giovedì 27 ottobre 2011

Un giorno d’ordinaria tristezza




“Non chiedere per chi suoni la campana. Essa suona per te”.

E la campana suona.
Si entra nell’ampio e lungo corridoio, dove misere lampade con luce di un bianco sporco vorrebbero essere imitazione del sole, che in quel luogo non ci sarà mai;
e non solo per quel giorno d’autunno, dove la pallida stella si nasconde nel grigiore e nelle nuvole, che s’apprestano alla pioggia.
Lì, sempre è notte, anche se le ampie vetrate vorrebbero invitare l’astro ad entrare.
Non può: lì nulla è più come prima.
I fili di luce si sono interrotti, sono stati strappati, così come la trama del tempo e dello spazio, dove esiste solo un immenso buco nero, che tutto cattura, tutto cancella, senza più rilasciare;
è un universo parallelo, ma con scintille, che via via si estinguono, una dopo l’altra.
Il cuore si stringe, la mente migliore vacilla, il dolore di chi arriva dall’universo di luce strazia, nel cercare un varco tra quelle tenebre.

La lunga passerella di piastrelle rilucenti riverbera quella luce innaturale e fredda, mentre i muri di un giallo pallido e le porte di un azzurro tenue vorrebbero imitare il sole e il cielo, nel dare calore e sollievo ad anime ormai stanche, secche, prosciugate.
Fuori delle stanze, allineate ordinatamente, porta dopo porta, eccole, le poverelle: aspettano, in un mondo in cui anche il tempo è rallentato, legato come grano di rosario ad un filo, che si potrebbe spezzare da un momento all’altro.

“Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto”.

Eppure, il maglio del destino ha frantumato il legame, lanciando e lasciando piccoli frammenti d’umanità alla deriva.
Sono i non morti.
Ma neppure più vivi.

Da un lato come dall’altro, le carrozzine con quei corpi piegati e piagati, formano una lunga fila, che si perde per tutta la lunghezza di quel condotto, rimpicciolendo sempre più, tanto quanto si sforza di arrivare lo sguardo, sino a perdersi, in fondo dove s’indovina il muro;
dove finisce lo spazio, orfano di secondi, minuti, ore, giorni, mesi ed anni.

“Se anche solo una nuvola
venisse lavata via dal mare,
l’Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa”.

Con un senso di vertigine, noi, i “vivi”, cerchiamo il nostro “non morto”, come a scegliere la propria bicicletta nell’insieme di tante esposte sulla rastrelliera.
Eccoli: sono i nostri padri o madri, per altri, i nonni o le nonne;
per i più sfortunati, i compagni, le compagne o, peggio, i figli.

Non sono più in sè, oppure lo saranno per poco: quel tanto che basta al malefico buco nero che si è formato nella loro testa, per risucchiare tutti i pensieri, i ricordi e, alla fine, ogni minima coscienza di sè, dell’essere, della propria personalità, dell’Io esistente.
Ogni cosa sarà inghiottita da un tarlo famelico, che porterà a consumazione lo spirito e la carne, fino a che una nera signora passerà, pietosa, a terminare lo scempio, la corrosione e il disfacimento, rubando l’ultimo soffio, come il sagrestano, quando spegne la candela sull’altare, a messa finita.

“La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell’umanità”.

Ma dov’è la vita?

«Rosa...Rosa...mamma» sussurra una figlia, a quella donna stesa su quella carriola a rotelle.
Rosa, la mamma, ha gli occhi chiusi, la bocca perennemente aperta vuota d’ogni mordente;
un pertugio che pare il dove l’essere suo si è sfilato dal corpo, per lasciare un guscio vuoto.
Dov’è Rosa?

E Sebastiano, dov’è, che passa avanti e indietro, in un continuo strascicare di piedi:
le mani abbandonate sui fianchi, fisso lo sguardo, con gli occhi che non sono più specchio d’anima.

Il temporale scoppia all’improvviso e l’acqua portata dal vento sembra una mano che schiaffeggia i vetri, quasi volesse violare anche quella dimora di sofferenza.
Le luci, per un attimo, si abbassano per poi riprendere vigore, quasi orgogliose di brillare di luce propria, non più in competizione con quella palla di fuoco che, nel cielo terso, altrimenti le oscurerebbe.
Qualcuna si fulmina.
Come quegli sfortunati, ormai fantasmi, anche se rimane la carne.

Guardo le foglie trasportate dall’impeto della tempesta: anch’esse, una volta verdeggianti, nel fulgore e nella bellezza della giovinezza, ora sono in balia d’ogni avversità.
Impossibile non prevedere stessa sorte, per le mie anime morte.
Non so in che paese ora stanno e se il buon Dio ha già reclamato quei figli suoi, lasciando ancora a noi di contemplare quella carne abbandonata.

“E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”.
E la campana ancora suona.

Le infermiere improvvisamente riappaiono, con la frenesia e la laboriosità di formiche o api operaie, che riprendono la cura di quello a loro affidato.
Ogni carrozza ritorna al suo posto, dopo che tante mani hanno accarezzato quelle guance, quelle teste ormai svuotate, quelle mani ormai abbandonate, quelle ginocchia che, quando si era piccoli, ci tenevano sopra, mentre loro ci raccontavano le fiabe del focolare.

Un’angoscia cocente ancora spreme il cuore, come pugno il limone.
Si passa vicino al salone, dove i pochi che ancora tengono un barlume di consapevolezza, guardano la televisione.
Sono ammucchiati: tante carrozzine avvicinate, tanto da sembrare ingorgo sulle strade più battute.
Come un sol uomo, tutti si girano, guardando noi che usciamo.
Loro no...mai più, da vivi.

“Viator Viator, quod tu es, ego fui. Quod nunc sum, et tu eris”...

Pellegrin che guardi a me, io ero come te, un bel dì sarai com'io, pellegrin Addio Addio.


Io, secondo me...27.10.2011

mercoledì 26 ottobre 2011

r€gime


San Rafale




Ride, il bischero...

“Bah! sei tu forse un uom? / Tu sè Pagliaccio!
Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga e rider vuole qua /.../ ridi, Pagliaccio...e ognun applaudirà!”.

Sulle note e sulla voce dell’opera lirica di Ruggero Leoncavallo, ecco i “Pagliacci” entrare in scena ma, diversamente da quelli, i nostri abbandonano la maschera e si mostrano per quel che sono.

Ecco il re, di loro, il “Nicolino” Sarkoszy, Monsieur le Président de la République Française.
A seguire, il codazzo del gran Circo, dal ministro della Difesa Gerard Longuet a Pierre Lellouche, segretario di stato agli affari Europei ma, soprattutto, al commercio estero.
Nicola, Gerardo e Pierino...la mazza e le palle, per un gioco elaborato dall’unico cervello del gruppo: l’intellettuale Bernard Henri Lèvy, che ha dato la battuta al primo per poi far girare il resto.

«Libya delenda est...Delenda Libya!» la Libia dev'essere distrutta, concludeva ostinatamente il Bernardo ogni sua orazione, come il vecchio Catone per Cartagine.

E già, tutto quanto si distrugge, alla fine deve essere ricostruito: più macerie, più lavoro, più salario.

Diversamente che per la storica Cartagine, qui non si cospargeranno le rovine di sale, per rendere sterile il terreno, a che più nulla possa risorgere dalle ceneri.
Sull’anticipo, sull’uscita di quattrini per far piazza pulita, ora è il momento di battere cassa: oltre a quella per inchiodare dentro il vecchio padrone di casa, anche per quella dei denari.
Anche liquidi vanno bene: è meglio fare il bagno nel petrolio che nel latte d’asina, anche se, nel e per olio nero, si rischia di lasciarcela, più che lisciarsela, la pelle!

«La Francia si sforzerà con la Libia di svolgere il ruolo di un PARTNER PRINCIPALE, in un paese in cui i dirigenti SANNO che ci DEVONO MOLTO!» dice un bellicoso “Gerardino” Longuet.

Ancora non si è seccato il sangue nelle vene, al vecchio padrone del vapore...e petrolio, e gas, il Muammar Gheddafi, che gli avvoltoi sono scesi dai “Rafale”, con i motori ancora roventi e fare la pisciatina che marca e delimita quel che si ritiene di diritto un proprio spazio.

Giusto per rendere chiaro i veri motivi di tanta cagnara, ecco anche l’avvertimento ai “Compagni di merende”, lesti o tardivi, che si sono attaccati al tram, costretti a sedersi a stessa tavola, che ormai le uova erano rotte e la frittata da fare.

«I paesi della coalizione cercheranno probabilmente di [...] trarne vantaggio.»

Tradotto: cercheranno di fregarci l’osso e i pezzi migliori.

«Non saremo né gli ultimi né i più volgari. Non ci siamo impegnati in modo tardivo, mediocre e incerto!»

Il classico grasso e grosso maiale che, scacciato il vecchio dal trogolo, ora difende il meglio della sbobba, i bocconcini più sugosi e il diritto del “Jus primae noctis”, a deflorare per primo la sposa d’altri.
L’importante è fottere.
Prima il mercato africano dell’Italia, che in Libia ci marciava bene;
ma anche a quelli che hanno dato appoggi, droni, basi, bombarde e navi, per aiutarli a tenere immobilizzato e compiere lo stupro.

Nicola, Pierino e Gerardo, ancora con i pantaloni abbassati, sono all’ipocrisia:

«Alle persone che ci mandano un S.o.S per la libertà, indipendenza e sicurezza NON INVIAMO NESSUNA FATTURA.»

Commovente.

Vorrà forse dire che lavoreranno in nero, tutte le parti economiche che entreranno in causa, coordinate da Pierre Lellouche.
Ubifrance e la Egis International, per la finanza;
Afex per gli architetti che andranno a ricostruire case e cose, piuttosto che Air France con la flotta libica rottamata;
Total, Entrepose Contracting e Gecol, per la benza e le centrali elettriche;
Alcatel Lucent per le comunicazioni, Sofrecom per i servizi di telefonia , Nexans per le linee ad alta tensione.
Hill-Rom per la sanità, per ricostruire il Centro Medico di Bengasi e Soufflet, nell’agro-alimentare.
Nicola, Gerardo e Pierino...forza gente, sono arrivati i Babbi Natale!.

«Venghino, siore e siori: non siamo qui per vendere ma per regalare!»

Alle persone che ci mandano un S.o.S per la libertà...
vedremo di far pervenire richieste d’aiuto anche dalla Siria o dallo Yemen o in Iran: il mondo è pieno di gente che grida «Aiuto! Aiuto!» soffocata da regimi dispotici o dittatoriali.
Appena sapranno che la Francia menerà le mani per loro - e “agratis”, senza presentare fattura - manderanno raccomandate con ricevuta di ritorno, con S.o.S a “Gerardino” e compagni.

Chissà se anche a loro metterà a disposizione la “Santabarbara”, signora delle polveri, dell’Eliseo o, ancor meglio...san Rafale.

Certo che la figura, il Libia, è stata barbina: otto mesi per piegarne la resistenza, nonostante “Er mejo” della ferraglia occidentale;
colpa degli straccioni, di quell’accozzaglia di briganti che avevano attivato sul campo, per scardinare il vecchio regime e far credere movimento di ribellione “spontaneo”.
‘Na chiavica.
Più che sparare ai piccioni e farsi fotografare con il telefonino, non sapevano fare, che un conto è rubare alle carovane, un altro portare avanti una battaglia.
Hanno dovuto inframmezzare a quelli, “consiglieri” di professione, che li raggruppassero in un qualche cosa che assomigliasse ad un’armata, seppur Brancaleone.
Il regime non era marcio: nonostante l’incessante e impressionante pioggia di fuoco dei coalizzati occidentali, i fedeli del Raiss hanno combattuto fino all’ultimo.
E questo non è tipico nè dei mercenari, nè di nessun soldato o uomo che non abbia fede nel proprio condottiero.
Che ha mantenuto parola di farsi ammazzare, piuttosto del classico “armiamoci e partite”.

Ma doveva essere accoppato.
Mai ci fu intenzione di prenderlo vivo e processarlo, sia perché poteva rivelare relazioni imbarazzanti e compromettenti dei “coalizzati occidentali”, sia per non essere santificato come eroe contro quelli che - presto, molto presto - saranno additati come “crociati”.
Appena sarà messa in opera la Sharia, "la via da seguire", che converge con l’”occidentepensiero” come i binari del treno, ovvero mai, cominceranno i guai.
Aspettiamo, quando i ladroni saranno a voler dividere e pretendere la loro parte di bottino.
Anche questi diranno che i dirigenti - i più, voltagabbana - del sedicente Consiglio nazionale di transizione:
«SANNO che ci DEVONO MOLTO. Non saremo né gli ultimi né i più volgari. Non ci siamo impegnati in modo tardivo, mediocre e incerto!»
La resa dei conti non si farà con i guanti bianchi.
Le bestie che hanno liberato sono ora fuori dalle gabbie, ad infilare bastoni nel culo al vecchio leone e farsi immortalare accanto al suo cadavere, freddato dopo averlo oltraggiato e torturato.
Pezzenti in cristalleria, mai potranno accettare, pur’essi, che gli si sfili l’osso allo spolpamento.

Il malefico nanerottolo gallico si permette ora di sogghignare, con la crucca, dell’italico paese.
Non è, non sono messi meglio, ma si ritengono migliori, imbastarditi tra “La grandeur” e l’”über alles”.
Con i trenta denari della Libia vorrebbero rattoppare le pezze che hanno al culo.
Che gli vada di strozzo...o di stronzo.

Nicola, Pierino e Gerardo...mandanti ed esecutori: dove sta la differenza con Gheddafi?
Forse solo nel fatto che non si sporcano le mani, ma lasciano ad altri il farlo.

O a san Rafale, bombardone tuttofare!!


Io, secondo me...25.10.2011

lunedì 24 ottobre 2011

venerdì 21 ottobre 2011

martedì 18 ottobre 2011

Gilad Shalit, bentornato a casa, tra gli umani !!

Giustro il cambio: uno di Israele per mille di Hamas;

mille bestie in cambio di un essere umano...è giusta legge e misura di natura.

black bloccacca


Il maglio e la trebbia




“Batti e ribatti si piega anche il ferro/con il fuoco si piega anche il ferro”...

Il ritornello di una vecchia canzone di Rosanna Fratello pare il giusto sottofondo.
Ecco il trucco: prima si picchietta con ostinazione, poi in crescendo, modellando e dando forma alla lama;
poi lo si usa per falciare, separando l’utile dallo scarto: il martello e la falce, per arrivare a trebbia e raccolta.
Il maglio alfine piega, come la goccia buca anche la roccia più dura: è solo questione di costanza e tempo.

Davanti, le marionette;
dietro, la peggio gioventù del Littorio: cuori neri in camicia rossa.
“La meglio gioventù” ad essere braccio, per quelli ormai sono a senile pannolone, con orizzonte e tramonto ormai prossimo e la prateria alle spalle;
pure inaciditi, nel resoconto deficitario del fallimento di un’intera vita, a cui l’hanno data a bere, in avvelenata fonte e pascolo, quando poi visto, caduto il muro, com’era più verde l’erba del vicino.
E che il sol non era dell’avvenire ma da venire, avessero solo sbirciato sopra la murella, invece di fidarsi del descritto di chi avevano innalzato sopra.

Ora, oggi, a voler riscatto da infamia, eccoli:
loro ad alzare il braccio e dare la spinta;
loro a lanciare un estintore, una bottiglia di benzina con lo stoppino alla fiamma, loro a battere di manganello, a scassinare con il grimaldello:
loro a rompere vetrate, a carbonizzare automobili e case, a lanciare vernice e sassi;
loro a cercare il morto, meglio se in divisa, ma sarebbe andato bene qualunque tipo di carne, tanto che, una volta tritata, poco importa la qualità dell’impasto, ma l’averne fatto polpetta.

“Batti e ribatti si piega anche il ferro/con il fuoco si piega anche il ferro”...

L’Andrea Camilleri, con l’estintore;
L’Eco Umberto, con la benza e la focaia;
Il Giorgio Bocca, il Furio Colombo, L’Alberto Asor Rosa, il Paolo Flores D’Arcais, il Di Pietro: ognuno con l’arma sua, a sprangare, al brucio e alla carbonella, al porfido e al manganello, all’imbratto e allo sconcio, all’appicco e all’arrosto, a cercare costine da soffritto.

Loro, il ripieno di tante cozze altrimenti ariose;
a muovere i fili e soffiare in testa e pancia, ed animare burattini altrimenti sgonfi d’aria e boria.
I teatrini, magazzini e caserme, da cui trarre tanti obbedienti e inquadrati gioppini, sono sempre quelli: i centri sociali, ufficio di collocamento di tanti “nati con la cannetta”, come solevano dire i nostri vecchi, di quelli con nulla voglia di lavorare perché con quella, invece che con la spina dorsale, si sostenevano.

A Roma! A Roma!

Ecco i devastatori, le cavallette, le piaghe dell’umanità, uscire dalle tane e dare il meglio del peggio di razza loro.
Il tam-tam selvaggio era da tempo alla battuta;

«Potere alle avanguardie operaie» dice uno;
«Da che mondo è mondo, le vere rivoluzioni sono un bagno di sangue» risponde il “gemello”;
la verga, nel mezzo, ritto, a fustigare gli indecisi:
«Diffondiamo la violenza organizzata. Basta dire che bisogna manifestare in modo pacifico: faremo un bordello! Chi non se la sente, si faccia da parte: via senza palle e bambini!»
Amenità simili si sprecavano: canti di guerra per attizzare animi pugnaci.

Dietro c’era la legittimazione, la santificazione, la benedizione alla “Deus lo vult!”, Dio lo vuole, i sacerdoti, “maitre-à-penser”, i "formador de opinión", le eminenze grigie.
Mostrando il sacro estintore, eccoli ad eccitare la mandria:
«In hoc signo vinces!» con questo segno vincerai.
Le centrifughe del lavaggio di cervelli.

L’avversario era già stato per tempo demonizzato, spalmato di grasso e pece, pronto per esser fatto carbonella.

«Quello di Berlusconi è un metodo che appartiene al cartello di Medellin, dei narcos della Colombia!» tuonava un Tabucchi;
rispondeva, pieno di Furio, un Colombo, non di pace:
«Quello assomiglia ad un despota!»
e la Bocca di Giorgio, a caccia del drago da trafiggere, ribatteva che:
«Questa destra è peggio del fascismo: disgrega e saccheggia!»
«Rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso della storia dell’Italia dall’Unità in poi» cantilenava l’Alberto Asor Rosa, forse riferendosi all’Unità della carta straccia sua, sicuramente ben utile per le decisioni prese nel personale gabinetto di guerra.
«Sotto il fascismo ero più libero di quanto lo siano i giovani d’oggi» tromboneggia il Camilleri Andrea.
‘azzarola...forse perché se ne stava zitto zitto, per aver schivato manganello e olio di ricino, che altrimenti non avrebbe mai scansato nerbo e purga!

Infine non poteva mancare il pappagallo, a far...Eco:
«Berlusconi uguale a Mubarak e Gheddafi? Il paragone intellettualmente parlando, potrebbe essere fatto con Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni.»
Già.
Peccato che, fosse così, a quelli come lui, il baffo teutonico l’avrebbe gasato nei campi di concentramento e poi infilato in un bel fornetto Krupp.
Invece eccolo - e altri come lui - a poter impunemente sputare in faccia al “despota”.

Non poteva far difetto, tra tanti ululati d’“Intellighenzia”, il raglio del somaro, quel che mai dirà:
«Vado a letto tardi, ma perché leggo Kant» visto che ci sono poche o nulla figure.
Chiude il sipario l’Antonio che deve aver preso la laurea alla vecchia scuola per corrispondenza “Radio Elettra”, dei miei lontani tempi, dell’età della...Di Pietro.
Il suo sunto è...stringato, nel condensare il Berlusca:
Nerone-Hitler-Mussolini-Franco-Pinochet-Videla-Noriega-capo dei capi, stupratore della democrazia, pappone.
Chi più ne ha, più ne metta: di tutto, di più.
Il Silvio, in sostanza, è un indemoniato, a cui fare l’esorcismo con la sacra formula per scacciare i demoni:
«Io a quello lo sfascio!»

Ecco, in piazza sono andati qualche centinaio di “Purgatores”, bovidi mossi dagli incitamenti al sangue di questi “fuochisti”, che appiccano fiamma e poi turano la valvola di sfogo della pentola a pressione.

Il pirlotto che s’è fatto fotografare al lancio dell’estintore o a bruciare il furgone con dentro militi da soffriggere, è solo riflesso condizionato e braccio armato, emanazione di questi peti che se n’escono con la puzzetta, per poi negare d’esser stati loro a produrne il marcio.

Altri ci provarono, ad evocare e sperar nella venuta di un salvatore, per “Copà el porseo”, per accoppare il porco.
Fu un dirigente modenese del Partito Democratico, che ebbe a dire:
«Ma, santo cielo! Possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi!»
Ci si andò vicino, quando gli ruppero una statuetta del Duomo di Milano in testa.
Sopravvisse, ma la “gioiosa macchina da guerra” continua a far buchi, anche a costo di affondare la nave su cui galleggiano.
Ma, per costoro, c’è speranza di non affogare.
Lo ha detto anche una di loro, la Rosy Bindi:

«Questi stronzi sono così stronzi che galleggiano pure senz’acqua!»

Se lo dice lei, galleggiante dell’annegata Democrazia Cristiana, suo scafo madre...

Onore, rispetto e merito a tutti quelli che invece si sono mossi pacificamente, dimostrando del giusto loro;
quelli che ora stanno mandando alla polizia i filmini girati con il telefonino, ad immortalare e denunciare i pochi delinquenti vestiti di nero, armati per far male ed uccidere.

La parte sana del paese è sfilata nella piazza, mostrando - loro sì - la meglio gioventù, non le metastasi di un cancro che cresce e si nasconde, mentre ammorba il corpo dei suoi filamenti.

Speriamo che, sotto il maglio, alla fine ci restino le loro di dita: dei suggeritori, dei “messaggisti subliminali”, dei sobillatori e dei sibillatori.

E sia l’avvento della trebbia, per questi, che portano benzina al fuoco.

Io, secondo me...18.10.2011

mercoledì 12 ottobre 2011

martedì 4 ottobre 2011

Ballon d'essai



Vent’anni per venirne a capo, quando già da subito la pappa era pronta.

Avessero avuto anche una misera porziuncola dello zelo d’oggi, nello sbobinare intercettazione, l’avrebbero acchiappato subito, il filippino Manuel Winston Reyes, di professione domestico e, all’occasione, assassino.
L’evidenza era lì, che li guardava, a prova di scemo...ma non del superlativo di tal classe.

«Devo piazzare un piccolo tesoro: un girocollo in oro giallo, un paio d’orecchini ed un anello con brillante» dice Manuel ad un connazionale, chiedendogli consiglio per sbarazzarsi di merce che scotta;

quegli ori erano sudati: per averli aveva dovuto accoppare la padrona, la contessa Alberica Filo Della Torre, nella sua bella villetta all’Olgiata, alle porte di Roma.
Eccola lì, la “pistola fumante”, la prova provata e regina, sgravio di fatiche per ogni investigatore cui piace “vincere facile”.
Manuel, un criminale nel merito, ladro di polli per capacità delinquenziale, praticamente l’aveva gridato ai quattro venti:

«Eccomi, sono qui: l’Alberica l’ho accoppata io!»

Troppo impegnati - come oggi - a presentare il profilo migliore, a rifarsi la scriminatura o coprire la pelata con il riporto, davanti alle telecamere, oppure a fare i fighetti dinanzi all’intervistatore di turno, criminologi da operetta, periti da piccolo chimico, divise da circo ed operetta e toghe in sfilata di moda, altro avevano a pensare che leggere ponderose e noiose trascrizioni di spiate telefoniche su chiacchiere di potenziali colpevoli.
C’è voluto la tenacia di un marito e l’attacco ai fianchi dei suoi avvocati, per la riaprire e studiare con più attenzione muffi e polverosi fascicoli, dimostrando quanto dilettantismo, superficialità, faciloneria e menefreghismo ci fu, da parte d’uomini di legge, ci misero nel mestiere loro.

Oggi non siamo messi meglio, visto che i dilettanti allo sbaraglio, i “tuttologi” un tanto il chilo, i ciarlatani, ancora impestano il tubo catodico e aprono le code di pavone su tutti i mezzi d’informazione;

lasciamo stare i giudici “incontinenti”, che si lasciano scappare dal pannolone tante di quelle cose - cazzate, perlopiù, penalmente irrilevanti ma altamente sputtananti - da essere imbarazzati di quanto spurgo ci sia dai loro gabinetti di giustizia.

Il...fatto quotidiano ormai è la puttanella, il letto e la mutanda, ben meglio spendibili per il “mercato del prurito”, d’assatanati priapici, dove la tendenza mira più all’applicazione del pene che del penale.
Intanto che si spende e si spande tanto, altro sfugge e sfuma, nelle mani di chi cerca parte d’attore e non di comparsa.

Quello t’ammazza la moglie, perché ormai di femmine ne ha un vivaio, nella caserma dove è istruttore; dai, facciamo un poco di cagnara, quel tanto di benzina sul fuoco per lucciole, per brillare quel tanto che basta per poi scegliere la via più breve e scontata: sbattere in cella il marito che, come il maggiordomo, è sempre colpevole.

la ragazzina c’ha il suo bruto che la voleva violentare, che la porta via dalla palestra e te la fa ritrovare poco distante, agonizzante, a portata di mano ma distante dall’attenzione di chi, troppo abbagliato dai flash e dai riflettori, non riesce a vedere quel che sta sotto il naso.
Ritrovata ormai fredda, nel campo ci vanno tutti, cani e porci, prima che, chi ancora doveva spulciare di suo, mettesse nastri per delimitare la zona da indagare, ormai martirizzata dalle mandrie.

Senza contare l’altra povera vittima, ennesima occasione di passerella per il circo Barnum, sia per mostra di vanità come d’incapacità di venirne a capo, foss’anche dove sicuramente colpevole esiste, ma mischiato nel bussolotto, che ancora non si riesce a capire se l’esecutore dell’accoppata è lo zio o la cugina e, sua madre, se complice a frittata fatta o assieme, a rompere l’uovo.

Il gran finale, con tanto di fuochi d’artificio, tric-trac e stelle filanti, è la sceneggiata alla Mario Merola:
«Amanda Knox è innocente: abbiamo scherzato!»

La poveretta non c’entra una beata fava con l’omicidio, a colpi di coltellaccio, della studentessa inglese Meredith Kercher, del novembre di quattro anni fa.
E anche Raffaele Sollecito, suo “compagno di merende”, esce dalla gabbia.

«Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare» sarebbe a dire, come il “Ginaccio Bartali”, toscanaccio, gran signore e campione del pedale d’altri tempi.

Anche qui, abbondanza di “Primedonne”, di sfilate di maestri e maestà, spacciati per esimi luminari dell’arte loro.
Alla prova dei fatti «Solo chiacchiere e distintivo, chiacchiere e distintivo!» come diceva Robert De Niro, nella parte di Al Capone, nel film “Gli Intoccabili”.
Seguendo la traccia di DNA sul reggipetto della povera Meredith, si sarebbe dovuto mettere in galera anche il perito, la Carla Vecchiotti: c’era anche il suo, a dimostrare con quanta sciatteria era stato manipolato il reperto.
In un filmato, uno degli investigatori faceva bella posa mostrandolo, usando guanti di lattice invece di una pinzetta sterile monouso, altrimenti il rischio era di trasportare con quelli anche materiale ambientale inquinante.

Dilettanti.

Anche nel caso delle Marta Russo, la studentessa freddata da un colpo di pistola all’Università La Sapienza, a Roma, tanta ridicola professionalità fu esposta a pubblica irrisione;
dall’impossibilità di seguire la traiettoria del proiettile - perché il cranio di chi cammina ha molteplici possibilità di movimento, rotazione ed inclinazione - alla “grattata” del davanzale, dove poi si scoprì che la polvere trovata non era da sparo ma frutto di deposito di particelle di ferodo, quello dei freni delle auto, di cui l’aria di città ne è ricca, causa il traffico di veicoli a motore.

Incompetenti e principianti.

Lanciare una monetina per aria è più razionale che avere responso da “Luminari” di tal fatta.
Quanti in galera, innocenti, sono a causa di queste caricature di “Peritinvestigatori” da quattro soldi?
Si facesse come in altri paesi, dove quando scoperto cappellate simili, tutti i precedenti di questi figuri sono rimessi in discussione e sotto la lente, forse si libererebbero posti nelle congestionate prigioni; altro che indulti ed amnistie!
Basterebbe una bella scremata, per riequilibrare le ammucchiate.
Salvo poi ritrovarsele piene se, al loro posto, si dovessero metter dentro quelli che, per propria incompetenza, le hanno stipate con chi non c’entrava nulla, se non vittima di tanta stupidità.

E se, quando li vediamo in fotografia o scorrere nei fotogrammi, tronfi sulle cattedre mediatiche, a darci lezioni con tanta pompa e petto tacchinesco, provassimo a vederli non per fotogenia, stazza o biondazzo con labbra a gommone, ma per argomentatori da Bar Sport, tanto ci andremmo vicino nel giudicarli per quel che sono e valgono.

Per il pregresso e legge dei grandi numeri, per il più, c’azzeccheremmo!!

Cialtroni.

Io, secondo me...04.10.2011

Esorcismi


Benedetti angeli