profughi dell’Africa, non vedevi un libico che fosse uno.
“Nicoleone” ha cercato il ribaltone, credendo che il castello di carte sarebbe crollato, dopo i primi bombardamenti dell’eroica armata dei galletti.
Poi i “rivoltosi”, li avrebbe sistemati, come si usa per dei mercenari: con una bella mancia.
La demonizzazione dell’avversario partì immantinente: tutti poi a fare il coretto dei cretinetti, a dagli man forte;
dall’incapace spilungone americano, assolutamente incompetente di politica estera, all’imbranato inglese, e via a seguire, fu tutto un andare dietro, di tanti tirati per la giacchetta, a levare castagne dal fuoco per il piccolo macellaio, affetto da nanismo fisico ma di ego smisurato.
Le scuse?
Delle più puerili: non perché del tutto infondate, ma perché più di mezzo mondo versa in quelle condizioni, dove spesso sono piccoli e grandi dittatori a fare il bello e cattivo tempo.
Che famo: dichiariamo guerra all’intero globo terracqueo?
Non scherziamo, siamo seri.
Non lo si è fatto per il genocidio in Rwanda, per i ragazzi dell’onda verde, in Iran o per l’occupazione cinese del Tibet...e nemmeno con Assad, in Siria, lo si farà, nonostante si stia dimostrando peggio del Gheddafi.
“Nicoleone” è bravo solo a fare il forte con i deboli, ma sta alla larga da quello: dietro c’ha un buon protettore, piccoletto pure lui ma armato di missili peggio che un istrice di aculei e quasi con la bomba atomica.
Con l’Ahmadinejad, il Mahmud, non si scherza.
Non sarebbe un tiro al piccione, come in Libia.
Gli aeroplanini del Nicolino rischierebbero il culo e tanti non tornerebbero a casa.
E poi, siamo al ridicolo: hanno vomitato sulla Libia un arsenale bestiale, assolutamente sproporzionato alla bisogna;
come prendere il cannone per una zanzara.
Ad oggi, il castello regge e le carte pure.
Il “dittatore” non era tanto odiato, se c’è chi ancora combatte per lui, nonostante il diluvio di bombarde.
Spero, per l’ipocrisia e i presupposti che hanno scatenato l’inferno, che Gheddafi tenga duro;
Mi auguro che la Francia perda la faccia e il suo condottiero botolo lo si veda senza le zeppe sotto le scarpe.
Intanto gli eroici insorti sono arrivati a cannibalizzarsi, riuscendo a levare la cotica pure a Younes, il loro capo.
Forse non erano d’accordo sulla spartizione del bottino.
Intanto piove, sul deserto.
Razzi a non finire.
La gioiosa macchina da guerra del Sarkozy vuol farci credere di usare “missili intelligenti”, che ti arrivano da dietro, ti battono sulla spalla e, se non sei bersaglio, si scusano e se ne vanno.
Non sempre: come in ogni famiglia c’è quello più tonto.
Ad una delle bombe intelligenti gli riesce di accoppare il figlio più giovane del Colonnello...e tre nipoti, di appena tre anni.
Beh...effetti collaterali: il gioco vale la candela.
Toppa del tutto invece l’altro petardo, probabilmente del tipo “n'do cojo cojo”.
Bab al Aziziyah, una delle tante cittadelle di Gheddafi: il corpo dell’uomo era avvolto in una coperta, con il braccio che penzolava sugli occhi, come a non voler guardare in faccia la morte.
Era l’uomo delle pulizie.
Avevano colpito la zanzara.

“Napoleoncino”, sei un criminale di guerra.
Dai, continua a giocare con la tua Barbie, quella...Bruni.

Magari sfoglia la margherita...”m’Hama, non m’Hama...”.

Maledetto nanerottolo assassino!

Io, secondo me...02.08.2011

Stati interessanti


Vite spezzate



Sembrerebbe, ma non è il vero dramma.

Quando la vecchia signora rincorre e passa nel gruppo, sconvolgendone e decimando il numero, è come vedere il predatore che s’insinua tra il branco e azzanna il più indifeso, il più debole o l’incauto.
Prima di riempire il vuoto e serrare la saccheggiata fila, lo smarrimento è grande, così come il dolore.
Senti il freddo nelle ossa, quando la brezza sollevata dal suo manto ti sfiora, colpendo appena un palmo dopo;
vedi cadere la persona amata, chi ti ha seguito per una vita, l’amico più caro, chi ti accompagna, donne e uomini che ti porti nel cuore, con cui hai condiviso ideali, sogni, progetti.

“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”.

In principio fu il Fato, ad indicare;
sulla tavola degli dei, dove sembianze dell’essere erano a muoversi, come su una scacchiera: erano quelli a decidere il tempo della caduta, secondo quanto disposto per l’uomo.
Venne poi Destino, che si voleva conoscere da subito la storia e l’invano sforzo per sfuggirne presa.

“C'è un tempo per ridere e un tempo per piangere...un tempo per nascere e un tempo per morire”.

Già: come una volpe inseguita dai cani e dai cacciatori, la cui fine era certa; al massimo, solo ritardata.
Un continuo correre, dal punto di partenza, dove insignificante pareva la direzione presa, che tanto in una buca si va ad abitare.

“Tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere”.

Perché allora non sposare la fatalità, l’ineluttabile, accettare passivamente, cercando solo il midollo della vita, gustarne quando possibile il meglio per riscattare il tempo del poi, quando la sofferenza sarà abbondante, quando meno il respiro?

“Tutto è vanità. Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole? Mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto. In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo”.

Pare l’inno alla consumazione, il cantico della decomposizione, quasi l’inutilità dell’azione, qualunque sia, tanto “Una generazione va, una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa”.
Altri dissero in modo diverso, ma con eguale sostanza:
“Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia: di doman non c'è certezza”.
Se non della fossa.
E il massimo della disperazione, il colpo di grazia arriva, a far sospettare l’inutilità della vita, se non vista come un noioso, crudele e cruento disfacimento d’ogni illusione, che già si avrebbe a dire, ai nascituri:
“Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate”.

Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.

Ebbene, no.
Come l’acqua che scorre, che non è mai la stessa: e l’uomo, sotto il sole, neppure.
Quel che sta tra l’inizio e la fine non ha meno valore degli opposti.
C’è il male ma anche il bene, il tormento ma anche la gioia, l’egoismo con l’altruismo, l’odio ma pure l’amore, il passivo e l’attivo.
Dio - o la natura, per chi non crede - ha dato per certo due punti: un inizio e una fine;
in parte, gestibili dall’uomo, tramite il libero arbitrio, che può scegliere di interrompere il primo ed allontanare il secondo, ma mai cancellarne del tutto il tempo che ci sta nell’intervallo.
Ma è lì la differenza: d’intramezzo, ci sta il FARE, le azioni, che mai hanno pari causa per uguale effetto.
Si condividono emozioni, sogni, progetti, speranze.
E quando più, nulla e nessuno potrà mai cancellare il vissuto, nella mente e nel cuore di chi provvisoriamente rimane.
Siamo a piangere chi è rimasto indietro, nella corsa; chi, azzannato al polpaccio dalla morte è caduto nella polvere, per divenirne parte.
Ma, sant’Iddio: per un attimo di dolore, quanta gioia ci ha dato!!

"La vita, la morte...il vero dramma sarebbe stato il non avere mai vissuto".

Come nella toccante poesia di Ungaretti:
“Nel cuore nessuna croce manca. È il mio cuore il paese più straziato”.
Perché dimenticare: c’è tanto di quello spazio, in quel muscolo pulsante.

Per chi non c’è più ma, con lui, il vero dramma sarebbe stato il non avere mai vissuto.

«E non finisce qui!» avrebbe esclamato, a questo punto, il compianto presentatore, Corrado Mantoni.

Io, secondo me...01.08.2011