
giovedì 26 maggio 2011
lunedì 23 maggio 2011
I figli di Hazet
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.
Pisapia: cambiare Milano si può...Giuliano for mayor!
Sarà una mia...Pia illusione, ma l’esordio non è dei migliori, quando cerchi di “spacciare” per valore aggiunto il parassitismo dei centri sociali, le caserme dell’estrema sinistra, vivai generati dal seme di Hazet;
Hazet 36, inglese 40-45 centimetri...bella cera...di un lucido cromato, ma con un cuore freddo, d’acciaio: se l’incontri, ti si appiccica addosso.
Ti entra in testa così bene che, se gli resisti, lascia il segno...da frattura multipla della scatola cranica, con penetrazione di frammenti d'osso e fuoriuscita di materia cerebrale.
Indimenticabili quegli anni...quando c’erano loro, caro lei: i Katanga, la tribù di Mario Capanna.
Il nome era di una provincia del Congo ma, quelli nostri, erano fauna della città meneghina, la Milano del risotto con l’ossobuco...che scavavano, appunto, con la Hazet, come ci ricorda un bravo giornalista: Giampaolo Pansa.
“Servizio d’ordine”...suonava così innocente, ai tempi, il loro muovere, davanti ai cortei rossi, “per guidarli e difenderli, dai fascisti e dalla polizia”.
Teneri: il papà che protegge la prole...con mamma Hazet.
Tutina virile, elmetto “paratestadicazzo”, mascherina, per non farsi veder piangere, sotto i lacrimogeni;
anfibi pesanti, che parevano messi per far sì che, anche se colpiti, davano quella stabilità per riportare alla stazione eretta, come per il pupazzo gonfiabile di Ercolino Sempreimpiedi, degli anni ’60: aveva la base da riempire d'acqua per dargli stabilità e, una volta colpito, andava a terra per poi rimbalzare all’insù, grazie a quel contrappeso;
e spranghe: belle, tonde, tozze e pesanti...ma mai amate quanto la fedele ed “ergonomica” Hazet 36 che, se poi te la infilavi nella saccoccia davanti, ti gonfiavi d’orgoglio.
Come per tutte le cose, l’evoluzione della specie selezionò sempre “il Migliore”, i più adatti, i più svegli e pronti a rispondere al nuovo che avanza...con la P38: dall’acciaio al piombo.
Ma la mitica, fedele, rassicurante mamma Hazet...ah, che malinconia!
«Tiremm innanz!», andiamo avanti: rimane sempre il “valore aggiunto”.
«In Europa è tutta un’altra cosa: se tu occupi abusivamente un palazzo, per farci qualche festa e ci dormi pure dentro, mica ti sgomberano; ti danno una mano. Il Comune ti valorizza, perché sei una risorsa per la città, che altrimenti rischierebbe di diventare un posto orrendo e ostile per i giovani.»
E poi, la gente, quando va in ferie, ha paura dei “topi d’appartamento”: peggio hanno da temete invece da quelli dei centri sociali, che ti fanno “esproprio proletario”, fregano dell’altrui e ti lasciano la rogna!
Ma i nostalgici dei tempi di Hazet, vanno oltre: si “preokkupano” del prossimo...il prossimo che arriva in casa nostra, attratto dalle maglie larghe aperte da quelli come loro, che vorrebbero il paese bucherellato come un colino, a far indistintamente di tutto, manco fosse il paese del bengodi, la patria della cuccagna, paese di “grattaroli nullafacenti”, come i figli di Hazet, chiavica sociale del “vogliamo” senza saper coniugare un “diamo”.
«I campi rom non dovrebbero esserci in una città» e sin qui, saremmo anche d’accordo;
perché sono i rom che non ci devono essere: quelli all’origine arrivano fessi, già al trasloco, con cartoni e lamiere per la casetta, e non certo perché così li abbiamo conciati noi, ma prodotto di scarto di una dottrina decomposta, che prometteva paradiso in terra, sol dell’avvenire e potere al popolo.
Guarda caso, le radici, il seme, la storia di famiglia di Hazet.
Cosa facciamo: noi le formiche per essere poi “okkupati” dalle cicale, quelle che, mentre gli altri sgobbavano, cantavano e andavano a polenta e salamelle, con la presunzione degli unti, la razza eletta di Lenin e Stalin?
E dobbiamo costruire case per quelli che hanno sbagliato stalla e pastore e ora gli va bene pure il pastone, la sbobba degli “sporchi capitalisti”?
«Ma andè a da via i ciapp cun vert l'umbrela!», aprite l’ombrello dopo averlo infilato nel posto giusto.
Pisapia è pro, da questa parte; ma poi pende, anche da un’altra:
E la presa per i fondelli continua, che vorrebbero ancora far baldoria, tirando fuori dalle cantine le vecchie graticole, per la festa delle costine.
Un bel “gay pride” non stop, a Milano, che, da patria dei “danee” e del “cumenda”, un poco “bauscia”, “el bavetta”, insomma, un poco sruffone, diverrebbe la tana del turismo omosessuale.
Il Giulio, in perfetto accordo - culo e camicia, come si dice - con il Nichi Vendola: fallita quella proletaria, di rivoluzione, si accontenta di volare più basso;
magari rispolverando quella concordanza d’obiettivi, del giugno 2001, quando “Nichigiulio” auspicavano l’uso libero della “cannabis indica”.
“Yes we...cannabis: oppio dei popoli”.
Che Dio ce la mandi buona.
Ma anche qui, dobbiamo indovinare quale, dopo che il nostro eroe vorrebbe aprire le finestre sulla piazza, ormai non più rossa, ma sul verde dove sentire, invece che il canto degli uccellini, ma il richiamo del muezzin, dall’alto del minareto.
«Riteniamo che la realizzazione di un grande centro di cultura islamica che comprenda, oltre alla moschea, spazi d’incontro e aggregazione, possa essere non solo l’esercizio di un diritto, ma anche una grande opportunità culturale per Milano.»
Allahu akbar.
E per chi c’ha la zucca dura, giù botte;
come per Francesca Pagani, 65 anni, che appoggia Letizia Moratti: a Milano, mercato di via Osoppo, s’è presa bella lezione.
Pestarne uno per educarne mille!
Pisapia, difende il pollaio: «Siamo stati provocati e aggrediti!»
Francesca, classe ’46, contro “Hazet”: un bel maschione di un metro e ottanta.
Cambiare Milano si può.
Il dado è tratto, il bullone pure: serve solo una stretta, un bel giro di vite.
Ancora la cara, vecchia e fedele Hazet 36.
Io, secondo me...23.05.2011
venerdì 20 maggio 2011
giovedì 19 maggio 2011
BinXXX Laden
«Datemi una leva e un buon punto d'appoggio e vi solleverò il mondo!»
Grande Archimede...
no, non il Pitagorico, famoso inventore della banda Disney, nei fumetti di Topolino, ma il nato siracusano del lontano 287, prima della nascita di Salvatore, il buon Gesù nostro e ritenuto uno dei più grandi matematici di tutti i tempi.
Da allora non passa momento che, nella vita di tutti i giorni, si tocchi con mano quanto vera e applicata sia nel quotidiano questa legge fisica: nell’uso delle forbici piuttosto che della tenaglia oppure la carriola, il remo, lo schiaccianoci, le pinzette e via andare;
insomma: un manico della misura giusta, un baricentro nel punto adatto e una forza applicata nel senso opportuno ed ecco, la crescita rapida dello sforzo muscolare, il massimo risultato con il minimo sforzo.
Se mai ci può essere qualcosa di certo, oltre la morte, questo è il pistolotto che Archimede ci ha lasciato, nell’enunciare giusto maneggio della leva.
Beh...non proprio;
anche Osama Bin Laden ci ha messo del suo, sia di pistolotto che di leva, per avvalorare la teoria.
Certo, l’appoggio era meno stabile, ma funzionava: il mondo si alzava, poggiando l’asta sulle cassette VHS, quelle dei film pornografici.
Ben accucciato nella sua residenza pakistana di Abbottabad, sognava la Jihad avanzare con il vento in...poppe quando, più che “combattere”, nel suo caso, la parola araba tradotta nel volgare nostro e attualizzata sarebbe "esercitare il massimo sforzo".
Forse per quello, che i Navy Seals americani, facendo irruzione nel covo, hanno sparato all’impazzata: devono avere scambiato l’erezione del satiro per un minaccioso Kalashnikov puntato su loro.
Barack Obama seguiva la missione dalla “situation room” della Casa Bianca, insieme al vice Joe Biden e Hillary Clinton; pare ci sia stato un momento di parecchi minuti in cui le immagini non sono arrivate loro, e - sfiga vuole - proprio all’acme dell’azione, quando hanno fatto secco il Priapo in trifola.
Certo che sarà bastato il sonoro, a denunciare la drammaticità dell’azione, a dare sensazione dell’agonia;
«AAAAaaaah....OOOooooh», singhiozzi, singulti, mugolii, fruscii, sospiri...ma poi...
«SIIIiiii...ancora! Dai...ancoraaaaa...si, si, siii...fuck me!»...e qui, la “situation room” sarà diventata una “confused room”.
Obama avrà guardato stranito la Hillary; e questa, con sguardo da pesce lesso, il Biden.
Ma come: lo stanno traforando come un colino e il vegliardo pare ne goda?
Fortuna che riappare il faccione dell’ammiraglio William McRaven, - comandante delle operazioni speciali, che si trovava in Afghanistan e seguiva via video il blitz - che ha rimesso le cose a posto.
«Geronimo è stato preso!»
Tradotto: BinXXX Laden è morto!
In piedi, da eroe...o almeno: una torre con gemelli, c’era, a difendere e portare la bandiera della Jihad, ma pure quelli sono crollati.
Sul giornale, un breve trafiletto, tra i necrologi: “BinXXX Laden è morto, Cialis...ciati”.
“Datemi una leva e un buon punto d'appoggio...”.
Io, secondo me...18.05.2011
martedì 10 maggio 2011
sabato 7 maggio 2011
Il buco nell’acqua
Buttato a mare...
dieci anni d’appostamenti per impallinare il pollo e poi fai un buco nell’acqua e c’infili la carcassa?
Ehi, perticone, a me lo puoi dire: l’hai congelato...messo in una cassa piena di naftalina, nelle scatolette della Simmenthal, nei barattoloni della Nutella;
o forse...forse...ma dai, non sarai stato così fantasioso e creativo: sotto grappa, come le ciliegie?
Il vecchio barbone ha seminato morte e distruzioni in ogni angolo del mondo e tu...tu ci spari solo nella cozza, che quasi non si è reso conto del trapasso?
Ma dai: troppa grazia!
I morti, i molti innocenti che la serpe - lui o per causa - ha freddato, ti chiamavano;
quelli dell’11 settembre 2001 a New York e Washington, quelli dell’ottobre 2002 a Bali, del 17 maggio 2003 a Casablanca e a Riad;
del 15 novembre 2003 ad Istanbul, dell’11 marzo 2004, ad Atocha, Madrid fino al 7 luglio 2005, nella metropolitana di Londra: Barack Obama...Hussein...neanche la polvere si nasconde così velocemente, sotto il tappeto; neppure la demenza senile cancella così rapidamente il ricordo di tanto orrore.
Senza contare gli sgozzati;
quelli a cui si apriva la gola con studiata lentezza, gli si recideva pian piano i legamenti del collo e poi gli si appoggiava la testa sul petto, mandando poi i filmati di tanta maestria alla rete, dove tutti avevano - e hanno ancora modo - di seguire passo passo lo scollamento del capo dalla coda.
Start, play, pause, resume, rewind, reply...stop.
Provare per credere.
Poi, davanti a tanto, vediamo se si trova ancora qualche anima bella, a dire che “...le immagini di Osama Bin Laden morto sono truculente [...] potrebbe incendiare le passioni in diverse parti del mondo islamico [...] bisogna valutare l'opportunità e la necessità di pubblicarle, per via delle sensibilità che potrebbe andare a toccare”.
Beh, nessuno si è preoccupato di mostrare altrettanta tenerezza, quando invece ostentava le tecniche di sbalzo: non su legno, ma di capo e collo!
Una zucca riempita di buchi, a confronto, pare come vedere una casa con le finestre aperte, a cambiare l’aria viziata.
Dopo che siamo stati al banco, ad imparare, facciamo onore al maestro, dopo esserci presi spesso dell’asino!
Al fin della fiera, alzi la mano chi, se potesse tornare indietro e ne avesse opportunità, non strozzerebbe Hitler o Stalin in culla!
C’è voluta la morte per fermare la loro opera di sterminio.
Eppure già girano i “Lamentatores” in “penitenziaggine”, i masochisti con i testicoli sotto l’incudine;
si è detto e dato rimprovero, che non è stata azione degna di un paese civile, firmatario della convenzione di Ginevra, arrogarsi il diritto di giustiziare un uomo, senza neanche un processo...è un crimine di guerra!
Abbiamo sedimentato paure e rabbia, rancore, voglia di rivalsa e di vendetta e ora, oltre ai “Piagnones”, ecco che lo stangone d’America c’accoppa il fetente e lo imbottiglia nell’oceano, senza neppure darci tempo di assimilare, di sentire il sapore del rosolio, il gusto del miele, la dolcezza zuccherina, dopo l’abbeverata di tanto acido fiele.
Sono il primo a riconoscere che non si doveva replicare piazzale Loreto, con l’infame alzato per i piedi, come il maiale allo scanno, anche se del porco aveva setola, certamente in abbondanza, sullo stomaco.
Ma neppure spegnere la luce così, senza la poesia delle gradazioni, delle sfumature, del piacere della poetica spettacolare, che passa l’intera tavolozza di colori, dall’alba al tramonto.
Bin Laden vivo - click! - bin Laden morto.
No, non è gusto dell’orrido, ma la fregola tattile di san Tommaso, di vedere che la salma è quella classica, delle quattro ossa tenute assieme dal muscolo, qualche tendine a far da tirante e un poco di polpa a riempirne le intercapedini.
Far vedere un dio di carta in mutande, nel miserrimo spettacolo di un torsolo che di grandezza non aveva una beata fava e di grande solo la crudeltà.
Quando si sgonfia la mongolfiera, alfine si riconosce quanto la consistenza fosse solo d’aria.
Un pallone gonfiato!
L’hanno accoppato subito...no, dopo...a sangue freddo...no, dopo un conflitto a fuoco...
Machissenefrega!
A Cesare quel che è di Cesare, al Padreterno il resto: la pelle a noi, il fiato al cielo.
«Justice has been done»: giustizia è fatta, ha detto Tex Willer;
Si aggiunga il “latinorum”, che fa sempre scena: “Inter arma silent leges”, in guerra, le leggi tacciono!
Convengo che non è bello arrivare a tanta acrimonia;
non ne traggo orgoglio, neppure goduria...serenità però si.
E il cielo e il buon Dio mi perdoni, ma pur’io sono di carne ed ossa...ed è così bello vedere i serpenti nei recipienti, sotto formalina, formaldeide o alcool.
Io, secondo me...04.05.2011
Obasama
1 maggio 2011: una data consegnata alla storia, grazie a due cadaveri eccellenti.
Sarà pure una combinazione: uno diventa beato e l’altro - da martire - sarà proclamato santo - dai suoi - subito!
Due piccioni cono una fava, sembrerebbe.
Due morti, due mondi e due concezioni che si sono dati di schiena, rivolti ognuno all’orizzonte opposto, a voler proclamare l’eterna lotta tra il bene e il male, la contrapposizione tra la sacralità della vita e l’offerta della propria - voluta - e dell’altrui - subita - morte.
Il secondo, pare infilato di proposito, come una soletta nella scarpa.
1 maggio 2011: la Chiesa riconosce e proclama Beato Karol Wojtyla, il compianto ed amato Giovanni Paolo II;
1 maggio 2011: Osama Bin Laden è stato ucciso in Pakistan
Strano.
Ammetto: ho una mente contorta, sospettosa, maligna, perfida, ombrosa e dubbiosa, fino all’inverosimile.
Ma, di là dal primo salto di gioia, per ambedue le notizie, dell’Osama qualcosa non mi quadra;
l’avessero trovato in un tombino, come Saddam, oppure in una spelonca, una stamberga, una caverna, un buco puzzolente, una tana tra i rovi, passi.
Macche.
Bello e splendente come il sole, ad un tiro di schioppo da Islamabad, in Pakistan, dove poteva passare inosservato come la mosca nel latte.
Leggo dalle prime di cronaca, nello specifico, da “Il Foglio”, di Giuliano Ferrara:
“Il villaggio, dove hanno stanato Bin Laden, possiede accademie militari e diverse scuole per l'addestramento, nonché un posto di polizia, a 600 metri dal rifugio dello sceicco saudita. Una fortezza con mura altre quattro metri, senza finestre, con gente che andava e veniva di continuo e dove invece di raccogliere la spazzatura come tutti gli altri, lì era data alle fiamme”.
Ci sono abitudini che sono uguali in ogni parte del mondo: ogni sputo posto, dove ci sono quattro gatti, tutti sanno tutto di tutti;
le comari e le portinaie sono dappertutto, così come i curiosi: nel paese piccolo, la gente mormora, che vesta di sottana o di burka.
Questi sono da sempre i mezzi d’informazione più affidabili, di là dalla supercazzola tecnologica stile
"Echelon", quella rete informatica “iuessei” capace di controllare l'intero globo e di intercettare, selezionare e registrare ogni forma di comunicazione elettronica;
super computer e stazioni a terra, in grado di ricevere informazioni dai satelliti artificiali presenti in orbita, che da sempre escono ridicolizzati dal satellite terrestre, quello che gira per le strade, rasoterra e si chiama “ficcanaso”, senza contare le trasmissioni, quelle di “radio tam-tam”, che passano da orecchio ad orecchio, nei mercatini, dal panettiere, dal macellaio e nelle guardiole.
Sapevano.
Bin Laden era come il ghiacciolo nello scomparto del congelatore: pronto per l’uso, da scongelare e consumare, alla bisogna.
L’hanno segato ora, in una giornata sotto gli occhi del mondo, quando l’attenzione dell’universo - anche, se non soprattutto - mediatico, era a rivivere la figura di un grande, di un Papa senza frontiere, che era riuscito a "bucare" lo schermo, ad ottenere rispetto ed ammirazione ad entrare nei cuori di abitanti d’altre sponde, spirituali e d umane.
Un’amplificazione ed un’eco che riverbera ed amplifica ad ogni rimbalzo, a raggiungere i punti più reconditi della terra.
La visione, la lezione dell’occidente, che finalmente ha modo di salire in cattedra, ad ammansire e d ammonire, della venuta del premio, così come della certezza della punizione, del bene che scaccia il male, della luce che cancella la tenebra.
L’asso di bastoni calato da un presidente in picchiata libera, ricevitore di credito e cambiali firmate in bianco, che una promessa nera prometteva, ma più ormai di futuro che di pelle.
«Dammi una O, dammi una S, dammi una A, dammi una M, dammi una A», erano a cantare i sostenitori di Bin Laden, sino a poco fa;
«Dammi una O, dammi una B, dammi una A, dammi una M, dammi una A»;
ecco le "cheerleader" a stelle e strisce, rispondere a tono.
Tutto in stile holiwoodiano:
"Una squadra del Seal Team Six, il gruppo più segreto e preparato delle forze speciali americane, ha passato il confine pachistano a bordo di quattro elicotteri provenienti dall'Afghanistan. Sono scesi a terra in una tenuta cinta da mura e senza finestre mentre un drone forniva il fuoco di copertura [...] c'è stato uno scontro a fuoco in cui sono rimasti uccisi due corrieri, un figlio di Bin Laden e una donna non ancora identificata. La storia dello sceicco del terrore è finita con una pallottola in testa e gli uomini si sono portati via il corpo".
Prossimamente la carcassa, il trofeo, apparirà sotto i riflettori ed entrerà nel circo Barnum di tutti i mezzi d’informazione.
E di spettacolo.
Attenzione a non farne scempio ed oltraggio, a non profanare quello che ora è un tabernacolo, una reliquia, per il corpo tentacolare di Al Qaeda, che ormai ha molte teste e non morirà per il taglio di una sola;
il verbo-virus di Osama ha attecchito, figliando nel peggior modo: di pensiero, più che di carne.
Ormai più immagine che forma, braccato e tagliato fuori, era già da tempo silente ma possente simbolo, di un’ubriacante e stordente rinascita di un modo che, fino alla di lui venuta, era asservito e umiliato nei giochi di guerra e potere di un occidente invadente e invasivo;
Osama, che si voglia o no, ne ha fatto un protagonista, gli ha dato anima e motivazione, contrapponendo l’idea di superiorità etica e spirituale, opposta ad un avversario altrimenti materiale e materialista, in odore e puzzo di disfacimento e decadenza, sia di costumi come di morale.
«Giustizia è stata fatta!», gongola gigione l’Obama.
Calma, spilungone, che il bello arriva adesso;
non continuare ad essere "grand, gross e ciula", grande, grosso e buono a nulla, come sino ad oggi.
Hanno proclamato Beato l’amato Wojtyla;
non cucirgli addosso la figura di santo martire della Jihad, al Bin Laden, facendo lo sborone e mostrando la salma come il cacciatore la quaglia impallinata.
Hai tra le mani una patata bollente, anzi, una bomba: maneggiala con cura.
L’hai accoppato dopo che ha deposto e le uova si sono schiuse: scappati i buoi, hai chiuso la stalla.
Sei come quello che viaggia con il mezzo carico di tritolo, su strada sconnessa,
Occhio, che al tuo asso di bastoni non rispondano con quello di spade.
Dio non voglia che si vada incontro all’epoca "Obasama".
Io, secondo me...02.05.2011
Il mercato di Allam
L’armadio bisbiglia all’orecchio della montagna:
«Tieni d’occhio quel tipo, quello rotondo, con la pelata e il naso che pare la vela di una barca!»
Brutta roba quando una guardia del corpo ti sbircia, come il macellaio una bistecca.
Ti senti come la quaglia stanata dal segugio: prima o dopo arriva una schioppettata.
Uno per l’altro, quanto te li trovi di fronte hai l’impressione che ci sia l’eclissi.
«Tranquilli ragazzi: è il Beppe!»
Fortuna che qualcuno del gruppo mi riconosce, altrimenti passavo come la sfoglia tra i rulli della pasta.
Beh, è comprensibile: La scelta del nostro Magdi Cristiano Allam di passare al mercatino di quartiere - nel nostro caso quello di via Benedetto Marcello, a Milano - nonostante l’apparenza, non era una passeggiata.
Sabato 30 Aprile 2011: l’area era piena come un uovo.
Zona strategica, posizione ideale, subito dietro Corso Buenos Aires, la fiumana che arriva dalle vie laterali presto ne satura la luce, quando poi la varietà dei frequentatori è la più dissimile, dove sono presenti e mostrate le più varie etnie.
Inutile tirare ad indovinare: la più alta densità è quella della rappresentanza dell’Islam;
e Cristiano, da una buona parte di quelli, non è per nulla amato e, se tollerato, è già tanto.
D’accordo: la più parte è brava gente, che sgobba e abbassa il filone della schiena, a portare ceste e merce, a vendere e pensa a tirare a campare, ad arrivare a sera e legare pranzo con la cena.
Ma basta una testa matta, per fare la differenza e, in un posto ristretto ma densamente popolato, è come guardarsi girare attorno gli abitanti di un formicaio.
Far ballare le palle degli occhi non è mai troppo e quei tanti massicci guardiani avevano di che dannarsi, nel cercare di interpretare la tanta fauna che rimbalzava a destra e manca.
Cristiano poi, sembrava la pallina del Flipper: saltava come un grillo, da una parte all’altra, secondo chi lo riconosceva e lo chiamava.
Neanche un’anguilla scivolava così bene.
«Stavamo parlando proprio di lei», mi dice uno dei suoi angeli protettori.
«Guardi, non mi dica come, ma l'avevo intuito: ho capito cosa vuole dire rischiare di essere colpito dal fuoco amico!», rispondo.
Bravi ragazzi che, se mirano al nostro Magdi, anche loro sono sotto tiro, come i birilli del bowling.
La pelle se la giocano ogni giorno, perché è “mestiere”, il dovere del Poliziotto e del Carabiniere, quello che ce li fa tanto amare ma che non li ripaga per tanto che valgono.
Quando certuni, con disprezzo, arrivano anche a dire che “l’hanno scelto loro, di farlo”, quasi a farne una colpa, dimenticando che sono essi, comunque, a fare da cuscinetto tra noi e la legge del più forte.
Come per le merci esposte, anche la gente ha la sua, di bella o brutta faccia.
A seguire il gruppo, nelle retrovie, per così dire, ascoltavo ed osservavo le reazioni dei miei simili.
Gente distratta, indifferente, infastidita, che reagiva mormorando «Il solito politico» o «Un altro che si fa vedere quando ha bisogno, e poi se ne frega!» piuttosto del «Sempre qui, in mezzo ai piedi!», di quelli che “la politica è sporca...me ne frego; voglio solo fare la spesa senza rompiscatole tra le palle”.
In effetti, tende tendoni e tendine di tanti sostenitori d’aspiranti alla promozione, per le amministrative di Milano, ce n’erano e s’incrociavano, a distribuire “santini” ed immagini dei papabili, quasi ad offrire la Sindone con l’immagine del proprio, piuttosto che una fotografia.
Cercavi i pomodori e - Toh! - al posto della lista della spesa ti trovavi in mano il faccione stampato del Tizio; volevi le patate ed ecco, il muso rubicondo sul depliant, il volantino o il pieghevole del Caio!
Al contrario: certe volte era Cristiano, che rischiava di trovarsi in mano la gamba del sedano, cipolle, carote o la collana d’aglio, quando la “sciura Maria” lo riconosceva e attaccava bottone, più propensa a parlare che a sentirsi dire, a trovare “sfogatoio” per le rabbie represse di persone non più giovani, spesso costrette ad umiliazioni, a subire prepotenze, ad essere visti in trasparenza, della consistenza di una radiografia.
A non sentirsi più contare, in una realtà che li vuole quasi zavorra che li guarda come a rinfacciare che sarebbe ora che traslocassero in altro mondo, che tanto “la loro vita l’hanno fatta”.
Anche loro sono esseri umani e a tanti può non essere sembrato vero, d’aver sentito interesse vero per la loro condizione, dove di un Cristiano si può dire tutto, ma non che non si assuma le pene del prossimo, in special modo quando visto non da torri d’avorio, ma che puoi toccare e ti tocca, quando è materialità e non numero.
La parte migliore: un signore, non più di primo pelo, che gli si è avvicinato manifestando ammirazione, rispetto, simpatia per l’uomo Allam;
il bello è che era sostenitore e distributore d’immagine per un altro candidato, contrapposto al partito “Io amo l’Italia” e alla compagine “Io amo Milano”, per Letizia Moratti Sindaco, del nostro Cristiano.
Una bella lezione, che tanti politicanti di basso conio e di vetusta presenza, nella stanza dei bottoni, non hanno e mai capiranno: esiste modo di stare su opposti fronti, senza spararsi addosso!
Un mercato è puzza, è sudore, è respiro sotto il sole o al freddo, quanto di più vicino all’umano vivere.
Non è apparenza.
Non è scena.
Già vai al Centro Commerciale e tutto cambia, ma è altro, più forzato, più artefatto, più spettacolo.
L’elefante è grosso, ma le formiche sono tante.
Dal polso senti il cuore.
Le emozioni, le pulsioni, le passioni, vengono dal basso: la pelle si muove di un brivido, debole segnale di un terremoto, che ha epicentro più sotto.
Bene fa Cristiano a cercare le spinte dal lì.
Un giorno, un giorno qualunque...uno dei tanti, al mercato di Allam...anche se, mai abbassare la guardia...
«Tieni d’occhio quel tipo, quello rotondo, con la pelata e il naso che pare la vela di una barca!»
Io, secondo me...02.05.2011
cogito Eco sum
Cogito: Eco sum;
se le raccomandazioni dei vecchi hanno un fondo di verità, l’Umberto Eco è condannato alla cecità:
la pratica delle seghe mentali consumerebbe la sinapsi come il glaucoma il nervo ottico;
Lo sfregamento dello sconnesso porta a consumazione.
Fosse anche solo un “cogito interuptus”, farebbe stesso effetto di prendere l’aspirina per i calli.
A quelli come lui, dagli dell’intellettuale ed è come cantare “Uber alles”, per chi si sente e ritiene parte - anzi, “a parte” - dal sangue bastardo: lui, di pura “intellighenzia ariana”.
Sempre una spanna sopra gli altri, un passo dopo...un avanguardista, l’ardito con la sindrome del “boia chi molla!”, dove non è il colore o la divisa, che fa la differenza, ma l’azione.
E lui non molla - boia d'un mond lader - e continua, nella sua misura di ‘o nanismo.
«Sette italiani su dieci sono naturalmente berlusconiani [...] bisognerebbe educarli!»
E-DU-CAR-LI.
Con le purghe...con il bastone...con la Siberia...con il Gulag?
Dalle radici la soluzione: dal pescaggio il galleggiamento, per l’avvento della nuova corazzata Potemkin!
Il “semiologointellettualtuttologo” cammina sulle acque, dove il branco boccheggia, brandendo il Manifesto-vangelo;
messia da “sol dell’avvenire”, dopo che il faccione sudato ha impresso forma sulla nuova Sindone: la bandiera rossa, che non vuoi sia la volta buona che trionfi?!
Attorno, le masse bovine, da menare al pascolo, con le schiene piegate e piagate dal legno, quel che raddrizza e educa.
Eco di tromba, che risponde a quella di c...ompagno.
Petando e petardo, i fuochi li aprì lui: Alberto Asor Rosa, italianista ed intellettuale di riferimento, “er mejo” de sinistra e professore emerito di tanti altri “nonsocheccosa”.
«[...] incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni [...] certo, la pressione della parte sana del paese è un fattore indispensabile del processo ma, come abbondantemente dimostrato, non sufficiente. Ciò cui io penso è invece una prova di forza che [...] instaura quello che io definirei un normale “stato d’emergenza” [...] Carabinieri e Polizia di Stato congelino le Camere [...] sospendano tutte le immunità parlamentari, restituiscano alla magistratura le sue possibilità e capacità d’azione, stabiliscano d’autorità nuove regole elettorali [...] la democrazia si salva, anche forzandone le regole.»
Se questa è la crema, immaginiamoci il resto, dei compagni di merende.
E dicono tanto senza vergogne, senza senso...di golpe!
Questi, sono i brutti ceffi de “armiamoci e partite”, quelli che appiccano le fiamme e poi se ne stanno a guardare, di quanto la dialettica possa bruciare.
Sono i figli della purga, i signori dell’olio di ricino, la benzina per il fuoco, quelli che passano le pallottole a chi spara, che fanno scivolare i nastri del piombo nella mitraglia.
Rimbomba l’Eco: «[...] al 75 per cento degli italiani, in fondo, le cose vanno bene così.»
Cazzo...ma...allora questa è la democrazia, il volere del popolo, uscito dalla conta, della preferenza, uscita dalle urne elettorali!
Sette su dieci, stando ai numeri che dà l’Umby.
Tre quarti da rieducare!
S’accorge d’averla fatta fuori dal vasino, l’Umberto;
ha un momento di lucidità e rettifica un poco il tiro:
«In Italia siamo senza governo, nelle mani di un'anarchia o di MINORANZE PARACRIMINALI [...] non perché uccidano gente per la strada, ma perché sono fuori da ogni legalità».
No, botolo: la scheda, la maggioranza, te l’ha infilata nel...nella cassetta elettorale;
la legalità c’è, anche se vorresti correggerla e piegarla, a misura del bocchino tuo, come ha provato il Max D’Alema con il suo «[...] è vero che il centrosinistra è minoranza, ma è il primo partito tra gli italiani che leggono libri, che leggono i giornali...»
Usando la matematica dell’Eco e la logica del Max, tre quarti del paese è cretino e analfabeta.
«...naturalmente berlusconiani [...] bisognerebbe educarli!»
Cogito: Eco sum, e il mondo diventa Rosa...Asor;
'A sòreta tua!
Io, secondo me...28.04.2011
mercoledì 27 aprile 2011
Napoleoncino
Carte, ori, primiera, settebello e napola...c’ha inchiappettato, pure con la scopa!
E bravo il nano.
Noi, a guardare oltre le sponde, l’Africa, laggiù, in fondo, pensando di avere le spalle coperte...e poi, il bruciore, della fregatura.
Le bombe che si sta prendendo Gheddafi non sono nulla, a confronto di quelle che ci ha scaricato addosso il Sarkozy, dove le macerie le avremo al momento della resa dei conti, quando capiremo davvero cosa ci ha colpito, tanto da fare tabula rasa della nostra economia, dove ci troveremo sfilato da sotto i contratti con la Libia, dallo sfruttamento del petrolio e del gas e tutto l’indotto, dall’edilizia alle strade, senza contare quel che vendevamo e ci compravano a buon prezzo.
Ora, comunque vadano le cose, siamo tagliati fuori;
Sarkozy aveva bel pasturato, facendo incontrare i capoccia degli eroici rivoltosi dai suoi servizi segreti, per preparare il trappolone, che doveva prendere due piccioni con una fava: eliminare il beduino e fottere l’Italia.
Che fosse un dittatore, se ne sono accorti solo ora, dopo quarant’anni, ma di questi il mondo ne è pieno: non per questo siamo a far guerra a questo e a quello.
Litigare costa e, se non c’è ritorno di spiccioli, si lascia che i fuochi si spengano da soli.
Come in Ruanda quando Hutu e Tutsi si menarono, nel ’94: si stette al balcone, a godersi lo spettacolo della macellazione di quasi un milione di persone.
Ma lì, non c’era niente da ramazzare.
In Siria, come nelle piazze in Iran, dove ragazzi vengono tranquillamente sparati, si volta il collo dall’altra parte: mica sarebbe una passeggiata, come si pensava e si crede in Libia;
lì, non essendoci stata una “spontanea” rivolta di popolo, ma l’ingaggio di bande armate, non c’è stato quel ribaltamento tanto sperato, perché l’esercito è rimasto compatto, con il Gheddafi, così come tanto della popolazione.
Prova sono proprio i filmati e il muovere degli stessi rivoltosi, dove quel che arrivava da quelli erano solo miserabili spezzoni di quattro pirla, che sparano alle quaglie e alle dune;
e sorridono, come cretini, nell’immortalarsi per tanta coglionaggine; salvo poi chiamare la mamma, quando li menano.
Tanto è vero che, il napoleoncino ha dovuto mettere in campo l’artiglieria visto che, dalla sua armata Brancaleone, gli ritornavano solo fiaschi e non barili di petrolio.
E qui ha raggiunto il massimo del cinismo e del menefreghismo, mettendo i letargici alleati europei e il bradipo americano nelle condizioni del fatto compiuto e di dover muoversi prima a strascico, poi a rincorsa ed infine a ritmo del tamburo, che scandiva la remata gallica.
Ad un logorante e lento embargo, ad una inefficace “No fly zone”, che avrebbe coperto solo i cieli, lasciando scoperto il culo dei ribelli, preso difilato da carri armati e missileria, ha dovuto scoprire le carte, denunciando al mondo i suoi veri progetti: essere il Giuda dei trenta denari, tradire, imbrogliare, ingannare, pugnalare alla schiena i suoi dirimpettai, lasciandoli in mutande, sfilandogli pure il portafoglio;
alla faccia di tante anime belle, che ancora credevano nelle favole ed erano a magnificare la riscossa e il riscatto dei buoni, che cacciavano il cattivo.
No, la guerra non andava dichiarata a Gheddafi, ma a Sarkozy!
Di tanti denunciato massacri in Libia, non c’è mai arrivato nulla, dai rivoltosi, dediti più all’autoritratto, a mandare immagini di scemi che sparavano dietro gli angoli, dove non c’era nessuno o in cielo, dove al massimo colpivano qualche pennuto: come ci sono arrivate quelle frescacce, perché non allora anche carne macellata?
Ora ci fanno vedere qualcosa, ma le bombe francesi e dei buoi al pascolo, che si sono trascinati dietro, sicuramente hanno mietuto del loro;
prima dei droni ora messi in campo - che un poco di vista ce l’hanno - quel che cadeva aveva l’intelligenza selettiva del “a chi tuca taca”, a chi tocca, tocca, colpendo nel mucchio:
Anche le armate di Gheddafi si erano fatte furbe, smettendo la divisa e indossando gli stracci, a confondere le idee alle costose ferraglie di quegli “aiuti umanitari”, dove si era messo in campo un cannone per colpire la zanzara.
Dopo aver toccato il ridicolo - “gente, non c’è più un missile” - delle scorte belliche in riserva, alla santabarbara da rifocillare, alla polvere da sparo che stava per finire, ora sono riusciti a far aprire il magazzino per munizioni anche all’Italia, a pompare altra ferramenta nel serbatoio dei fuochi d’artificio, che erano alla canna del gas.
E noi, mazziati e cornuti;
altro che carte, ori, primiera, settebello, napola e scope a non finire: dobbiamo pure servire al tavolo “Napoleoncino”, che gli sono venute altre voglie.
Anche noi, lo stesso, arriveremo in fondo.
Nudi.
Nudi alla meta.
Io, secondo me...27.04.2011
venerdì 22 aprile 2011
martedì 19 aprile 2011
venerdì 15 aprile 2011
Amici miei
"Ebrei razza maledetta!".
L’hanno impiccato.
Non quelli, gli ebrei, i “topi di fogna”, i “maledetti”, quelli che “dovevano scomparire”, secondo l’amor Vittorio;
l’hanno conciato per le feste, l’Arrigoni: tanto di cravatta, con il nodo all’ultimo grido, quello scorsoio!
Giusto il tempo di abbrancarlo, dargli una manica di botte ed estirpargli il fiato dalla carcassa;
neppure a rispettare la scadenza dell’ultimatum, per vedere se le condizioni per la sua liberazione sarebbero state soddisfatte o no.
Rapito nella Striscia di Gaza da un gruppo islamico salafita, la “Brigata Mohammed Bin Moslama”, ecco la proposta al governo di Hamas di liberare i compagni detenuti: questi per quello.
Ma non ce l’hanno fatta, a resistere alla tentazione, all’istinto d’accoppare, che si portano dentro, nei cromosomi.
Hamas non ce la fa a rimanere senza fare a botte con qualcuno: quando non con i dirimpettai - i “topi di fogna”, i “maledetti”, quelli che “dovevano scomparire” - si spararono in famiglia - parenti serpenti, come con quelli di Al Fatah;
oggi, continuando con i pruriti tipici dei “Cercarogna”, sono ai ferri corti con altri “fratelli”: la corrente armata dei Salafiti, piccoli ma fastidiosi, ideologicamente vicini all’Al Qaeda di Bin Laden, di cui vorrebbero fosse imitata la più sanguinosa violenza.
Per loro, che riconoscono solo l’obbedienza e la lealtà assoluta dovute a Dio, all’islam e ai musulmani, Hamas è troppo morbida, oltre che complice di regimi stranieri e sciiti - Iran e Siria - considerati eretici perchè non sono sunniti. I Salafiti vogliono la fondazione di un Emirato islamico; Hamas no.
Antiche e mai sopite beghe...di campanile.
Ma quando c’è l’odio nei cuori, ogni pretesto è buono, per scannarsi a vicenda e in famiglia.
L’Arrigoni ha fatto la parte di quello che sta tra l’incudine e il martello.
Unica foto ricordo che rimane di lui, è quella dove una mano lo tiene per i capelli, gli occhi bendati e la faccia pesta e lacera, di un bel colorito rosso, tipo “bistecca al sangue”.
La fine del Vittorio, inviato del manifesto, attivista e cooperante, innamorato della causa di quegli attaccabrighe dove, tra i due litiganti, non è stato quel che gode.
Povero Vito: impegnato a diffondere propaganda contro Israele, si è speso a sputarci contro, ad inventarsi un nemico che non c’era, a cercare il diavolo davanti quando invece ci stava seduto sopra.
Per la sua innamorata ha mentito, ha inanellato collane di bugie e menzogne, finto, spergiurato, tanto da farsi l’ennesima canna, come ai tempi dei sogni d’infanzia, quando delirava del bel “Sol dell’avvenire”, quello che non tramontò, perché neppure ebbe a nascere, a vedere...la luce.
L’oppio dei popoli lo aveva in casa, e se ne fece, di spipazzamenti.
Alla fine ha cambiato il pusher, ma sempre di schifezza si è riempito, tanto da tirar le cuoia.
Pacifista alla “L’unico ebreo buono è quello morto”, ha trovato altri “pacifisti” di pari stampo.
Ora la pace con Israele l’ha raggiunta: la migliore, la più lunga, quella eterna.
I topi che l’hanno segato, erano quelli della fogna di famiglia;
la “razza maledetta” non gli ha torto un capello: la sua, invece, gli ha attorcigliato il collo.
quelli che “dovevano scomparire” non lo avevano neppure ca...considerato: i suoi, invece si, che l’hanno “scomparito”.
Mazziato e cornuto;
e che si aspettava, da criminali, torturatori e macellai, che ancora hanno tra le mani il povero Gilad Shalit, prigioniero da 5 anni, dove il Vittorio brillò in sarcasmo e sadica goduria, scrivendo:
"Mi riferiscono che i telegiornali nazionali in questi giorni intasano l’etere illuminando i riflettori sulla vicenda del soldato Gilad Shalit, unico prigioniero israeliano nelle mani dei palestinesi, prigioniero di guerra".
Sia chiaro: il Vito non è un martire, ma un povero estremista che aveva fatto dell’odio scopo di vita.
Gli amici l’hanno fregato, avendone fatto scopo di morte.
Bello scherzo gli hanno tirato i compagni di merende.
Il bel Vittorio ci avrebbe potuto girare un film, rubando il titolo al compianto regista Mario Monicelli.
Amici miei.
Io, secondo me...15.04.2011
L’hanno impiccato.
Non quelli, gli ebrei, i “topi di fogna”, i “maledetti”, quelli che “dovevano scomparire”, secondo l’amor Vittorio;
l’hanno conciato per le feste, l’Arrigoni: tanto di cravatta, con il nodo all’ultimo grido, quello scorsoio!
Giusto il tempo di abbrancarlo, dargli una manica di botte ed estirpargli il fiato dalla carcassa;
neppure a rispettare la scadenza dell’ultimatum, per vedere se le condizioni per la sua liberazione sarebbero state soddisfatte o no.
Rapito nella Striscia di Gaza da un gruppo islamico salafita, la “Brigata Mohammed Bin Moslama”, ecco la proposta al governo di Hamas di liberare i compagni detenuti: questi per quello.
Ma non ce l’hanno fatta, a resistere alla tentazione, all’istinto d’accoppare, che si portano dentro, nei cromosomi.
Hamas non ce la fa a rimanere senza fare a botte con qualcuno: quando non con i dirimpettai - i “topi di fogna”, i “maledetti”, quelli che “dovevano scomparire” - si spararono in famiglia - parenti serpenti, come con quelli di Al Fatah;
oggi, continuando con i pruriti tipici dei “Cercarogna”, sono ai ferri corti con altri “fratelli”: la corrente armata dei Salafiti, piccoli ma fastidiosi, ideologicamente vicini all’Al Qaeda di Bin Laden, di cui vorrebbero fosse imitata la più sanguinosa violenza.
Per loro, che riconoscono solo l’obbedienza e la lealtà assoluta dovute a Dio, all’islam e ai musulmani, Hamas è troppo morbida, oltre che complice di regimi stranieri e sciiti - Iran e Siria - considerati eretici perchè non sono sunniti. I Salafiti vogliono la fondazione di un Emirato islamico; Hamas no.
Antiche e mai sopite beghe...di campanile.
Ma quando c’è l’odio nei cuori, ogni pretesto è buono, per scannarsi a vicenda e in famiglia.
L’Arrigoni ha fatto la parte di quello che sta tra l’incudine e il martello.
Unica foto ricordo che rimane di lui, è quella dove una mano lo tiene per i capelli, gli occhi bendati e la faccia pesta e lacera, di un bel colorito rosso, tipo “bistecca al sangue”.
La fine del Vittorio, inviato del manifesto, attivista e cooperante, innamorato della causa di quegli attaccabrighe dove, tra i due litiganti, non è stato quel che gode.
Povero Vito: impegnato a diffondere propaganda contro Israele, si è speso a sputarci contro, ad inventarsi un nemico che non c’era, a cercare il diavolo davanti quando invece ci stava seduto sopra.
Per la sua innamorata ha mentito, ha inanellato collane di bugie e menzogne, finto, spergiurato, tanto da farsi l’ennesima canna, come ai tempi dei sogni d’infanzia, quando delirava del bel “Sol dell’avvenire”, quello che non tramontò, perché neppure ebbe a nascere, a vedere...la luce.
L’oppio dei popoli lo aveva in casa, e se ne fece, di spipazzamenti.
Alla fine ha cambiato il pusher, ma sempre di schifezza si è riempito, tanto da tirar le cuoia.
Pacifista alla “L’unico ebreo buono è quello morto”, ha trovato altri “pacifisti” di pari stampo.
Ora la pace con Israele l’ha raggiunta: la migliore, la più lunga, quella eterna.
I topi che l’hanno segato, erano quelli della fogna di famiglia;
la “razza maledetta” non gli ha torto un capello: la sua, invece, gli ha attorcigliato il collo.
quelli che “dovevano scomparire” non lo avevano neppure ca...considerato: i suoi, invece si, che l’hanno “scomparito”.
Mazziato e cornuto;
e che si aspettava, da criminali, torturatori e macellai, che ancora hanno tra le mani il povero Gilad Shalit, prigioniero da 5 anni, dove il Vittorio brillò in sarcasmo e sadica goduria, scrivendo:
"Mi riferiscono che i telegiornali nazionali in questi giorni intasano l’etere illuminando i riflettori sulla vicenda del soldato Gilad Shalit, unico prigioniero israeliano nelle mani dei palestinesi, prigioniero di guerra".
Sia chiaro: il Vito non è un martire, ma un povero estremista che aveva fatto dell’odio scopo di vita.
Gli amici l’hanno fregato, avendone fatto scopo di morte.
Bello scherzo gli hanno tirato i compagni di merende.
Il bel Vittorio ci avrebbe potuto girare un film, rubando il titolo al compianto regista Mario Monicelli.
Amici miei.
Io, secondo me...15.04.2011
lunedì 11 aprile 2011
Profustini
No, “Profustini” non è una riedizione della famosa pubblicità del detersivo, quella del «Le offro due fustini in cambio del suo Dash», dove un sorridente Paolo Ferrari si scontrava contro un muro di provata fedeltà casalinga, verso quella polverina incantatrice.
Profustini è il prodotto della fusione di due parole che, mescolate assieme, riportano alla formula dell’intruglio che trasforma il dottor Jekyll nel mostruoso mister Hyde;
la mutazione, nel nostro caso, è dipendente dal chilometraggio: quel che rappresenta carne per il buon Samaritano a Lampedusa, irrita il delicato nasino dei francesi e diventa puzza, tanfo e fetore.
Parte uno come “profugo” e arriva “clandestino”, simile ad un bandito, da prendere a schioppettate.
Malta non li vuole, tanto da aver persino negato loro aiuto sotto naufragio;
Germania nemmeno, dopo che le gloriose fornaci sono state spente e non sanno altrimenti come e dove cucinare quelle portate di carne;
la Spagna mostrò già carità e misericordia nelle sue enclave di Ceuta e Melilla, in Marocco.
Era l’ottobre del 2005 quando il sinistro Zapatero schierò l’esercito con l’ordine di sparare:
sulla costa arrivarono duemila militari armati in aggiunta agli uomini della Guardia Civil, per fronteggiare l’assalto di quelle centinaia di disperati, dell’ex Marocco spagnolo.
La vicenda si finì con durissimi scontri che costarono la vita a cinque persone, compreso un neonato.
La Grecia non fu da meno: per bloccare l’immigrazione clandestina, proveniente oltre che dal Maghreb anche dall’Iraq, Afghanistan, Iran, Pakistan ecco l’idea di un muro alto cinque metri e lungo dodici chilometri al confine con la Turchia, nella regione del fiume Evros vicino alla cittadina di Orestiada.
Ma quel che mi fa incazzare è la Francia, con il suo rispolverare la mai presunzione di “Grandeur”, esaltata dalle azioni del Sarkozy, nanetto malefico che si crede Napoleone, ma a quello pari solo in statura: quella centimetrata, non di genio militare o politico.
Tutto sto casino lo ha provocato lui, il megalomane in miniatura, che gioca ai soldatini con la visione tattico-strategica di un ritardato.
C’era una diga e l’imbecille ne ha tolto il tappo!
Prima ha mandato i suoi servizi segreti a contattare e contrattare con i futuri capi di quelli che poi sarebbero figurati come “eroici rivoltosi” ma, a tutti gli effetti, straccioni da armata Brancaleone.
Poco male: dovevano e devono essere solo “asino che trotta”, comparse da operetta, come quelle bolse di Cinecittà, che facevano i centurioni con pancetta e prestanza da rachitico.
“Chissenefrega”, ha pensato il “peduncolo de France”: faccio passare quei quattro pirla - che si mettono in posa e sparano alle quaglie, sorridendo come per una foto ricordo - come prodi combattenti per la libertà e quelli per e con Gheddafi, come feroci stragisti, e poi li bastono, con la “geometrica potenza” dei bombardoni aerei;
Et voilà, rien ne va plus, les jeux sont faits!
Una beata fava.
Dopo aver usato e messo gli “alleati” davanti al fatto compiuto, li ha obbligati a prendere posizione: la sua dove, avendo dato il “la”, pensava di avere la bacchetta per dirigere l’orchestra.
Fregando agli italiani le concessioni e le patenti privilegiate per gestire l’estrazione del petrolio libico.
Un colpo al cerchio e una alla botte...anzi, all’autobotte!
Con la rivolta del pane, quella di piazza Tahrir, in Egitto, quella della piazza siriana o iraniana, in Yemen, quella della Libia centra come i cavoli a merenda.
L’appoggio, il sostenimento, la fedeltà a Gheddafi non si è squagliata come per Mubarak o in Tunisia, con il Ben Alì;
Anche sotto le bombe “misericordiose” francesi e inglesi, i missili americani e bombarderia varia, gente che combatte per il Muammar c’è e non molla.
Segno che la rivolta è da operetta, fatta più da bande con mentalità tribale, piuttosto che insofferenti sotto la tirannia.
Prova è che, prima che apparisse l’avventuriero nanuto, dai barconi di profughi mai scese un libico.
Un perché non se ne fuggirono - già da allora - dal loro paese, ci sarà, no?
Forse la vitaccia non era proprio cavallina, come si suole dire.
Ora, dopo che i bombardieri del galletto formato mignon, hanno colpito alla “a chi tuca taca”, a chi tocca tocca, non sanno più a cosa mirare: anche senza aerei ed elicotteri, il perfido beduino continua a mazzolare quei quattro pistola da farsa;
il cammelluto non ne vuol sapere di crepare.
Dovesse farcela, a mettere in stallo tutta la ferramenta bellica occidentale e mantenere i pozzi dell’oro nero, tra tutti i litiganti andrebbe a finire che la torta se la mangerebbero i cinesi!
Ideona.
Dividiamo la Libia in due: Gheddafi con la parte sabbiosa e dall’altra, le vasche del “latte di Poppea”, dove la mezzacalzetta francesina vorrebbe farsi il bagno.
E che il frutto di tanto “farsiicazzisuoi” ricada pure su quei fessi d’italiani, dove tutti hanno pensato di sigillare le proprie frontiere per lasciare aperto solo i buchi del colabrodo italiota!
Alla faccia di quella che sempre più è Eurabia, dove ognuno pensa ai propri calli, fregandosene - anzi, fregando - dell’altrui.
Per questo, vorrei tanto che la “Grandeur” si smarrisse tra le sabbie del deserto, e rivivesse un’altra Dien Bien Phù e Gheddafi diventi Vo Nguyen Giap;
no, meglio: il gemello di Pierre Jacques Étienne visconte di Cambronne, generale francese che, a Waterloo, all’intimazione inglese di «Granatieri, arrendetevi!», rispose con il meglio che sarebbe per “Nanozy”.
«Merde!»
Anche a nome dei “Profustini”.
Io, secondo me...11.04.2011
Profustini è il prodotto della fusione di due parole che, mescolate assieme, riportano alla formula dell’intruglio che trasforma il dottor Jekyll nel mostruoso mister Hyde;
la mutazione, nel nostro caso, è dipendente dal chilometraggio: quel che rappresenta carne per il buon Samaritano a Lampedusa, irrita il delicato nasino dei francesi e diventa puzza, tanfo e fetore.
Parte uno come “profugo” e arriva “clandestino”, simile ad un bandito, da prendere a schioppettate.
Malta non li vuole, tanto da aver persino negato loro aiuto sotto naufragio;
Germania nemmeno, dopo che le gloriose fornaci sono state spente e non sanno altrimenti come e dove cucinare quelle portate di carne;
la Spagna mostrò già carità e misericordia nelle sue enclave di Ceuta e Melilla, in Marocco.
Era l’ottobre del 2005 quando il sinistro Zapatero schierò l’esercito con l’ordine di sparare:
sulla costa arrivarono duemila militari armati in aggiunta agli uomini della Guardia Civil, per fronteggiare l’assalto di quelle centinaia di disperati, dell’ex Marocco spagnolo.
La vicenda si finì con durissimi scontri che costarono la vita a cinque persone, compreso un neonato.
La Grecia non fu da meno: per bloccare l’immigrazione clandestina, proveniente oltre che dal Maghreb anche dall’Iraq, Afghanistan, Iran, Pakistan ecco l’idea di un muro alto cinque metri e lungo dodici chilometri al confine con la Turchia, nella regione del fiume Evros vicino alla cittadina di Orestiada.
Ma quel che mi fa incazzare è la Francia, con il suo rispolverare la mai presunzione di “Grandeur”, esaltata dalle azioni del Sarkozy, nanetto malefico che si crede Napoleone, ma a quello pari solo in statura: quella centimetrata, non di genio militare o politico.
Tutto sto casino lo ha provocato lui, il megalomane in miniatura, che gioca ai soldatini con la visione tattico-strategica di un ritardato.
C’era una diga e l’imbecille ne ha tolto il tappo!
Prima ha mandato i suoi servizi segreti a contattare e contrattare con i futuri capi di quelli che poi sarebbero figurati come “eroici rivoltosi” ma, a tutti gli effetti, straccioni da armata Brancaleone.
Poco male: dovevano e devono essere solo “asino che trotta”, comparse da operetta, come quelle bolse di Cinecittà, che facevano i centurioni con pancetta e prestanza da rachitico.
“Chissenefrega”, ha pensato il “peduncolo de France”: faccio passare quei quattro pirla - che si mettono in posa e sparano alle quaglie, sorridendo come per una foto ricordo - come prodi combattenti per la libertà e quelli per e con Gheddafi, come feroci stragisti, e poi li bastono, con la “geometrica potenza” dei bombardoni aerei;
Et voilà, rien ne va plus, les jeux sont faits!
Una beata fava.
Dopo aver usato e messo gli “alleati” davanti al fatto compiuto, li ha obbligati a prendere posizione: la sua dove, avendo dato il “la”, pensava di avere la bacchetta per dirigere l’orchestra.
Fregando agli italiani le concessioni e le patenti privilegiate per gestire l’estrazione del petrolio libico.
Un colpo al cerchio e una alla botte...anzi, all’autobotte!
Con la rivolta del pane, quella di piazza Tahrir, in Egitto, quella della piazza siriana o iraniana, in Yemen, quella della Libia centra come i cavoli a merenda.
L’appoggio, il sostenimento, la fedeltà a Gheddafi non si è squagliata come per Mubarak o in Tunisia, con il Ben Alì;
Anche sotto le bombe “misericordiose” francesi e inglesi, i missili americani e bombarderia varia, gente che combatte per il Muammar c’è e non molla.
Segno che la rivolta è da operetta, fatta più da bande con mentalità tribale, piuttosto che insofferenti sotto la tirannia.
Prova è che, prima che apparisse l’avventuriero nanuto, dai barconi di profughi mai scese un libico.
Un perché non se ne fuggirono - già da allora - dal loro paese, ci sarà, no?
Forse la vitaccia non era proprio cavallina, come si suole dire.
Ora, dopo che i bombardieri del galletto formato mignon, hanno colpito alla “a chi tuca taca”, a chi tocca tocca, non sanno più a cosa mirare: anche senza aerei ed elicotteri, il perfido beduino continua a mazzolare quei quattro pistola da farsa;
il cammelluto non ne vuol sapere di crepare.
Dovesse farcela, a mettere in stallo tutta la ferramenta bellica occidentale e mantenere i pozzi dell’oro nero, tra tutti i litiganti andrebbe a finire che la torta se la mangerebbero i cinesi!
Ideona.
Dividiamo la Libia in due: Gheddafi con la parte sabbiosa e dall’altra, le vasche del “latte di Poppea”, dove la mezzacalzetta francesina vorrebbe farsi il bagno.
E che il frutto di tanto “farsiicazzisuoi” ricada pure su quei fessi d’italiani, dove tutti hanno pensato di sigillare le proprie frontiere per lasciare aperto solo i buchi del colabrodo italiota!
Alla faccia di quella che sempre più è Eurabia, dove ognuno pensa ai propri calli, fregandosene - anzi, fregando - dell’altrui.
Per questo, vorrei tanto che la “Grandeur” si smarrisse tra le sabbie del deserto, e rivivesse un’altra Dien Bien Phù e Gheddafi diventi Vo Nguyen Giap;
no, meglio: il gemello di Pierre Jacques Étienne visconte di Cambronne, generale francese che, a Waterloo, all’intimazione inglese di «Granatieri, arrendetevi!», rispose con il meglio che sarebbe per “Nanozy”.
«Merde!»
Anche a nome dei “Profustini”.
Io, secondo me...11.04.2011
venerdì 8 aprile 2011
Imammuth
«Pensa ai cassi tò!»
Pensa agli affari tuoi...
beh, detto magari in maniera un pochino più volgarotta, nel bel dialetto meneghino.
Ma così i miei vecchi apostrofavano gli impiccioni, quelli che entravano pesantemente e a gamba tesa nella vita e nel privato d’altri, nell’orticello personale, dove ognuno coltiva del suo, in un fazzoletto che confina e termina dove inizia la libertà d’altri.
Ora, nessuno può biasimare chi opina del proprio, si affaccia ad osservare e discute di come si è seminato nella terra appresso; ma la cosa deve terminare lì, dove ognuno poi raccoglierà dell’opera sua, bene o male a seconda di come ha saputo fare.
Si andrà al mercato e si esporrà la merce, il frutto del proprio lavoro: piace, ci sarà chi compra;
fa schifo: tornerai al focolare con la coda tra le gambe e le pive nel sacco:
imparerai una lezione e, se avveduto nel capire dove l’errore, sarà motivo per far meglio la volta prossima.
Un bel “Pensa ai cassi tò!” se l’è beccato Abdul Qavi, imam di un posto qualunque del Pakistan.
Il fustigatore è andato in ebollizione, nel vedere le cosce scoperte di Veena Malik - soubrette, showgirl, velina o attrice che dir si voglia - durante un a trasmissione televisiva, il programma indiano “Big Boss 4”.
“Puttana” è uno dei tanti appellativi che l’Abdul gli ha lanciato, ovviamente tradotto dal linguaggio suo, seguito da lanci d’insulti in crescendo.
Veena non ha capito d’aver a che fare con un residuato, un rottame d’altri tempi, che oggi vive tra noi come il giapponese che, non avendo mai saputo della fine della guerra, continuava a farla, nell’ignoranza più assoluta che essere rimasto indietro.
Abdul sicuramente mette lo chador o il burka anche alle coscette di pollo o di coniglio, prima di mangiarle e, se capita di vedere qualche pezzo di quelle carni bianche, sicuramente arrossisce di vergogna e si picchia il pisello con l’incudine, castigandolo per essersi affacciato pure lui a guardare l’impudico arto!
Succede una cosa inaudita: Veena, una DONNA, l’essere valutato per metà valore di un uomo, domestico come il cane, impudica come il maiale e sciocca come una scimmia, ribatte, rimbecca e cazzia l’UOMO.
«Imam, non ho fatto nulla di male, non ho infranto alcuna legge o la legge islamica. Sono tutti contro di me perché sono una donna e un bersaglio facile? Cosa dice il suo islam, sir?»
Pazzesco.
Come si dice da noi, e Abdul concorda: a questo mondo, non c’è più...religione!
Abdul, Abdul...come ti capisco: quella che per te è solo una vacca da latte, una puledra da monta, una pecora da tosare, una gallina ovaiola, ora si ribella.
Inconcepibile, assurdo, sacrilego, esecrabile, empio e blasfemo: è venuto il momento di tirarle il collo!
Veena ha ricevuto minacce di morte dagli islamisti e alcuni religiosi hanno emesso una fatwa di morte contro di lei per avere “umiliato l’islam” e disonorato il proprio paese.
La fatwa è pari al piantare spilloni nel corpo di un’immagine rappresentante la vittima, come nel rito Voodoo, perchè peste la colga.
I cavernicoli del fondamentalismo islamico ormai la tirano in ballo in ogni momento, con la stessa frequenza ormai con cui si prendono le bottigliette di aranciata ai distributori automatici.
Questi subumani hanno clonato pure Allah, creandone uno ad immagine loro, della loro crudeltà, della loro voglia di sangue e morte; e pure sadico, per masochisti che godono nell’essere servi e succubi di uno che li maltratti.
Con la misericordia, la pietà e il perdono, loro soffrono pene atroci e d indicibili: godono nella tortura, vogliono un essere che li domini e abusi del loro corpo, tanto da vantarsi nell’adorare il martirio, tanto da non avere paura di morire, quanto di vivere.
Forse hanno ragione: si sento inadeguati per questo, che richiede fatica, mentre il crepare è facile.
Di Abdul Qavi ce ne sono ancora, ma tante Veena Malik sono stanche di dover servire questi sottosviluppati mentali.
Forse ci siamo: sta per avvicinarsi l’estinzione degli Imammuth;
Insciallah...a Dio piacendo!
Io, secondo me...06.04.2011
Pensa agli affari tuoi...
beh, detto magari in maniera un pochino più volgarotta, nel bel dialetto meneghino.
Ma così i miei vecchi apostrofavano gli impiccioni, quelli che entravano pesantemente e a gamba tesa nella vita e nel privato d’altri, nell’orticello personale, dove ognuno coltiva del suo, in un fazzoletto che confina e termina dove inizia la libertà d’altri.
Ora, nessuno può biasimare chi opina del proprio, si affaccia ad osservare e discute di come si è seminato nella terra appresso; ma la cosa deve terminare lì, dove ognuno poi raccoglierà dell’opera sua, bene o male a seconda di come ha saputo fare.
Si andrà al mercato e si esporrà la merce, il frutto del proprio lavoro: piace, ci sarà chi compra;
fa schifo: tornerai al focolare con la coda tra le gambe e le pive nel sacco:
imparerai una lezione e, se avveduto nel capire dove l’errore, sarà motivo per far meglio la volta prossima.
Un bel “Pensa ai cassi tò!” se l’è beccato Abdul Qavi, imam di un posto qualunque del Pakistan.
Il fustigatore è andato in ebollizione, nel vedere le cosce scoperte di Veena Malik - soubrette, showgirl, velina o attrice che dir si voglia - durante un a trasmissione televisiva, il programma indiano “Big Boss 4”.
“Puttana” è uno dei tanti appellativi che l’Abdul gli ha lanciato, ovviamente tradotto dal linguaggio suo, seguito da lanci d’insulti in crescendo.
Veena non ha capito d’aver a che fare con un residuato, un rottame d’altri tempi, che oggi vive tra noi come il giapponese che, non avendo mai saputo della fine della guerra, continuava a farla, nell’ignoranza più assoluta che essere rimasto indietro.
Abdul sicuramente mette lo chador o il burka anche alle coscette di pollo o di coniglio, prima di mangiarle e, se capita di vedere qualche pezzo di quelle carni bianche, sicuramente arrossisce di vergogna e si picchia il pisello con l’incudine, castigandolo per essersi affacciato pure lui a guardare l’impudico arto!
Succede una cosa inaudita: Veena, una DONNA, l’essere valutato per metà valore di un uomo, domestico come il cane, impudica come il maiale e sciocca come una scimmia, ribatte, rimbecca e cazzia l’UOMO.
«Imam, non ho fatto nulla di male, non ho infranto alcuna legge o la legge islamica. Sono tutti contro di me perché sono una donna e un bersaglio facile? Cosa dice il suo islam, sir?»
Pazzesco.
Come si dice da noi, e Abdul concorda: a questo mondo, non c’è più...religione!
Abdul, Abdul...come ti capisco: quella che per te è solo una vacca da latte, una puledra da monta, una pecora da tosare, una gallina ovaiola, ora si ribella.
Inconcepibile, assurdo, sacrilego, esecrabile, empio e blasfemo: è venuto il momento di tirarle il collo!
Veena ha ricevuto minacce di morte dagli islamisti e alcuni religiosi hanno emesso una fatwa di morte contro di lei per avere “umiliato l’islam” e disonorato il proprio paese.
La fatwa è pari al piantare spilloni nel corpo di un’immagine rappresentante la vittima, come nel rito Voodoo, perchè peste la colga.
I cavernicoli del fondamentalismo islamico ormai la tirano in ballo in ogni momento, con la stessa frequenza ormai con cui si prendono le bottigliette di aranciata ai distributori automatici.
Questi subumani hanno clonato pure Allah, creandone uno ad immagine loro, della loro crudeltà, della loro voglia di sangue e morte; e pure sadico, per masochisti che godono nell’essere servi e succubi di uno che li maltratti.
Con la misericordia, la pietà e il perdono, loro soffrono pene atroci e d indicibili: godono nella tortura, vogliono un essere che li domini e abusi del loro corpo, tanto da vantarsi nell’adorare il martirio, tanto da non avere paura di morire, quanto di vivere.
Forse hanno ragione: si sento inadeguati per questo, che richiede fatica, mentre il crepare è facile.
Di Abdul Qavi ce ne sono ancora, ma tante Veena Malik sono stanche di dover servire questi sottosviluppati mentali.
Forse ci siamo: sta per avvicinarsi l’estinzione degli Imammuth;
Insciallah...a Dio piacendo!
Io, secondo me...06.04.2011
martedì 5 aprile 2011
Spurghi
«Se avessi saputo allora ciò che sappiamo oggi, il rapporto sarebbe stato differente.»
Imbecille.
Mica eri al Bar Sport, per dar fiato alle trombe mentre il cervello era in arieggio per il ricambio d’aria!
«Oggi sappiamo molto di più su quanto avvenne [...] rispetto al periodo nel quale condussi l’inchiesta per conto del Consiglio Onu sui Diritti umani.»
Allora sei proprio scimunito!
Aspettare il giusto tempo, per poter raccogliere quel di poi che serviva, no, è?
Ti bruciava il culo, di dire le tue cazzate, o forse ti sono venute in anticipo, le tue cose, con le perdite di materia grigia nel pannolone degli incontinenti?
Ecco lo scemo del villaggio: Richard Goldstone, che firmò il famigerato rapporto della commissione d'inchiesta ONU, che porta il suo nome
A questo giudice sudafricano fu affidato tanto e lui si allineò al vento, con l’attitudine delle mezze seghe a far da banderuola: Israele fu accusato di crimini di guerra, per l’operazione “Piombo Fuso”, atto militare lanciato su Gaza, alla fine del 2008.
Gaza: gli israeliani lasciarono quel pezzo di terra senza condizioni, ai palestinesi, che subito ne fecero una caserma - dopo aver azzerato le infrastrutture che si era trovate in regalia - piantando, al posto di alberi e sementi, missili;
una selva, che neanche un istrice aveva tanti aculei, come Hamas razzi sulla cotica.
Da allora, dal 2005, una pioggia incessante piovve sui villaggi israeliani al confine di quel lascito: peccato che quelle gocce che cadevano, esplodevano!
Seimila bombarde dal cielo, da allora, incessantemente, puntualmente come le tasse e la morte, sono state rovesciate sui civili israeliani: goccia a goccia, giorno per giorno, mese per mese, anno dopo anno.
Tra l’indifferenza, il silenzio e, dico, anche il disprezzo, di gran parte del mondo occidentale: quello ipocrita, che vuole regole e giustizia a senso unico, per gli scarafoni suoi.
Ovvio aspettarsi che non poteva durare in eterno, che anche un elefante sopporta la zanzara ma, quando è troppo, la schiaccia.
E noi - che se la vicina di casa, del balcone sopra, ci scopa in testa, poco manca che finiamo al coltello - ci si scandalizzò, quando venne la rappresaglia, dopo l’ennesimo avvertimento, debitamente inascoltato.
Anni erano passati, mica bruscolini: nessuno, neanche un cane allora bacchettò gli straccioni di Hamas;
nessun “Goldstone” usò il buon senso, del “meglio prevenire che curare”.
Salvo poi, quando i rompicoglioni hanno cominciato a prendersi sberloni di ritorno, dare del manesco a chi, fino allora, le aveva prese senza reagire.
Manica di pirla!
«Se avessi saputo...oggi sappiamo molto di più... sarebbe stato differente...sbagliato il mio rapporto.»
Cretino;
bastava avesse letto lo statuto di Hamas, dove c’è scritto - nero su bianco - la volontà, di cacciare gli ebrei, ma nel senso di selvaggina, da impallinare.
Bastava seguire la scia dei seimila missili.
Quanti Goldstone ci sono in giro?
A fare il censimento, si fa prima a trovare il sano, non lo scemo del villaggio che, nel frattempo, ha figliato a conigliera.
Giusto per finire: due o tre giornali hanno dato notizia del “Mea culpa” del Richard “bamba” Goldstone, e non certo a caratteri cubitali.
Quel che allora si annunciò con rombo di tuono, ora si smentisce con soffice peto.
Ciliegina sulla torta: il mio personale sputo sui tanti fighetti, che si danno tanto da fare per quei “poveri” palestinesi bombaroli;
25 giugno 2006...ricorda nulla?
No, è?
Memoria corta, come i filamenti dei loro neuroni.
In quella data fu catturato, da un commando palestinese, il soldato israeliano Gilad Shalit.
Ad oggi, anno del Signore 2011, del mese di Aprile, ancora è ostaggio, in loro mani.
Non è dato vederlo, non è permesso sentirlo, sapere se ancora è vivo, se sta bene o l’hanno fatto diventare una larva d’uomo, dopo tante torture;
Persino per un assassino seriale come Saddam, si scomodarono, nel tentativo di salvargli la cotenna.
Per Gilad Shalit, nessuna misericordia, dai teorici della pace, dai difensori dei diritti umani, dagli estimatori della vita e dalle madonnine infilzate.
Niente da fare: la “specie Goldstone” prolifica, fruttato dei lombi della madre degli imbecilli, che continuamente sgrava.
Avanti così, continuiamo nel letargo, che prima o poi la festa finirà: quando ce la faranno gli altri!
Io, secondo me...05.04.2011
Imbecille.
Mica eri al Bar Sport, per dar fiato alle trombe mentre il cervello era in arieggio per il ricambio d’aria!
«Oggi sappiamo molto di più su quanto avvenne [...] rispetto al periodo nel quale condussi l’inchiesta per conto del Consiglio Onu sui Diritti umani.»
Allora sei proprio scimunito!
Aspettare il giusto tempo, per poter raccogliere quel di poi che serviva, no, è?
Ti bruciava il culo, di dire le tue cazzate, o forse ti sono venute in anticipo, le tue cose, con le perdite di materia grigia nel pannolone degli incontinenti?
Ecco lo scemo del villaggio: Richard Goldstone, che firmò il famigerato rapporto della commissione d'inchiesta ONU, che porta il suo nome
A questo giudice sudafricano fu affidato tanto e lui si allineò al vento, con l’attitudine delle mezze seghe a far da banderuola: Israele fu accusato di crimini di guerra, per l’operazione “Piombo Fuso”, atto militare lanciato su Gaza, alla fine del 2008.
Gaza: gli israeliani lasciarono quel pezzo di terra senza condizioni, ai palestinesi, che subito ne fecero una caserma - dopo aver azzerato le infrastrutture che si era trovate in regalia - piantando, al posto di alberi e sementi, missili;
una selva, che neanche un istrice aveva tanti aculei, come Hamas razzi sulla cotica.
Da allora, dal 2005, una pioggia incessante piovve sui villaggi israeliani al confine di quel lascito: peccato che quelle gocce che cadevano, esplodevano!
Seimila bombarde dal cielo, da allora, incessantemente, puntualmente come le tasse e la morte, sono state rovesciate sui civili israeliani: goccia a goccia, giorno per giorno, mese per mese, anno dopo anno.
Tra l’indifferenza, il silenzio e, dico, anche il disprezzo, di gran parte del mondo occidentale: quello ipocrita, che vuole regole e giustizia a senso unico, per gli scarafoni suoi.
Ovvio aspettarsi che non poteva durare in eterno, che anche un elefante sopporta la zanzara ma, quando è troppo, la schiaccia.
E noi - che se la vicina di casa, del balcone sopra, ci scopa in testa, poco manca che finiamo al coltello - ci si scandalizzò, quando venne la rappresaglia, dopo l’ennesimo avvertimento, debitamente inascoltato.
Anni erano passati, mica bruscolini: nessuno, neanche un cane allora bacchettò gli straccioni di Hamas;
nessun “Goldstone” usò il buon senso, del “meglio prevenire che curare”.
Salvo poi, quando i rompicoglioni hanno cominciato a prendersi sberloni di ritorno, dare del manesco a chi, fino allora, le aveva prese senza reagire.
Manica di pirla!
«Se avessi saputo...oggi sappiamo molto di più... sarebbe stato differente...sbagliato il mio rapporto.»
Cretino;
bastava avesse letto lo statuto di Hamas, dove c’è scritto - nero su bianco - la volontà, di cacciare gli ebrei, ma nel senso di selvaggina, da impallinare.
Bastava seguire la scia dei seimila missili.
Quanti Goldstone ci sono in giro?
A fare il censimento, si fa prima a trovare il sano, non lo scemo del villaggio che, nel frattempo, ha figliato a conigliera.
Giusto per finire: due o tre giornali hanno dato notizia del “Mea culpa” del Richard “bamba” Goldstone, e non certo a caratteri cubitali.
Quel che allora si annunciò con rombo di tuono, ora si smentisce con soffice peto.
Ciliegina sulla torta: il mio personale sputo sui tanti fighetti, che si danno tanto da fare per quei “poveri” palestinesi bombaroli;
25 giugno 2006...ricorda nulla?
No, è?
Memoria corta, come i filamenti dei loro neuroni.
In quella data fu catturato, da un commando palestinese, il soldato israeliano Gilad Shalit.
Ad oggi, anno del Signore 2011, del mese di Aprile, ancora è ostaggio, in loro mani.
Non è dato vederlo, non è permesso sentirlo, sapere se ancora è vivo, se sta bene o l’hanno fatto diventare una larva d’uomo, dopo tante torture;
Persino per un assassino seriale come Saddam, si scomodarono, nel tentativo di salvargli la cotenna.
Per Gilad Shalit, nessuna misericordia, dai teorici della pace, dai difensori dei diritti umani, dagli estimatori della vita e dalle madonnine infilzate.
Niente da fare: la “specie Goldstone” prolifica, fruttato dei lombi della madre degli imbecilli, che continuamente sgrava.
Avanti così, continuiamo nel letargo, che prima o poi la festa finirà: quando ce la faranno gli altri!
Io, secondo me...05.04.2011
martedì 29 marzo 2011
Sarcofazy
Si dica quel che si vuole, ma a me questo silenzio fa paura.
MI sento come quello che, sulla spiaggia, vede il mare che si tira indietro per prendere la rincorsa e spazzare la terra, come lo tsunami del Giappone.
Ecco, questa ritirata mi mette ansia: non è da loro, non è mai accaduto in passato, hanno sempre fatto cagnara, alzato polveroni, esploso bombe e bombarde, e fatto guaire lame, accarezzate dalla mole.
Ora, silenzio, una pace dei sensi tombale dove anche il frusciare dei cipressi, che fanno anticamera all’ingresso dei cimiteri, somiglia agli acuti di una sirena in un Convento di clausura.
Si sono estinti, come i dinosauri?
Hanno preso un batterio che li ha sterminati?
Il loro intestino è stato colonizzato dal virus della cagarella?
Silenzio.
Muti.
Afoni, che anche uno in agonia ha più palpiti di loro.
Al Qaeda, Osama, il suo profeta e i sottopancia suoi, ‘ndo ca...volo sono?
Nel gran casino, che sta scuotendo le fondamenta di consolidate dittature e maneschi padri-padroni, dal Medioriente al Nordafrica, mancano gli attori principali: i “prezzemolini”di “Osamallah”, onnipresenti, dove c’è da menare le mani.
Ammorbiditi dalla piazza in armi, tanti megalomani si sono squagliati, ammosciati e, dove ancora in equilibrio, con la consistenza di tremolanti ammassi di budino o gelatina.
Basterebbe una spintarella...
Niente: il nulla, volatilizzati, con vuoti mediatici che pare il mondo dopo la peste.
Ma non abbiamo ancora raccolto le ceneri di tanto incendiare e quando c’infileremo dentro le mani o ci poggeremo sopra le terga, pensando a quanto paiono soffici, mi sa che ci lasceremo pezzi di cotica a sfrigolare, come le costine sulla griglia.
Noi, con la nostra mentalità, la presunzione muscolare, la sicumera di avere le chiavi dell’armeria, siamo come quei vecchi decrepiti, convinti che la nostra salma debba ottenere rispetto solo a ricordare i tempi passati, quando il pisello tirava e noi giravamo per il pianeta in cerca di un prossimo da fottere;
e, il non pagare marchetta, fosse nella convinzione che così gira il mondo, dove c’è sempre uno che sta sopra e l’altro sotto.
Ebbene: il quadrato s’è scoperto tondo, d’essere una ruota e che, prima o poi, ci tocca d’essere in basso pure a noi.
Come tacchini, all’approssimarsi del giorno del ringraziamento, dove si trasloca dall’aia al forno, eccoci a bisticciare per chi deve fare il gallo del pollaio, mentre fuori cercano i più grassi a cui tirare il collo per riempirci la pancia di ripieno e farci dormire in un letto...di patate fritte!
Noi, con i tanti satelliti spia che girano in tondo, satelliti della palla terrestre, con i tanti padiglioni che ascoltano pure quando fai la scoreggia al gabinetto, con telecamerine più fini di un pelo di...cavallo, oculi e vetri che sbirciano quasi sottopelle, noi, dicevo, eccoci a non prevedere e prevenire ‘na beata fava di nulla: dell’11 Settembre e neppure la fiammata che sta lambendo le sponde del Mediterraneo e oltre.
A Qaeda, muta, come un pesce.
Noi siamo dei bamba, perché guardiamo la foresta senza vedere l’albero, ma quelli, perché tacciono, perché fanno il riccio, perché sono in letargo?
No, loro parlavano, e parlano, si muovono tra le piante, ci vivono con quelle, si toccano, si conoscono: come possiamo essere tanto beoti da pensare che pur’essi siano rimasti di sasso, allibiti e meravigliati quanto noi, nel vedere, dalla mattina alla sera, il mondo girare alla rovescia?
I loro gangli nervosi sono come le ife, le ramificazioni dei funghi dove, alla cappella in vista, corrisponde sottoterra un mondo vasto, esteso, intricato e aggrovigliato che più non si può: come vedere la punta striminzita di un ghiacciaio senza sapere che sotto si stanno pavane e piedi come quelli di un elefante, che regge una zanzara.
Sapevano.
Sanno.
Quando le radici saranno marce al punto giusto gli basterà una spallata, a far crollare anche dei giganti.
E noi...abbiamo Sarkozy: un’emerita mezza sega, in cerca di una zeppa da mettere nelle scarpe.
Con l’altro, il perticone d’America, pare la coppia Gianni e Pinotto, famosi ridolini d’epoca.
Il piccoletto trama nell’ombra;
la Libia c’ha i pozzi di petrolio ma - accidenti! - se li ciuccia l’Italia.
Idea!
Tira, molla e messeda, Nanozy trova quattro gatti trombati della corte di Gheddafi e li convince a fare la rivoluzione.
Contropartita: a voi il cadreghino e a me il petrolio.
Gli italiani intanto, dormono sonni tranquilli, si girano beati sul fianco e mostrano il bersaglio.
Obama, come il solito, da lontano ci vede come la talpa, stringe l’orsacchiotto e si ciuccia il pollicione.
La Merkel pensa alle urne sue e Camerun si fa coinvolgere come un giuggiolone ma, non avendo una meta come lo gnomo gallico, gioca al tiramolla.
Qualcosa non va: Gheddafi tiene duro e comincia il Risiko da vincitore, sparpaglia l’armata Brancaleone, quei soldatini da operetta che si fanno riprendere a sparare alle quaglie o a salutare la mamma, immortalati nei filmati amatoriali girati con il telefonino.
Una rivoluzione bambinesca, infantile, dove le armate raccolgono il meglio degli scemi del villaggio.
Che sia anomala, diversa dalle altre, questa rivolta di pirla, si vede subito
Nanozy è costretto ad intervenire, che i suoi piani di scippo stanno andando a puttane.
Rovescia sul paese una valanga di bombe: altro che No-fly zone o operazione di contenimento!
Bombarda. mitraglia, sbombeggia, accoppa;
insomma: la guerra la fa lui, che se aspetta l’armata di pezza di quegli straccioni raccogliticci, campa cavallo!
Al Qaeda tace, ma ora ha buon gioco.
Ecco come funziona la “democrazia”, nelle intenzioni dell’Occidente: olio di ricino e, se non basta, il bastone!
Vorrete mica mettere le nostre leggi: magari severe, ma “educative”;
e la fede: noi abbiamo un Dio, e quelli no.
Le nostre regole permettono di buggerare e dire bugie all’infedele, ma non tra noi.
Sarkozy, per tutti, insegna: per una lattina d’olio venderebbe anche la madre (la moglie sarebbe meglio: chissà quanti cammelli vuole?).
Al Qaerda ha cambiato strategia, al “Mai ti pentirai d’aver taciuto. Sempre d’aver troppo parlato”.
Spalma la vaselina, prima di tentare l’affondo.
Tante menti da plasmare stanno navigando verso l’Italia oggi, l’Europa domani.
Quelli saranno il cuneo, il paletto che affonderà nel cuore d’Eurabia.
Bin Laden - o il suo fantasma - gongola: il suo sogno, di conquistare “Terrallah”, sta prendendo forma.
Ora che anche un Presidente ciula ha permesso di costruire una Moschea, a ridosso di dove furono le Torri Gemelle, da lui fatte abbattere.
«Vedete, che avevo ragione: il frutto è maturo ed è venuto il momento di raccogliere...piastrelleremo la terra con le ossa degli infedeli: riempiremo di loro, cimiteri e...Sarkofazy!»»
A me questo silenzio di tomba fa paura.
Io, secondo me...29.03.2011
MI sento come quello che, sulla spiaggia, vede il mare che si tira indietro per prendere la rincorsa e spazzare la terra, come lo tsunami del Giappone.
Ecco, questa ritirata mi mette ansia: non è da loro, non è mai accaduto in passato, hanno sempre fatto cagnara, alzato polveroni, esploso bombe e bombarde, e fatto guaire lame, accarezzate dalla mole.
Ora, silenzio, una pace dei sensi tombale dove anche il frusciare dei cipressi, che fanno anticamera all’ingresso dei cimiteri, somiglia agli acuti di una sirena in un Convento di clausura.
Si sono estinti, come i dinosauri?
Hanno preso un batterio che li ha sterminati?
Il loro intestino è stato colonizzato dal virus della cagarella?
Silenzio.
Muti.
Afoni, che anche uno in agonia ha più palpiti di loro.
Al Qaeda, Osama, il suo profeta e i sottopancia suoi, ‘ndo ca...volo sono?
Nel gran casino, che sta scuotendo le fondamenta di consolidate dittature e maneschi padri-padroni, dal Medioriente al Nordafrica, mancano gli attori principali: i “prezzemolini”di “Osamallah”, onnipresenti, dove c’è da menare le mani.
Ammorbiditi dalla piazza in armi, tanti megalomani si sono squagliati, ammosciati e, dove ancora in equilibrio, con la consistenza di tremolanti ammassi di budino o gelatina.
Basterebbe una spintarella...
Niente: il nulla, volatilizzati, con vuoti mediatici che pare il mondo dopo la peste.
Ma non abbiamo ancora raccolto le ceneri di tanto incendiare e quando c’infileremo dentro le mani o ci poggeremo sopra le terga, pensando a quanto paiono soffici, mi sa che ci lasceremo pezzi di cotica a sfrigolare, come le costine sulla griglia.
Noi, con la nostra mentalità, la presunzione muscolare, la sicumera di avere le chiavi dell’armeria, siamo come quei vecchi decrepiti, convinti che la nostra salma debba ottenere rispetto solo a ricordare i tempi passati, quando il pisello tirava e noi giravamo per il pianeta in cerca di un prossimo da fottere;
e, il non pagare marchetta, fosse nella convinzione che così gira il mondo, dove c’è sempre uno che sta sopra e l’altro sotto.
Ebbene: il quadrato s’è scoperto tondo, d’essere una ruota e che, prima o poi, ci tocca d’essere in basso pure a noi.
Come tacchini, all’approssimarsi del giorno del ringraziamento, dove si trasloca dall’aia al forno, eccoci a bisticciare per chi deve fare il gallo del pollaio, mentre fuori cercano i più grassi a cui tirare il collo per riempirci la pancia di ripieno e farci dormire in un letto...di patate fritte!
Noi, con i tanti satelliti spia che girano in tondo, satelliti della palla terrestre, con i tanti padiglioni che ascoltano pure quando fai la scoreggia al gabinetto, con telecamerine più fini di un pelo di...cavallo, oculi e vetri che sbirciano quasi sottopelle, noi, dicevo, eccoci a non prevedere e prevenire ‘na beata fava di nulla: dell’11 Settembre e neppure la fiammata che sta lambendo le sponde del Mediterraneo e oltre.
A Qaeda, muta, come un pesce.
Noi siamo dei bamba, perché guardiamo la foresta senza vedere l’albero, ma quelli, perché tacciono, perché fanno il riccio, perché sono in letargo?
No, loro parlavano, e parlano, si muovono tra le piante, ci vivono con quelle, si toccano, si conoscono: come possiamo essere tanto beoti da pensare che pur’essi siano rimasti di sasso, allibiti e meravigliati quanto noi, nel vedere, dalla mattina alla sera, il mondo girare alla rovescia?
I loro gangli nervosi sono come le ife, le ramificazioni dei funghi dove, alla cappella in vista, corrisponde sottoterra un mondo vasto, esteso, intricato e aggrovigliato che più non si può: come vedere la punta striminzita di un ghiacciaio senza sapere che sotto si stanno pavane e piedi come quelli di un elefante, che regge una zanzara.
Sapevano.
Sanno.
Quando le radici saranno marce al punto giusto gli basterà una spallata, a far crollare anche dei giganti.
E noi...abbiamo Sarkozy: un’emerita mezza sega, in cerca di una zeppa da mettere nelle scarpe.
Con l’altro, il perticone d’America, pare la coppia Gianni e Pinotto, famosi ridolini d’epoca.
Il piccoletto trama nell’ombra;
la Libia c’ha i pozzi di petrolio ma - accidenti! - se li ciuccia l’Italia.
Idea!
Tira, molla e messeda, Nanozy trova quattro gatti trombati della corte di Gheddafi e li convince a fare la rivoluzione.
Contropartita: a voi il cadreghino e a me il petrolio.
Gli italiani intanto, dormono sonni tranquilli, si girano beati sul fianco e mostrano il bersaglio.
Obama, come il solito, da lontano ci vede come la talpa, stringe l’orsacchiotto e si ciuccia il pollicione.
La Merkel pensa alle urne sue e Camerun si fa coinvolgere come un giuggiolone ma, non avendo una meta come lo gnomo gallico, gioca al tiramolla.
Qualcosa non va: Gheddafi tiene duro e comincia il Risiko da vincitore, sparpaglia l’armata Brancaleone, quei soldatini da operetta che si fanno riprendere a sparare alle quaglie o a salutare la mamma, immortalati nei filmati amatoriali girati con il telefonino.
Una rivoluzione bambinesca, infantile, dove le armate raccolgono il meglio degli scemi del villaggio.
Che sia anomala, diversa dalle altre, questa rivolta di pirla, si vede subito
Nanozy è costretto ad intervenire, che i suoi piani di scippo stanno andando a puttane.
Rovescia sul paese una valanga di bombe: altro che No-fly zone o operazione di contenimento!
Bombarda. mitraglia, sbombeggia, accoppa;
insomma: la guerra la fa lui, che se aspetta l’armata di pezza di quegli straccioni raccogliticci, campa cavallo!
Al Qaeda tace, ma ora ha buon gioco.
Ecco come funziona la “democrazia”, nelle intenzioni dell’Occidente: olio di ricino e, se non basta, il bastone!
Vorrete mica mettere le nostre leggi: magari severe, ma “educative”;
e la fede: noi abbiamo un Dio, e quelli no.
Le nostre regole permettono di buggerare e dire bugie all’infedele, ma non tra noi.
Sarkozy, per tutti, insegna: per una lattina d’olio venderebbe anche la madre (la moglie sarebbe meglio: chissà quanti cammelli vuole?).
Al Qaerda ha cambiato strategia, al “Mai ti pentirai d’aver taciuto. Sempre d’aver troppo parlato”.
Spalma la vaselina, prima di tentare l’affondo.
Tante menti da plasmare stanno navigando verso l’Italia oggi, l’Europa domani.
Quelli saranno il cuneo, il paletto che affonderà nel cuore d’Eurabia.
Bin Laden - o il suo fantasma - gongola: il suo sogno, di conquistare “Terrallah”, sta prendendo forma.
Ora che anche un Presidente ciula ha permesso di costruire una Moschea, a ridosso di dove furono le Torri Gemelle, da lui fatte abbattere.
«Vedete, che avevo ragione: il frutto è maturo ed è venuto il momento di raccogliere...piastrelleremo la terra con le ossa degli infedeli: riempiremo di loro, cimiteri e...Sarkofazy!»»
A me questo silenzio di tomba fa paura.
Io, secondo me...29.03.2011
giovedì 24 marzo 2011
L’uomo di Magda
«No, il signor Magda non può entrare!»
All’uomo di “Magda” sembrò di avere di fronte il famoso anello mancante, l’essere a metà tra la scimmia di sempre e il parto evolutivo, che avrebbe sgravato faticosamente l’Homo, quello “Sapiens Sapiens”.
L’”uomo di Magda”, davanti all’ibrido, tentò l’impossibile: comunicare.
«Magdi, il signor Magdi Cristiano Allam...perché non è bene accetto?»
La cotica arborea, una zampa pendula dal ramo e l’altra a stringere la banana, mostrò i colori di guerra del babbuino, la marcatura del territorio, avvertimento, minaccia e successivo scontro:
«Perché il signor Magda c’ha la scorta...e i cani, quelli che fiutano le bombe e da noi, come dice il cartello, non possono entrare; spaventano i clienti, come gli uomini neri che li accompagnano.»
L’”uomo di Magda”, pazientemente ma sempre più scoraggiato, cercò la conciliazione, proponendo all’altro di scendere qualche ramo e lui di approssimarsi alla base della radice.
«L’uomo nero con il cane è un Carabiniere; deve saper che, il signor Magdi, ha bisogno di protezione: tutti quelli che combattono il male e le ingiustizie, sono obbligati ad avere chi vigila sulla loro. Così è per il Papa come per il Presidente della Repubblica, per tanti uomini politici e di legge».
L’occhio da pesce lesso del primate cercò disperatamente la centralina di controllo.
Sulla pianta lui ci stava di un bene che più non si poteva, fino al momento dell’apparizione del “signor Magda”: dietro c’e il rischio che lo segua qualche pericoloso predatore.
L’elementare centrale di controllo in suo possesso, cedette i comandi a quella di comando, più semplice e reattiva dell’altra, dovendo solo far scattare degli interruttori, senza complicate elaborazioni.
«No, non se ne fa nulla; il signor Magda qui non entra!»
L’”uomo di Magda”, disperato, cercò il miracolo:
«Il signor MAGDI sarebbe disposto anche a lasciare solo un messaggio registrato; o far parlare una persona, che lo rappresenti. E per i cani, si può anche trovare una soluzione: saremmo disposti ad ammaestrare quelli della scorta, a fiutare esplosivi: la gente che li vedesse sniffare un ananas lo stracchino o il gorgonzola penserebbe ad uno di loro, che annusa se la merce è fresca.»
«No, no e no!!»
Anche i colori dell’”uomo di Magda” ora cambiano, passando dal rosso al nero, dal violaceo al nero.
«Ma, alla fine, deve solo recensire un libro: “Mea Culpa”, di Isichiara ed Elisa Vavassori. Guardi, giusto per tranquillizzarla, chiamo il Beppe, che c’ha scritto sopra due righe.»
Detto fatto, al fischio, compare un tipo rotondetto, con la pelata - che quello chiama “fronte alta” -
il naso che lo precede, il bel faccione paffutello, sbuffante come un mantice che soffia sulla fiamma.
Composto e ordinato, poggia il foglietto, la penna d’oca, il calamaio, inforca gli occhialini e comincia:
“Isichiara ed Elisa Vavassori...due donne eccezionali.
Isichiara per la generosità che tanto ha donato e ancora spende, per le persone e le cause, dove il convincimento della e nella loro bontà la porta a salire sulle barricate e gettarvi oltre il cuore;
Elisa per la tenacia con cui combatte la vita, che l’ha costretta sì su una carrozzina da disabile, ma che dimostra quanto quei confini siano superabili, quando compensati da altri talenti e la volontà di andare sempre oltre, nel mai rassegnarsi e gettare la spugna.
Il cuore e la testa, l’umanità unita al raziocinio, alla coltivazione dell’intelletto, alle costanti flessioni per potenziare un muscolo spesso sacrificato al pisolo quotidiano: il cervello.
In “Mea Culpa”, si specchiano tanti mondi, universi paralleli, sovrapposti e mescolati:
spezie e sapori sapientemente dosati;
tante emozioni e tante passioni, infiniti intrecci dell’umano respiro, dell’animale uomo, del suo essere grande come piccolo, unico quanto meschino.
Storie, luoghi, trame che si avviluppano, si abbracciano, si stringono e si rilasciano, come le spire di un serpente.
Non solo fantasia, finzione, lavoro della creatività e gente di carta: di là dai nomi, quasi tutte le persone descritte - come tanto del loro agire - sono vere, esistono e magari, senza saperlo, le abbiamo sfiorate per strada, sulla metropolitana, al bar o all’edicola o nei tanti luoghi dove brulica l’attività del nostro quotidiano.
Isichiara ed Elisa stesse sono parte e viaggiano tra le pagine della propria creatura, del loro libro.
Le presento, tento di presentare loro e lo scritto, perché le une e l’altro mi sono piaciuti e vorrei trasmettere queste emozioni.
Un modo per ringraziare la fortuna, il caso, il fato, il destino o la provvidenza, che ha fatto sì che il mio cammino incontrasse il loro.
Donne da conoscere;
il loro scrigno di tesori, regalato a noi: pagine ed inchiostro ricevuto in dono.
Non sono solo riflessi e luccichii: oltre la forma - spesso l’unico vestito della nostra società di belle croste - c’è sostanza.
Un libro da comprare e da assaporare, con la voluttà e la golosità con cui si succhia il midollo dall’osso;
e se ancora, dopo tanto, non sarò riuscito a convincere nessuno, ebbene...Mea Culpa”.
Dall’albero, lo raggiunse in piena fronte una noce di cocco.
Il Beppe, in rianimazione sull’ambulanza, continuava a delirare, urlando:
«La targa, la targa: qualcuno ha preso la targa del Tir che mi ha investito!?»
Il capo dei vigili, che stava scrivendo il verbale, sfogliò le pagine.
«Si, l’hanno presa: CAR4...l’automezzo era francese, anche se la scritta sulla targa si legge in inglese.»
Tutta colpa del signor Magda!!
Io, secondo me...24.03.2011
All’uomo di “Magda” sembrò di avere di fronte il famoso anello mancante, l’essere a metà tra la scimmia di sempre e il parto evolutivo, che avrebbe sgravato faticosamente l’Homo, quello “Sapiens Sapiens”.
L’”uomo di Magda”, davanti all’ibrido, tentò l’impossibile: comunicare.
«Magdi, il signor Magdi Cristiano Allam...perché non è bene accetto?»
La cotica arborea, una zampa pendula dal ramo e l’altra a stringere la banana, mostrò i colori di guerra del babbuino, la marcatura del territorio, avvertimento, minaccia e successivo scontro:
«Perché il signor Magda c’ha la scorta...e i cani, quelli che fiutano le bombe e da noi, come dice il cartello, non possono entrare; spaventano i clienti, come gli uomini neri che li accompagnano.»
L’”uomo di Magda”, pazientemente ma sempre più scoraggiato, cercò la conciliazione, proponendo all’altro di scendere qualche ramo e lui di approssimarsi alla base della radice.
«L’uomo nero con il cane è un Carabiniere; deve saper che, il signor Magdi, ha bisogno di protezione: tutti quelli che combattono il male e le ingiustizie, sono obbligati ad avere chi vigila sulla loro. Così è per il Papa come per il Presidente della Repubblica, per tanti uomini politici e di legge».
L’occhio da pesce lesso del primate cercò disperatamente la centralina di controllo.
Sulla pianta lui ci stava di un bene che più non si poteva, fino al momento dell’apparizione del “signor Magda”: dietro c’e il rischio che lo segua qualche pericoloso predatore.
L’elementare centrale di controllo in suo possesso, cedette i comandi a quella di comando, più semplice e reattiva dell’altra, dovendo solo far scattare degli interruttori, senza complicate elaborazioni.
«No, non se ne fa nulla; il signor Magda qui non entra!»
L’”uomo di Magda”, disperato, cercò il miracolo:
«Il signor MAGDI sarebbe disposto anche a lasciare solo un messaggio registrato; o far parlare una persona, che lo rappresenti. E per i cani, si può anche trovare una soluzione: saremmo disposti ad ammaestrare quelli della scorta, a fiutare esplosivi: la gente che li vedesse sniffare un ananas lo stracchino o il gorgonzola penserebbe ad uno di loro, che annusa se la merce è fresca.»
«No, no e no!!»
Anche i colori dell’”uomo di Magda” ora cambiano, passando dal rosso al nero, dal violaceo al nero.
«Ma, alla fine, deve solo recensire un libro: “Mea Culpa”, di Isichiara ed Elisa Vavassori. Guardi, giusto per tranquillizzarla, chiamo il Beppe, che c’ha scritto sopra due righe.»
Detto fatto, al fischio, compare un tipo rotondetto, con la pelata - che quello chiama “fronte alta” -
il naso che lo precede, il bel faccione paffutello, sbuffante come un mantice che soffia sulla fiamma.
Composto e ordinato, poggia il foglietto, la penna d’oca, il calamaio, inforca gli occhialini e comincia:
“Isichiara ed Elisa Vavassori...due donne eccezionali.
Isichiara per la generosità che tanto ha donato e ancora spende, per le persone e le cause, dove il convincimento della e nella loro bontà la porta a salire sulle barricate e gettarvi oltre il cuore;
Elisa per la tenacia con cui combatte la vita, che l’ha costretta sì su una carrozzina da disabile, ma che dimostra quanto quei confini siano superabili, quando compensati da altri talenti e la volontà di andare sempre oltre, nel mai rassegnarsi e gettare la spugna.
Il cuore e la testa, l’umanità unita al raziocinio, alla coltivazione dell’intelletto, alle costanti flessioni per potenziare un muscolo spesso sacrificato al pisolo quotidiano: il cervello.
In “Mea Culpa”, si specchiano tanti mondi, universi paralleli, sovrapposti e mescolati:
spezie e sapori sapientemente dosati;
tante emozioni e tante passioni, infiniti intrecci dell’umano respiro, dell’animale uomo, del suo essere grande come piccolo, unico quanto meschino.
Storie, luoghi, trame che si avviluppano, si abbracciano, si stringono e si rilasciano, come le spire di un serpente.
Non solo fantasia, finzione, lavoro della creatività e gente di carta: di là dai nomi, quasi tutte le persone descritte - come tanto del loro agire - sono vere, esistono e magari, senza saperlo, le abbiamo sfiorate per strada, sulla metropolitana, al bar o all’edicola o nei tanti luoghi dove brulica l’attività del nostro quotidiano.
Isichiara ed Elisa stesse sono parte e viaggiano tra le pagine della propria creatura, del loro libro.
Le presento, tento di presentare loro e lo scritto, perché le une e l’altro mi sono piaciuti e vorrei trasmettere queste emozioni.
Un modo per ringraziare la fortuna, il caso, il fato, il destino o la provvidenza, che ha fatto sì che il mio cammino incontrasse il loro.
Donne da conoscere;
il loro scrigno di tesori, regalato a noi: pagine ed inchiostro ricevuto in dono.
Non sono solo riflessi e luccichii: oltre la forma - spesso l’unico vestito della nostra società di belle croste - c’è sostanza.
Un libro da comprare e da assaporare, con la voluttà e la golosità con cui si succhia il midollo dall’osso;
e se ancora, dopo tanto, non sarò riuscito a convincere nessuno, ebbene...Mea Culpa”.
Dall’albero, lo raggiunse in piena fronte una noce di cocco.
Il Beppe, in rianimazione sull’ambulanza, continuava a delirare, urlando:
«La targa, la targa: qualcuno ha preso la targa del Tir che mi ha investito!?»
Il capo dei vigili, che stava scrivendo il verbale, sfogliò le pagine.
«Si, l’hanno presa: CAR4...l’automezzo era francese, anche se la scritta sulla targa si legge in inglese.»
Tutta colpa del signor Magda!!
Io, secondo me...24.03.2011
Fidatevi: sarà un bel leggere
“Com’è nel grande, così è nel piccolo”.
Nella magia delle pagine del libro, mondi fatti di carne si rivelano, attraverso chi ci vive e muore;
quella crosta che, alla vista, pare una minacciosa corazza, spesso serve a contenere e proteggere la fragilità e le debolezze di vi si cela.
Nascosti in quei coriacei carapaci - di cemento, d’acciaio o in gabbie d’ossa - ci siamo tutti noi, con le nostre virtù e le debolezze, grandezza e miseria, fragilità e tenacia.
In noi vive Viola, la Preside assassinata del prestigioso liceo “Livio Andronico”: lo “squalo”, una gran carogna, una manipolatrice, la Penelope che crea e scompone trame e vite a piacimento, ma che alla fine scopriamo avere anche un qualcosa d’umano, morendo per aver troppo amato;
il Comolli, che vi insegna, ma si sente sprecato e vittima sacrificale, convinto di dover servire delle nullità;
l’una e l’altro, disposti ad essere forti con i deboli e deboli con i forti, a schiacciare sotto il peso delle proprie frustrazioni chi è inerme e disarmato, mostrando però servilismo e deferenza a chi potere ne ha, più di loro.
Noi siamo Conticini, capitano dei Carabinieri, insoddisfatto pure lui, soffocato in panni stretti, per il gigante che si sente d’essere, riversando tanto astio e rabbia sul debole di turno, nell’esercizio della sua mansione.
Come maschere pirandelliane, cambiamo volto e recitiamo anche i ruoli di Benetti, con le sue paranoie e la voglia di fuggire da un mondo che non lo appaga più e non riconosce;
oppure, all’opposto, Loneri, che si chiude in un universo protetto e protettivo, circondato da bastioni, mura possenti e un profondo fossato, per morire nel momento che abbandona la fortezza, nel tentativo di salvare una persona a lui cara.
Siamo Samir, allontanato dal suo amore e terrorista per rivalsa.
Sentiamo la carne lacerata, strappata e dilaniata di Valentina, quando subisce la doppia violenza di una famiglia che, con l’inganno, gli fa perdere l’amato ed estirpa dal ventre il frutto del loro amore.
Come dimenticare il passo dove un piccolo crogiolo di cellule, ancora ribollenti, sono risucchiate e sputate in una asettica bacinella, frutto ancora acerbo, scartato come poltiglia marcescente?
Siamo Driss, con la sua diversità, infamante per una parte di mondo da cui deriva;
sentiamo nell’animo il conflitto di Jamal, il padre, servo più che figlio, di una divinità che vuole estirpate simili peccaminose deviazioni.
Come non udire il palpito del gran cuore della professoressa Dalla Chiara, la creatrice del Corso di Scrittura Creativa, dove molti dei personaggi si sono trovati ad interagire, sorgente da cui sono sgorgate molte delle simpatie e delle antipatie, le cui ripercussioni sono poi a riverberare nell’annodarsi di storie e ruoli.
Come non percepire la rabbia verso la Viola che, nella maniera e con modi più subdoli cercò di privarla della sua creazione e creatura letteraria, versando veleno dall’interno e creando malumori e insidie, nel tentativo di rimuoverla?
Come non intuirne la tenacia e la combattività, il rigonfio muscolare di un lottatore ma, per altri versi, provarne tenerezza, nello scoprire forme d’ingenuità e di commovente bontà dove, anche quando ne avesse l’opportunità, mai riuscirebbe a finire un avversario sconfitto?
Sui tanti palchi, nel teatro delle vite, s’intrecciano stanchi amori e cocenti passioni, odio ed invidia, profonde amicizie ed intense rivalità, gelosie, cattiveria, opportunismo, ma anche generosità, slancio, bontà, soccorso...si mostrano i tanti aspetti dell’umano vivere, nella cui carcassa deforme dimora ancora il soffio divino della creazione.
No, non è solo un romanzo;
non lo si può liquidare come un semplice prodotto di carta, da classificare, come “Giallo”, in riduttiva forma investigativa;
meno ancora, “Noir”, cruda cronaca del conflitto tra bene e male e nemmeno “Hard Boiled”, raffigurazione per nulla sentimentale del crimine, della violenza e del sesso.
Il romanzo non è “solo” questo e quello, ma “anche”.
A destra come a sinistra, le pagine sono come i aste di una bilancia, alle cui estremità i vari pesi sono stati messi per cercare l’equilibrio perfetto.
C’è violenza, morte e sofferenza e si indaga per cercarne origine e causa;
il bene e il male non sono solo bianco e nero: ci sono tutte le tonalità dei grigi, perché la morte non è data solo per il gusto di uccidere, ma per convinzione che sia necessaria, certi d’essere al servizio di una causa giusta e superiore.
Violenza e sesso, non sono neppure crude emozioni, ove non riconoscerne sentimento: l’una e l’altro vivono di profondi convincimenti e roventi passioni, che nulla però hanno d’istinto animalesco.
Contenitori e contenuti, pentole dove sono a cuocere le anime.
“Com’è nel grande, così è nel piccolo”...in tutti questi mondi siamo attori o comparse.
Per questo, su questo muro di carta, scriverò, contro l’ignoranza: “Asino chi non legge”;
e chi non lo facesse, sarà ad averne rimorso e rimpianto, condannato alla penitenza di cantilenare, in eterno, il...Mea Culpa.
Autore: Isichiara – Elisa Vavassori
Prezzo: 18 miseri Eurini, per una polpa di 296 pagine
Collana: Contemporanea
ISBN-13: 978-88-7799-319-9
casa editrice: La Vita Felice
Nella magia delle pagine del libro, mondi fatti di carne si rivelano, attraverso chi ci vive e muore;
quella crosta che, alla vista, pare una minacciosa corazza, spesso serve a contenere e proteggere la fragilità e le debolezze di vi si cela.
Nascosti in quei coriacei carapaci - di cemento, d’acciaio o in gabbie d’ossa - ci siamo tutti noi, con le nostre virtù e le debolezze, grandezza e miseria, fragilità e tenacia.
In noi vive Viola, la Preside assassinata del prestigioso liceo “Livio Andronico”: lo “squalo”, una gran carogna, una manipolatrice, la Penelope che crea e scompone trame e vite a piacimento, ma che alla fine scopriamo avere anche un qualcosa d’umano, morendo per aver troppo amato;
il Comolli, che vi insegna, ma si sente sprecato e vittima sacrificale, convinto di dover servire delle nullità;
l’una e l’altro, disposti ad essere forti con i deboli e deboli con i forti, a schiacciare sotto il peso delle proprie frustrazioni chi è inerme e disarmato, mostrando però servilismo e deferenza a chi potere ne ha, più di loro.
Noi siamo Conticini, capitano dei Carabinieri, insoddisfatto pure lui, soffocato in panni stretti, per il gigante che si sente d’essere, riversando tanto astio e rabbia sul debole di turno, nell’esercizio della sua mansione.
Come maschere pirandelliane, cambiamo volto e recitiamo anche i ruoli di Benetti, con le sue paranoie e la voglia di fuggire da un mondo che non lo appaga più e non riconosce;
oppure, all’opposto, Loneri, che si chiude in un universo protetto e protettivo, circondato da bastioni, mura possenti e un profondo fossato, per morire nel momento che abbandona la fortezza, nel tentativo di salvare una persona a lui cara.
Siamo Samir, allontanato dal suo amore e terrorista per rivalsa.
Sentiamo la carne lacerata, strappata e dilaniata di Valentina, quando subisce la doppia violenza di una famiglia che, con l’inganno, gli fa perdere l’amato ed estirpa dal ventre il frutto del loro amore.
Come dimenticare il passo dove un piccolo crogiolo di cellule, ancora ribollenti, sono risucchiate e sputate in una asettica bacinella, frutto ancora acerbo, scartato come poltiglia marcescente?
Siamo Driss, con la sua diversità, infamante per una parte di mondo da cui deriva;
sentiamo nell’animo il conflitto di Jamal, il padre, servo più che figlio, di una divinità che vuole estirpate simili peccaminose deviazioni.
Come non udire il palpito del gran cuore della professoressa Dalla Chiara, la creatrice del Corso di Scrittura Creativa, dove molti dei personaggi si sono trovati ad interagire, sorgente da cui sono sgorgate molte delle simpatie e delle antipatie, le cui ripercussioni sono poi a riverberare nell’annodarsi di storie e ruoli.
Come non percepire la rabbia verso la Viola che, nella maniera e con modi più subdoli cercò di privarla della sua creazione e creatura letteraria, versando veleno dall’interno e creando malumori e insidie, nel tentativo di rimuoverla?
Come non intuirne la tenacia e la combattività, il rigonfio muscolare di un lottatore ma, per altri versi, provarne tenerezza, nello scoprire forme d’ingenuità e di commovente bontà dove, anche quando ne avesse l’opportunità, mai riuscirebbe a finire un avversario sconfitto?
Sui tanti palchi, nel teatro delle vite, s’intrecciano stanchi amori e cocenti passioni, odio ed invidia, profonde amicizie ed intense rivalità, gelosie, cattiveria, opportunismo, ma anche generosità, slancio, bontà, soccorso...si mostrano i tanti aspetti dell’umano vivere, nella cui carcassa deforme dimora ancora il soffio divino della creazione.
No, non è solo un romanzo;
non lo si può liquidare come un semplice prodotto di carta, da classificare, come “Giallo”, in riduttiva forma investigativa;
meno ancora, “Noir”, cruda cronaca del conflitto tra bene e male e nemmeno “Hard Boiled”, raffigurazione per nulla sentimentale del crimine, della violenza e del sesso.
Il romanzo non è “solo” questo e quello, ma “anche”.
A destra come a sinistra, le pagine sono come i aste di una bilancia, alle cui estremità i vari pesi sono stati messi per cercare l’equilibrio perfetto.
C’è violenza, morte e sofferenza e si indaga per cercarne origine e causa;
il bene e il male non sono solo bianco e nero: ci sono tutte le tonalità dei grigi, perché la morte non è data solo per il gusto di uccidere, ma per convinzione che sia necessaria, certi d’essere al servizio di una causa giusta e superiore.
Violenza e sesso, non sono neppure crude emozioni, ove non riconoscerne sentimento: l’una e l’altro vivono di profondi convincimenti e roventi passioni, che nulla però hanno d’istinto animalesco.
Contenitori e contenuti, pentole dove sono a cuocere le anime.
“Com’è nel grande, così è nel piccolo”...in tutti questi mondi siamo attori o comparse.
Per questo, su questo muro di carta, scriverò, contro l’ignoranza: “Asino chi non legge”;
e chi non lo facesse, sarà ad averne rimorso e rimpianto, condannato alla penitenza di cantilenare, in eterno, il...Mea Culpa.
Autore: Isichiara – Elisa Vavassori
Prezzo: 18 miseri Eurini, per una polpa di 296 pagine
Collana: Contemporanea
ISBN-13: 978-88-7799-319-9
casa editrice: La Vita Felice
martedì 22 marzo 2011
domenica 20 marzo 2011
Hulkozy
Piccolo nanerottolo incosciente.
Pare che, come il suo dirimpettaio, in Iran, sia caratteristica dei tappi saltare;
L’innesto "Sarkozynejad" sembra l’incontro e la somma di due mezzi, per cercare l’unità.
Quasi a voler usare la forza come zeppa da aggiungere sotto le scarpette, urlano come delle bestie per farsi sentire e impedire che, inavvertitamente, li calpestino.
Ahmadinejad usa l’energia atomica quasi a sperare che gli permetta di diventare come Hulk, il gigantesco eroe dei fumetti che, magrolino magrolino, al momento che gli salta il fumino al cervello, si trasforma in una montagna di muscoli, diventa verde e pure la statura lievita.
Tutto perché, un tempo, il poveretto fu esposto ai raggi gamma, predisponendo il suo metabolismo a tale trasformazione.
"Hulkozy", uguale, con l’unica differenza del colore: diventa…Bruni.
Una cosa c’è da dire, in loro favore: sono svegli e furbi e, come i noccioli delle centrali nucleari, reattivi.
Quasi a esaltare questa caratteristica, siamo ad assistere alla prova provata, dove invece appare affetto da letargia l’opposto perticone, che veramente è a dimostrare quanto ci sia di vero nella saggezza popolare.
"Grand, gross e ciula...mej piscinin ma gandula!", ovvero, grande grosso e stupido, meglio piccolo ma sveglio.
Nella questione libica, il "ciula" è l’Obama, presidente degli "iùessei", che esce dal sonno con la candelina accesa, gli occhi impastati e il pigiamino a stelle e strisce.
«Mammina, mammina: ho sentito i botti…ho paura.»
Hilary, la Clinton, arriva a rassicurare lo spilungone nella cui mansarda alberga un cervellino da puffo e rassicura:
«Tranquillo, tesoro: ci penso io e zio Hulkozy, a mandare via i cattivi.»
Mammina rimbocca le coperte allo spilungone, lasciandogli aeroplani ei soldatini al posto dell'orsacchiotto e guardandolo con tenerezza, mentre si assopisce, succhiando il pollicione.
Hulkozy ha fregato tutti, giocando sul tempo e parandosi il culetto dal pericolo di cadervi sopra.
Dopo aver scommesso sulla prematura fine del Gheddafi, giacché quello ha fatto come Lazzaro uscito dal sepolcro, giocoforza è costretto a entrare nel barattolo della marmellata, non solo con il dito ma con tutta la statura.
Nel tentativo, oscuro solo ai fessi, di fregare l’egemonia di mercato italiana, nello sfruttamento dei pozzi petroliferi libici, al pari degli amici inglesi, non si accontenta di demarcare una zona di non sorvolo - la "No fly zone" - per gli aerei del capo beduino, ma gli rovescia contro, in uno scontro diretto, i suoi cacciabombardieri.
"Per porre fine alla violenza contro i civili", dice il bruni Hulkozy.
La verità: per spianare il terreno e innalzare idrovore "ciuccia petrolio" sue e di compagni di merenda, quelle di Total e Bp!
Senza neppure cercare di capire cosa sia successo e - soprattutto - cosa ci sia veramente sotto e dietro le "magnifiche rivoluzioni", che hanno e ancora lambiscono parte del Medioriente e della fascia "Afromediterranea".
In Egitto, tanto casino ha portato solo a un sistema gattopardesco, dove "tutto cambia perché nulla cambi"; anzi, peggio: i nuovi padroni fanno l’occhiolino, lo sguardo da pesce lesso all'Iran, lasciando aperto il buchino del canale di Suez per farci transitare le barchette da guerra di Ahmadinejad.
All’opposto, nel paese di Ben Alì, dopo che si sono purgati di lui, i suoi cloni hanno dato qualche contentino, giusto per arrivare ridipingere facciata senza ristrutturare il palazzo, aspettando che memoria sbiadisca, allo "Scurdammoci ‘o passato, paisà!".
In Libia hanno mandato tante armi e soldataglie, che sembrano lo sbarco di Normandia, dell’ultima guerra mondiale.
I servizi segreti "Franco-anglo-stellineestrisce", già reduci dalla "babbata" - leggi "figura di merda" - delle rivolte che sono sbocciate all’improvviso, senza averle "annusate", nonostante le risorse corpose per dotarli dei più moderni strumenti di spionaggio, questi guardoni, dicevo, ancora oggi sono al vecchio sistema di ascoltare tra i muri con la coppa del bicchiere rovesciato e l'occhiata dalla toppa della serratura.
Dalla Libia, i coraggiosi rivoltosi, non c’hanno fatto avere ‘na mazza, d'immagini, delle tanto sbandierate stragi di civili;
solo eroici dei loro, che sparano ai piccioni con la contraerea e alle quaglie con i lanciamissili, che sono più marziali i nostri cacciatori, nella stagione dell’impallinamento dei pennuti, all’apertura delle riserve, dove questi bersagli piumati, ancora mezzo rincoglioniti dallo stare nelle gabbie, sono rilasciati per l’impiombatura.
Delle prime denunce di fosse comuni, si sono solo viste buchette sulle spiagge, che assomigliavano più a quelle che facciamo noi durante le vacanze, per le sabbiature.
Possibile che passino solo quattro filmatini con le solite pose plastiche di sparatori all’aria e di missileria che spara ai cammelli nel deserto e l’onnipresente combattente che ride, quasi a farsi vedere in televisione dalla mamma?
Ora, per segare un Gheddafi in piena riscossa, alle navi che sparano dal mare e sommergibili sotto, si dovrà aggiungere carne, che sbarchi e faccia come Dio con il popolo di Israele: ci cammini davanti per fare da apripista.
Niente di più facile che siamo noi, a dover "garrottare" il capoccia beduino.
Dopo quarant’anni di scopate con lui, ora noi - le sue "mogli" - dopo ave gliela data, gli tagliamo le palle.
Bello.
Non sarà perché Hulkozy, oltre alla Bruni vuole pure la nera, non uscita non dalla spuma del mare ma dalle trivelle, e se la vuole fare?
Nanozy, alla riscossa!
Io, secondo me...20.03.2011
Pare che, come il suo dirimpettaio, in Iran, sia caratteristica dei tappi saltare;
L’innesto "Sarkozynejad" sembra l’incontro e la somma di due mezzi, per cercare l’unità.
Quasi a voler usare la forza come zeppa da aggiungere sotto le scarpette, urlano come delle bestie per farsi sentire e impedire che, inavvertitamente, li calpestino.
Ahmadinejad usa l’energia atomica quasi a sperare che gli permetta di diventare come Hulk, il gigantesco eroe dei fumetti che, magrolino magrolino, al momento che gli salta il fumino al cervello, si trasforma in una montagna di muscoli, diventa verde e pure la statura lievita.
Tutto perché, un tempo, il poveretto fu esposto ai raggi gamma, predisponendo il suo metabolismo a tale trasformazione.
"Hulkozy", uguale, con l’unica differenza del colore: diventa…Bruni.
Una cosa c’è da dire, in loro favore: sono svegli e furbi e, come i noccioli delle centrali nucleari, reattivi.
Quasi a esaltare questa caratteristica, siamo ad assistere alla prova provata, dove invece appare affetto da letargia l’opposto perticone, che veramente è a dimostrare quanto ci sia di vero nella saggezza popolare.
"Grand, gross e ciula...mej piscinin ma gandula!", ovvero, grande grosso e stupido, meglio piccolo ma sveglio.
Nella questione libica, il "ciula" è l’Obama, presidente degli "iùessei", che esce dal sonno con la candelina accesa, gli occhi impastati e il pigiamino a stelle e strisce.
«Mammina, mammina: ho sentito i botti…ho paura.»
Hilary, la Clinton, arriva a rassicurare lo spilungone nella cui mansarda alberga un cervellino da puffo e rassicura:
«Tranquillo, tesoro: ci penso io e zio Hulkozy, a mandare via i cattivi.»
Mammina rimbocca le coperte allo spilungone, lasciandogli aeroplani ei soldatini al posto dell'orsacchiotto e guardandolo con tenerezza, mentre si assopisce, succhiando il pollicione.
Hulkozy ha fregato tutti, giocando sul tempo e parandosi il culetto dal pericolo di cadervi sopra.
Dopo aver scommesso sulla prematura fine del Gheddafi, giacché quello ha fatto come Lazzaro uscito dal sepolcro, giocoforza è costretto a entrare nel barattolo della marmellata, non solo con il dito ma con tutta la statura.
Nel tentativo, oscuro solo ai fessi, di fregare l’egemonia di mercato italiana, nello sfruttamento dei pozzi petroliferi libici, al pari degli amici inglesi, non si accontenta di demarcare una zona di non sorvolo - la "No fly zone" - per gli aerei del capo beduino, ma gli rovescia contro, in uno scontro diretto, i suoi cacciabombardieri.
"Per porre fine alla violenza contro i civili", dice il bruni Hulkozy.
La verità: per spianare il terreno e innalzare idrovore "ciuccia petrolio" sue e di compagni di merenda, quelle di Total e Bp!
Senza neppure cercare di capire cosa sia successo e - soprattutto - cosa ci sia veramente sotto e dietro le "magnifiche rivoluzioni", che hanno e ancora lambiscono parte del Medioriente e della fascia "Afromediterranea".
In Egitto, tanto casino ha portato solo a un sistema gattopardesco, dove "tutto cambia perché nulla cambi"; anzi, peggio: i nuovi padroni fanno l’occhiolino, lo sguardo da pesce lesso all'Iran, lasciando aperto il buchino del canale di Suez per farci transitare le barchette da guerra di Ahmadinejad.
All’opposto, nel paese di Ben Alì, dopo che si sono purgati di lui, i suoi cloni hanno dato qualche contentino, giusto per arrivare ridipingere facciata senza ristrutturare il palazzo, aspettando che memoria sbiadisca, allo "Scurdammoci ‘o passato, paisà!".
In Libia hanno mandato tante armi e soldataglie, che sembrano lo sbarco di Normandia, dell’ultima guerra mondiale.
I servizi segreti "Franco-anglo-stellineestrisce", già reduci dalla "babbata" - leggi "figura di merda" - delle rivolte che sono sbocciate all’improvviso, senza averle "annusate", nonostante le risorse corpose per dotarli dei più moderni strumenti di spionaggio, questi guardoni, dicevo, ancora oggi sono al vecchio sistema di ascoltare tra i muri con la coppa del bicchiere rovesciato e l'occhiata dalla toppa della serratura.
Dalla Libia, i coraggiosi rivoltosi, non c’hanno fatto avere ‘na mazza, d'immagini, delle tanto sbandierate stragi di civili;
solo eroici dei loro, che sparano ai piccioni con la contraerea e alle quaglie con i lanciamissili, che sono più marziali i nostri cacciatori, nella stagione dell’impallinamento dei pennuti, all’apertura delle riserve, dove questi bersagli piumati, ancora mezzo rincoglioniti dallo stare nelle gabbie, sono rilasciati per l’impiombatura.
Delle prime denunce di fosse comuni, si sono solo viste buchette sulle spiagge, che assomigliavano più a quelle che facciamo noi durante le vacanze, per le sabbiature.
Possibile che passino solo quattro filmatini con le solite pose plastiche di sparatori all’aria e di missileria che spara ai cammelli nel deserto e l’onnipresente combattente che ride, quasi a farsi vedere in televisione dalla mamma?
Ora, per segare un Gheddafi in piena riscossa, alle navi che sparano dal mare e sommergibili sotto, si dovrà aggiungere carne, che sbarchi e faccia come Dio con il popolo di Israele: ci cammini davanti per fare da apripista.
Niente di più facile che siamo noi, a dover "garrottare" il capoccia beduino.
Dopo quarant’anni di scopate con lui, ora noi - le sue "mogli" - dopo ave gliela data, gli tagliamo le palle.
Bello.
Non sarà perché Hulkozy, oltre alla Bruni vuole pure la nera, non uscita non dalla spuma del mare ma dalle trivelle, e se la vuole fare?
Nanozy, alla riscossa!
Io, secondo me...20.03.2011
giovedì 17 marzo 2011
Fatahssassini
Si, lo so: in Giappone c'è stato il terremoto;
ma quello passa con il vassoietto pieno di biscotti e caramelle, e li offre ai passanti.
Si, lo so: in Giappone, al terremoto, è seguito lo tsunami;
ma la vecchiaccia sdentata si sta servendo pure lei, di dolcetti.
Si, lo so, che in Giappone le centrali nucleari stanno facendo come il tappo dello spumante: saltano.
Ma anche il guidatore di taxi si è fermato, a prendere un frollino.
Lo so che in Libia si stanno scannando casa per casa, strada per strada.
Da noi hanno assassinato Yara;
e Livia e Alessia, le gemelline svizzere, "riposano in pace, non hanno sofferto": parola del loro papà suicida, Matthias Schepp.
Dovunque ti giri, un mondo "splatter", con "effetti speciali" di realtà quotidiana, lacera corpi umani, ne scalza interiora e schizza sangue, come la fontanella dei giardini pubblici.
Lo so.
Ma quei biscottini, distribuiti a cani e porci, ad ogni angolo di strada, mi fa imbestialire;
è quel far festa che mi rende idrofobo.
Quell'aria di normalità, quasi fossero amici degli sposi, che sono a fare il giro degli invitati, ad offrir loro zuccherini per addolcire un gioioso e santificato avvenimento.
Perché quelli stanno godendo per aver accoppato - tra gli altri - scientemente e volutamente, un bimbo di due mesi.
E due ragazzi, di undici e tre anni.
Padre e madre macellati, ma erano pericolosissimi "coloni", armati pesantemente, con badili, rastrelli, forconi, gerle, cestini e quanto di meglio possa offrire il mercato degli armamenti.
Fortuna ha voluto che di li passassero "eroici" combattenti palestinesi che, con sommo disprezzo delle loro vite, hanno avuto il fegato di affrontare il meglio delle forze armate sioniste e, dopo una lotta accanita, di riportare una inaspettata vittoria.
Ora, tornati nelle loro tane, hanno festeggiato con le pantegane di stessa fogna, distribuendo golosità per commemorare tanta sofferta lotta;
e saranno a mostrare superbe cicatrici di tanta maschia battaglia.
la fronte con il bitorzolo, per la pallonata tirata dal piccoletto di tredici anni;
la guancia segnata dal soldatino di piombo che aveva in mano il bimbo di tre;
il petto sporco di sangue, del neonato di due mesi, che l’ha imbrattato mentre la gola gli si apriva, aperta dal coltellaccio del prode palestinese.
Quei maledetti: più sono piccoli e più danni fanno.
Fortuna che la Palestina addestra bene i suoi militi.
La grandiosa battaglia, la località di Itamar di Samaria, il piccolo villaggio, resteranno a imperitura memoria: sulla fusoliera dei razzi, scolpito in quella stele, impressa in quelle colonne acciaiose, maestosi monumenti dell’arte e dell’ingegneria "palestinica", passerà ai posteri, nella lista d’epiche mischie, di lotte di titani, dei ed eroi.
Bisogna "liberare tutta la terra rubata ai palestinesi", dove "Israele è il nemico più abominevole che il mondo abbia conosciuto".
Due mesi...tre anni...tredici anni: che sollazzo, schiacciare degli insetti sotto le scarpe!
Dolcetto o scherzetto?
Io, secondo me...16.03.2011
ma quello passa con il vassoietto pieno di biscotti e caramelle, e li offre ai passanti.
Si, lo so: in Giappone, al terremoto, è seguito lo tsunami;
ma la vecchiaccia sdentata si sta servendo pure lei, di dolcetti.
Si, lo so, che in Giappone le centrali nucleari stanno facendo come il tappo dello spumante: saltano.
Ma anche il guidatore di taxi si è fermato, a prendere un frollino.
Lo so che in Libia si stanno scannando casa per casa, strada per strada.
Da noi hanno assassinato Yara;
e Livia e Alessia, le gemelline svizzere, "riposano in pace, non hanno sofferto": parola del loro papà suicida, Matthias Schepp.
Dovunque ti giri, un mondo "splatter", con "effetti speciali" di realtà quotidiana, lacera corpi umani, ne scalza interiora e schizza sangue, come la fontanella dei giardini pubblici.
Lo so.
Ma quei biscottini, distribuiti a cani e porci, ad ogni angolo di strada, mi fa imbestialire;
è quel far festa che mi rende idrofobo.
Quell'aria di normalità, quasi fossero amici degli sposi, che sono a fare il giro degli invitati, ad offrir loro zuccherini per addolcire un gioioso e santificato avvenimento.
Perché quelli stanno godendo per aver accoppato - tra gli altri - scientemente e volutamente, un bimbo di due mesi.
E due ragazzi, di undici e tre anni.
Padre e madre macellati, ma erano pericolosissimi "coloni", armati pesantemente, con badili, rastrelli, forconi, gerle, cestini e quanto di meglio possa offrire il mercato degli armamenti.
Fortuna ha voluto che di li passassero "eroici" combattenti palestinesi che, con sommo disprezzo delle loro vite, hanno avuto il fegato di affrontare il meglio delle forze armate sioniste e, dopo una lotta accanita, di riportare una inaspettata vittoria.
Ora, tornati nelle loro tane, hanno festeggiato con le pantegane di stessa fogna, distribuendo golosità per commemorare tanta sofferta lotta;
e saranno a mostrare superbe cicatrici di tanta maschia battaglia.
la fronte con il bitorzolo, per la pallonata tirata dal piccoletto di tredici anni;
la guancia segnata dal soldatino di piombo che aveva in mano il bimbo di tre;
il petto sporco di sangue, del neonato di due mesi, che l’ha imbrattato mentre la gola gli si apriva, aperta dal coltellaccio del prode palestinese.
Quei maledetti: più sono piccoli e più danni fanno.
Fortuna che la Palestina addestra bene i suoi militi.
La grandiosa battaglia, la località di Itamar di Samaria, il piccolo villaggio, resteranno a imperitura memoria: sulla fusoliera dei razzi, scolpito in quella stele, impressa in quelle colonne acciaiose, maestosi monumenti dell’arte e dell’ingegneria "palestinica", passerà ai posteri, nella lista d’epiche mischie, di lotte di titani, dei ed eroi.
Bisogna "liberare tutta la terra rubata ai palestinesi", dove "Israele è il nemico più abominevole che il mondo abbia conosciuto".
Due mesi...tre anni...tredici anni: che sollazzo, schiacciare degli insetti sotto le scarpe!
Dolcetto o scherzetto?
Io, secondo me...16.03.2011
martedì 15 marzo 2011
martedì 8 marzo 2011
venerdì 4 marzo 2011
Il vello d’oro
Ai tempi di dei ed eroi bastò la peluria di un ariete, seppur d’oro, a convincere Giasone e compari a prendere il mare, sulla nave chiamata Argo: da qui la derivazione di argonauti, per i suoi passeggeri.
Che quel vello poi fosse magico, capace di volare, poco importa, quando il suo possesso legittimava un posto da re.
Il potere prima di tutto;
“Megghiu cumannari ca futtiri“: comandare è meglio che fottere!
Ma, se l’occasione permette l’una cosa e l’altra, meglio.
«C'è sempre gente che vuole trovare il pelo nell'uovo.»
Parole di Richard Lugner, 78 anni, re pure lui, ma del mattone austriaco.
Anche lui, ha voluto il suo vello d’oro: quello di Karima Rashida El Mahroug, meglio nota come “Ruby rubacuori”.
Regina del materasso, dove lo stendere pelo lo rende d’oro quando all’ariete oggi si sostituiscono stalloni.
E già, perché la Karima, di mestiere fa la “escort”, nobile marca, all’opposto rozzo di più volgare marchetta popolare, che varia a seconda del migrare regionale, passando da zoccola a mignotta, puttana e prostituta, troia, vacca, bagascia, battona e via andare, secondo i tanti passaggi attraverso il volgo italiota.
Poco importa, perché per talune la dignità ha consistenza d’aria, a confronto a carne da offrire a peso e per rendita d’oro.
Niente di scandaloso: come per un atleta dotato dalla natura, è sempre questione di muscolo, che si parli di polpacci, bicipiti, tricipiti, deltoidi, addominali o...patatine.
I tempi cambiano e le idee si fanno più chiare;
come sembra lontano quel ’76, quando i Matia Bazar ancora non conoscevano tariffario e cantavano:
“Per poterti sfiorare non so cosa darei / per un'ora d'amore non so cosa farei / e per un'ora d'amore venderei anche il cuore”.
Ruby l’ha sempre saputo e non è stato solo il cuore ad essere stato venduto.
Con quattro salti e poche frullate, s’è fatta una fortuna, tanto da permettersi ora di sputare su ben settecentomila euri belli belli;
dicasi sette-cento-mila...unmliardo-trecentocinquantacinquemilioni e trecentottantanovemila lirette del vecchio conio, e solo per un’intervista in esclusiva con Alfonso Signorini, direttore responsabile della rivista settimanale Chi, specializzato nella cronaca rosa, e del settimanale televisivo TV Sorrisi e Canzoni.
«Non posso perché io sono con il capo e lui mi dà 4 milioni e mezzo per restarmene zitta», dice all’amica.
“Papi”, il capo, sarebbe Berlusconi, reo d’averla usata per quello che è.
L’operaia della catena di montaggio è già tanto se ne vede 700, di euro.
Vita grama;
e talvolta capita pure che si debba concedere, al capo, se non vuole essere licenziata e finire sulla strada;
Per necessità.
Per disperazione non per scelta, come per le Ruby.
Ognuna ha da vendere cara la pelle: le Ruby se ne gioca un triangolino;
le poveracce, l’intera cotenna, nel rimediare il pane quotidiano.
Non so dove stia la dignità della donna, ma certo nessun Richard Lugner ha mai invitato le Marie Goretti, al ballo delle debuttanti, nel loggione d'onore della Staatsoper della capitale austriaca, nella romantica Vienna.
La Ruby si: ospite d’onore per l'Opernball, l'evento mondano più importante dopo il Concerto di Capodanno.
Visto la maestra, mi chiedo in cosa, saranno “debuttanti”, le giovin passerotte al balletto.
«C'è sempre gente che vuole trovare il pelo nell'uovo», chiosa il vecchietto.
Beh, un solo pelo nell’uovo no, ma il vellutato triangolo si!
E dopo tanto, diranno che sono io il volgare, nel mio parlare.
Io, secondo me...03.03.2011
Che quel vello poi fosse magico, capace di volare, poco importa, quando il suo possesso legittimava un posto da re.
Il potere prima di tutto;
“Megghiu cumannari ca futtiri“: comandare è meglio che fottere!
Ma, se l’occasione permette l’una cosa e l’altra, meglio.
«C'è sempre gente che vuole trovare il pelo nell'uovo.»
Parole di Richard Lugner, 78 anni, re pure lui, ma del mattone austriaco.
Anche lui, ha voluto il suo vello d’oro: quello di Karima Rashida El Mahroug, meglio nota come “Ruby rubacuori”.
Regina del materasso, dove lo stendere pelo lo rende d’oro quando all’ariete oggi si sostituiscono stalloni.
E già, perché la Karima, di mestiere fa la “escort”, nobile marca, all’opposto rozzo di più volgare marchetta popolare, che varia a seconda del migrare regionale, passando da zoccola a mignotta, puttana e prostituta, troia, vacca, bagascia, battona e via andare, secondo i tanti passaggi attraverso il volgo italiota.
Poco importa, perché per talune la dignità ha consistenza d’aria, a confronto a carne da offrire a peso e per rendita d’oro.
Niente di scandaloso: come per un atleta dotato dalla natura, è sempre questione di muscolo, che si parli di polpacci, bicipiti, tricipiti, deltoidi, addominali o...patatine.
I tempi cambiano e le idee si fanno più chiare;
come sembra lontano quel ’76, quando i Matia Bazar ancora non conoscevano tariffario e cantavano:
“Per poterti sfiorare non so cosa darei / per un'ora d'amore non so cosa farei / e per un'ora d'amore venderei anche il cuore”.
Ruby l’ha sempre saputo e non è stato solo il cuore ad essere stato venduto.
Con quattro salti e poche frullate, s’è fatta una fortuna, tanto da permettersi ora di sputare su ben settecentomila euri belli belli;
dicasi sette-cento-mila...unmliardo-trecentocinquantacinquemilioni e trecentottantanovemila lirette del vecchio conio, e solo per un’intervista in esclusiva con Alfonso Signorini, direttore responsabile della rivista settimanale Chi, specializzato nella cronaca rosa, e del settimanale televisivo TV Sorrisi e Canzoni.
«Non posso perché io sono con il capo e lui mi dà 4 milioni e mezzo per restarmene zitta», dice all’amica.
“Papi”, il capo, sarebbe Berlusconi, reo d’averla usata per quello che è.
L’operaia della catena di montaggio è già tanto se ne vede 700, di euro.
Vita grama;
e talvolta capita pure che si debba concedere, al capo, se non vuole essere licenziata e finire sulla strada;
Per necessità.
Per disperazione non per scelta, come per le Ruby.
Ognuna ha da vendere cara la pelle: le Ruby se ne gioca un triangolino;
le poveracce, l’intera cotenna, nel rimediare il pane quotidiano.
Non so dove stia la dignità della donna, ma certo nessun Richard Lugner ha mai invitato le Marie Goretti, al ballo delle debuttanti, nel loggione d'onore della Staatsoper della capitale austriaca, nella romantica Vienna.
La Ruby si: ospite d’onore per l'Opernball, l'evento mondano più importante dopo il Concerto di Capodanno.
Visto la maestra, mi chiedo in cosa, saranno “debuttanti”, le giovin passerotte al balletto.
«C'è sempre gente che vuole trovare il pelo nell'uovo», chiosa il vecchietto.
Beh, un solo pelo nell’uovo no, ma il vellutato triangolo si!
E dopo tanto, diranno che sono io il volgare, nel mio parlare.
Io, secondo me...03.03.2011
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