mercoledì 30 dicembre 2009

Imbelle Epoque

Ci fu un periodo inebriante nel nostro passato, nato alla fine dell'Ottocento ed evaporato una quindicina d'anni dopo, con lo scoppio della prima guerra mondiale: contro di questa, la Bella Epoque si ruppe il grugno, così come andarono in frantumi sogni ed illusioni di una durevole età dell'oro;
fu un intervallo appassionante, effervescente, per storia, cultura ed arte: frizzante, gassato e spumeggiante, come quando si metteva la polverina dell'idrolitina o la frizzina nell'acqua di rubinetto, raccolta in bottiglia;
se non eri pronto a richiudere prontamente il tappo, la dinamica impetuosità ed agitazione delle bollicine di anidride carbonica prodotta, faceva schizzare il liquido alle stelle.
Brutta roba la guerra, che di solito arriva come quei temporali improvvisi, anche se i lontani borbottii avrebbero dovuto farne presagire la venuta.
Ogni conflitto interra morti e semi: gli uni, a far da pastura agli altri, che rimangono dormienti, ma pronti a germinare al cessare del periodo avaro e arido, all'arrivo della prima goccia rivitalizzante.
Il perdente, bastonato, umiliato, impoverito e incarognito, prende tempo per leccarsi le ferite, trovare un caporione e tornare a menar le mani, più incattivito che mai e disposto ad aumentare la posta sul tavolo da gioco.
Gli ebrei, comuni dappertutto, come il prezzemolo, sono i primi a prendersi sulle spalle le colpe di un'avvilente sconfitta e a diventare pane da forno, impastato con il lievito di zingari, matti, storpi e sgraziati, testimoni di Geova, Comunisti, infermi e inferiori, fuori della lista di quella sempiterna razza eletta, che sempre si porta ad alibi per giustificare che, i sacrifici - umani - d'oggi, sono a premiare e scremare il carnaio migliore, di belli e simili a Dei.
Con le ossa ancora più rotte di prima, dalla seconda Guerra "globacquea" si uscì - non tutti: qualche milione in meno - con una fifa boia e buoni propositi, a ripetere «Mai più!»
- «Volemose bene! Parliamone! Siamo tutti nella stessa barca...discutiamone...facciamo comunella!»
L'Europa, fino ad allora la più litigiosa, tignosa, attaccabrighe, invadente e macellaia che mai, con tale verminaio di natali e storia passata a volersi far del male, avvilita e dissanguata, medita tregua;
- «Dobbiamo creare un'assemblea di condominio, amministrare il bene comune con discernimento e minore egoismo, a curare l'orto comune e non solo quello sotto il proprio campanile, e ben venga il vicino, che è ora di finirla di cercare di fregargli il giardino, credendolo più verde; siamo fratelli, cerchiamo di fare grano, come Abele, e mettiamo da parte la clava di Caino!»
Ciumbia!
Che reboanti paroloni, che impeto, che vigore, che umani sentimenti, che cocente passionalità, che calore;
Popoli di tutto il mondo, unitevi!
E qui si rispolverò il Regolamento della Real Marina del Regno delle due Sicilie del 1841, e precisamente il mitico articolo 27:
"All'ordine Facite Ammuina:
tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora:
chilli che stann' a dritta vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso:
chi nun tiene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à".
Insomma: chiasso e movimento, rumore e mai a stare fermi, sia pure per dare solo impressione di febbrile attività,
se non sostanza, almeno sia salva la forma.
Da quanto, nacquero specchietti e collanine, che d'ori e argenti avevano pallida luce, a riempirsi la bocca solo di pomposa nomea: Organizzazione delle Nazioni Unite, Unione Mondiale delle Chiese, Istituto per gli Affari Internazionali, Banca Mondiale;
Nazioni Unite...Unione Mondiale...Affari Internazionali...insomma: la quintessenza dell'ammucchiata.
Per funzionare, questa catena di sant'Antonio, necessità di una cosa: uniformità;
di costumi, di gusti, d'abitudini, di regole.
Bisogna fresare, appiattire, levigare, portare in piano: 'na livella, che metta in bolla, dei vasi comunicanti dove tutto tenda a sistemarsi a medesima altezza.
E qui casca l'asino.
In una realtà e mentalità come la nostra, dove nel tempo il cuneo tra Stato e Chiesa è sempre più affondato, divaricando le due cose, tanto si è martellato che, praticamente, tra uno e l'altra si è formato l'abisso, e questo nel momento peggiore, ossia quello delle massive migrazioni di genti e popoli d'origine musulmana e di un credo che, viceversa, è incarnito come un'unghia nel ditone del vivere quotidiano e sociale.
Noi, ancora 'mbriachi, sotto i fumi di un insano masochismo, spacciato per emancipazione mentale, siamo a tagliar ponti e strappare carta d'identità, a voler fare i fighetti menando vanto di un'indipendenza dalle radici per la dipendenza ad un principio d'ospitalità, che va ben oltre ai tre giorni del pesce che puzza, arrivando ai miasmi, all'aria fritta, ai fetori e al tanfo.
Dove sacca s'infila vento, maggiore il vuoto e più grande il turbine, più la fossa e peggiore l’uragano.
Eccoci dalla Bella a passar all'imbelle Epoque: quella dei calabraghe, dei cacasotto, dei vili e dei pavidi, dello svendere primogenitura per un piatto di lenticchie, che neppure alla nostra pelle ormai danno più valore, da buttare ai maiali e ai cani, come quella del pollo.
Senza radici, senza identità, vogliosi di far parte del tutto, nudi alla meta, siamo ormai di figli di madre ignota o, forbitamente dal latino, di "matris ignotae";
per me, uso di villano parlar maccheronico, eccoci figli di mignotta!
A casa nostra sempre più siamo aggrediti, da urbi et orbi, davanti, dal e nel dietro, da migrati che pretendono di arredar del proprio e finti buonisti, che concedono frutti della propria impotenza e incapacità a difendere del proprio.
Rinunciamo alla rappresentazione del Presepe, alla manifestazione del Crocefisso che, anzi, diventa pure mira di lanci, martellate e rappresentazioni d'arte d'imbratto, come dal suonar campane, che fino a ieri dava allegria, oggi fastidio e disturbo, mentre assistiamo all'occupazione muscolare di piazze e marciapiedi dagli oranti di una "nuova razza eletta", che il proprio dio e volere porta in punta di coltello o nel candelotto delle polvere da sparo.
Persino i nostri pastori sono diventati pecore, quasi ad ammirare il belare d'altre greggi, quelli sì, fedeli e obbedienti a chi li pascola, allineando mandrie con villosi cagnoni da guardia e nodosi randelli.
Dalla serva Albione è partita la nuova era, la "Imbelle Epoque", dove già esistono tribunali paralleli, sovrapposti e sovrani all'indigena legge, che non deve metter dito tra moglie e marito, quando di musulman sponda;
e tante sono a sorgere piscine pubbliche, dove le "shariafimmine" sono a star in vasca da riserva indiana, tra loro, e ben intabarrate, con quel bel "Burkini", il Burqa da bagno, il Domopack dell'Islam.
Mancherà poco che, per non urtare la "suscettibilità" e la sensibilità dell'Homo Binladensis pure noi saremo costretti a parcheggiare la moglie in una corsia separata o nasconderla nei sacchi con graticola oculare o, al meglio, girar la testa e far finta di non vedere, di dover pensare a fare i cazzi nostri e non impicciarsi, se un figlio dell'unico e vero dio bastona e mena con l'anello al naso la sua metà...non del mondo, ma di valore frazionato.
Forse che anche questa, la Epoque Imbelle, è destinata ad avviarsi a sbatter grugno, come l'altra...a la guerre pour la guerre, mon ami?


Io, secondo me...30.12.2009

martedì 29 dicembre 2009

dramMaicol

Piccola carrellata del vitreo oculo nella scatola delle caviette da laboratorio:

Maicol piange, singhiozza, si dispera, le piccole natiche fremono dalla tensione, i nervetti fibrillano, al solo pensiero che Giorgino se ne esca, lasciandolo solo, randagio e ramingo, abbandonato come un cane sull'autostrada;

- «Maicol senza Giorgio si perderebbe...è una sua questione caratteriale, è tutto amore: lui dona tutto se stesso sia nel bene che nel male», è il commento della Dominique, una delle topine che da quella cassetta era uscita.
Spurga lacrime il Maicol, alla sola prospettiva che gli tolgono il Giorgio suo.
Questo è lo straziante "reality", la trasmissione de "Il Grande Fratello", occidentale sbircio da buco della serratura, nel finto mondo di celluloide, tra personaggi alla Fantozzi.
O Fantocci, come storpiava il padrone suo il nome, dello sfortunato e sfigato ragionier Ugo.

Altro è il reality dove non esiste recita da cani ma una bestia d'attore c'è: quelli con il camicione da notte e lo sciarpone sulla faccia, con in mano i grossi fuciloni, fallici prolungamenti di virilità.
Un altro occhio, questo impietoso, minaccioso, privo d'ogni emozione e d'umana considerazione, scorre un'altra e ben più drammatica scena;

forse anche Philomene Kabouree piange ma non si vede, perché il viso è coperto.
Philomene è una donna, e il Grande Fratello dell'Islam ci tiene a mantenere coperto questa bruttura che, a voler essere generosi, vale la metà di un masculo;
forse colpa del dio loro, che ha dimenticato di attaccare a quella, durante la creazione, il pistolino, supremo scettro e pendolo del comando?
Sergio Cicala e Philomene Kabouree, originaria del Burkina Faso, sono stati rapiti il 18 dicembre, in pieno deserto mauritano; stavano andando a trovare la famiglia e il di lei figlio.
La rischiosa operazione è stata portata coraggiosamente a termine da un gruppo di cammellati, manovalanza al soldo di Al Qaeda, che tanto sfarzo e sforzo ha messo in campo, per raccattare un vecchio e la sua signora.

La scena sfuma, una dissolvenza incrociata e il circo mediatico riporta l'occhio sugli inscatolati di casa nostra.
- «All'inizio ho avuto rapporti d'amicizia con Veronica e Carmen, e anche con Tullio con il quale avevo stretto un legame molto forte: la settimana senza di lui è stata davvero dura.»
Poveraccia, la Dominique: in che inferno l'ha precipitata la perdita dello scoglio su cui avrebbe voluto fare la cozza, incollata a vita al Tullietto suo.
Queste sì, che sono le vere disgrazie della vita.
- «L'essere chiusi dentro una casa ferma... dopo una settimana non ti rendi neanche più conto delle telecamere, ma devi passare 24 ore in un ambiente chiuso...non ci si rende conto di quanto possa essere lunga la giornata. Provare per credere!»
Madonna mia, quanta sofferenza, povera candida verginella!

Philomene e Sergio non so quanto ancora dovranno passare del loro, nell'altra casa ferma, nel tugurio, dove il Grande Fratello è ognuno di quelli che ti stanno attorno, pronto a sgusciarti la cartilagine della gola, a sfilarti la giugulare come un dente dalla gengiva.

- «Pitbull ha un modo di fare irruente, prepotente, anche se in realtà è un tenerone: se ti prende a cuore ti coccola con le piccole cose come le fette biscottate, la cioccolata...»

Nell'altra casa, il "tenerone", al massimo è quello che terrà fermo i piedi mentre il compagno di merende, seduto sulla tua schiena, ti prende la testa e comincia a segare il collo.

- «Maicol è stupendo: un attimo prima lo vedi che ride con quelle sue risate bellissime e un attimo dopo piange a dirotto, in un angolino.»
Gioa.
Philomene, se piange, neppure lo vedi, coperta dal telo.
Sergio...poveretto, che per amore ha accompagnato la sua donna, ora umiliata e costretta a velarsi, che vede il suo mondo andare in frantumi, mentre il cuore freme e fibrilla per la paura di perdere vita e amata sua.

- «Ultima domanda: chi vince il Grande Fratello?»
- «Maicol...il protagonista della Casa.»
Maicol piange, singhiozza, si dispera, le piccole natiche fremono dalla tensione, i nervetti fibrillano...

Bisogna capire la tragedia...perché il dramMaicol è quiiiii!

'fanculo!


Io, secondo me...29.12.2009

lunedì 28 dicembre 2009

Essere o non essere

- «Essere o non essere, questo è il problema...»;
l'ora è giunta, il dado è tratto, tiremm innanz, ad incontrare le idi di Marzo, meglio soli che mal accompagnati, l'unione fa la forza...????
Boh!
Partimmo - diciamocelo - come l'armata Brancaleone, entrando nell'agone politico come i Cristiani al Colosseo;
fortuna volle che l'essere piccolo fosse come avere il potere dell'invisibilità: attenti a non essere calpestati, ma solo per sbaglio, non per volontà di chi, grande e grosso, neppure degnava di uno sguardo la pulce.
Un destino benigno volle che passasse di lì un cavaliere;
non Berlusconi, ma Pierferdy, il Casini, che di crociati s'intendeva, avendo servito sotto quegli antichi scudi.
Partito Per l'Europa Cristiana...al Pierferdinando deve essergli venuto il magone, al malinconico ricordo di quando, anche lui imberbe mela verde, cadde dalla pianta e rotolò nel Tempio, non di Gerusalemme ma nel palazzotto del potere di Roma, da dove poi, fu scacciato, con tutti i suoi;
anche qui, riconobbe nei piccoli esserini qualcosa della sua razza tornandogli alla mente i tempi, questi veri, quando governo italiano poteva contare su nomi di gran fiducia come...Piccoli, Storti, Malfatti e Malvestiti.
Eccoli lì...c'erano tutti, che si arrabattavano a cercare di legare il pranzo con la cena, a raccattare qualche spicciolo per raggiungere la pagnotta di "Quorum", a garantirne esistenza, sussistenza e sopravvivenza.
Facevano tenerezza, i ragazzi del prode condottiero Magdi Cristiano Allam, che era partito, lancia in resta, con l'entusiasmo tipico del novizio, che parte in salita dando dentro di mantici e gonfiaggio di petto, dimenticando che si deve usare il passo da montanaro - lento e costante - per non finire spompati per aver mal gestito il muscolare giovanil vigore.
- «Ohe, Cristiano: vieni sotto il mio blasone, che ti porto con me in Europa! Tienti la roba tua, armi, bagagli, ma con me: in hoc signo vinces!»
In mezzo ai...Casini suoi, al prode Cristiano non par vero di trovare sulla sua strada il buon samaritano dell'evangelica novella, in quell'ingrigito giovin signore, e s'affiancò a lui, con bisaccia e Buttiglione, a conquistar terre d'antico Continente.
All'ombra di cotanto superbo guerriero, anche il nostro ebbe buon lume e s'innalzò, a raggiunger lustro e scranno.
La Provvidenza fu quell'incontro, taluni dissero;
un colpo di culo, pensarono e rispose l'invidia d'altri, l'esercito dei trombati.
Magdi nostro non è da passerella, soprammobile di bell'aspetto, che di lingue e mondi conosce, e sa farsi capire e comprende, senza crivello e tramogge di mezzo, a setacciare e sfarinare traduzione e interpretazione con macchie di sugo proprio.
- «Essere o non essere, questo è il problema...se sia più nobile presentare il frutto mio o il continuare a vendere con la casacca d'altri, se pur d'esercito amico»;
Intanto si cambia di nome e di bandiera, a correggere quanto poteva essere preso a gioco di provetti mistificatori e maldicenti portinaie di palazzo, pronti a passar valori per assolutismi e immagine per filo spinato, marcatore di confini e riserve.
Ecco che, da Partito per l'Europa Cristiana si passa a Io amo l'Italia, invero, a parer mio, cadendo dal parer rigida pancera a pannicello di flanella, dalla corazza alla magliettina di lana della mamma.
- «E qui», come disse Fantozzi, prima di inforcare la bicicletta cui era caduta la sella, «mi gioco tutto!»
Già ai tempi del vecchio stemmino - che pareva un timbro postale - criticai del mio: ora ritorno a fare bastian contrario e l'avvocato del diavolo, ma voglio troppo bene - da tempi non sospetti - a Cristiano, per lisciarlo nel senso del pelo, e mal non me ne voglia, se il pelo mi manca in testa ma non sulla linguaccia, più che lingua.
Il presentare un nome così fiacco e spennacchiato mi pare come il moroso di una volta, che crede ancora buono, oggi, il passarsi la brillantina sui capelli, per fare stragi di cuori.
Banale non per il significato, beninteso, ma perché è abito liso, dall'uso e dall'abuso, più frase che secco richiamo, come il logoro, ormai sfilacciato "Per il bene del paese".
Io amo l'Italia non è invenzione da brevettare, di solo padrone od appartenenza: anche chi briga sotto altri colori e bandiere si sente di dire lo stesso, anche se sentimento realizzato con altri mezzi, scopi, fini ed azioni.
"Per il bene del paese".
E il simbolo poi...
- «Forattini...FORattini...FORATTTINIIIII...ohè, mi senti? Potevi impegnarti di più, eh!?»
Cos'è quel cerotto che attraversa la bandiera?
Pare - diranno - che la croce copre quel che sta sotto, ad indicare una gerarchia, un parassitismo e non una simbiosi!
- «Beppe, guarda che quelli ne sanno più di te: ofelè fa el to meste» mi rimbrotta la mogliettina;
Pasticciere, fai il tuo mestiere!
- «Donna, guarda che è Cristiano che ha sollecitato la nostra opinione, ed io rispondo, papale papale, pane al pane e vino al vino, di quel che penso!»
Per nulla intimorita, la femmina mi guarda, come a chiedersi "Ma questo è ancora in garanzia o lo devo tenere, così com'è?".
- «Ha chiesto se, alle prossime elezioni, ritieni meglio se correre in proprio o tenersi l'ombrello, non di riscrivere l'Enciclopedia Britannica!»
'azzarola, come m'è diventata brusca: forse che sotto quel tappo c'è passato aria e mi è diventata aceto?
- «Beh, sai, io penso che bisogna camminare con i propri piedi, vedere di che cosa si è capaci, coscienti che ci aspettano "Sangue, sudore e lacrime" ma, se "Io amo l'Italia", vedere se si è contraccambiati, prima che ci definiamo suoi morosi, ma lei non lo sa.
Ancora quello sguardo canzonatorio (qualche volta la strozzo!):
- «Non conosciamo mai la nostra altezza fino a che non siamo chiamati ad alzarci. E, se siamo fedeli al nostro compito, arriva al cielo la nostra statura. L'eroismo che allora recitiamo sarebbe quotidiano, se noi stessi non ci incurvassimo di cubiti, per la paura di essere dei re.»
Porca miseria, ha trovato dove ho nascosto la bottiglia di grappa!
- «Emily Dickinson: è poesia, tesoro, ma uno come te ci si gratta la schiena, come l'orso sul tronco d'albero!»
E si, c'è proprio entrata l'aria dal collo, e il tappo non è bastato a chiudergli la bocca!

Così la penso io...io, secondo me.


Io, secondo me...28.12.2009

mercoledì 23 dicembre 2009

presepe mini(ani)malista

U.S.A. e getta

Una piiiiiccola crocettina, una riga in mezzo, a significare un corpo filiforme, una "V", ad indicare le braccine, alla cui estremità i polsi sono saldati con due linee traverse, che paiono i punti di una graffettatrice;
la testina a palloncino, alla cui sommità, una "U" rovesciata, a mo di caschetto, dal tratto più marcato, è lo scalpo.
E gli occhi: due bottoncini in cui sono tracciate delle "X", perché il personaggio, nostro Gesù, è morto.
Più complicato descrivere che osservare, tanto il tratto è leggero, scarno e semplice, tenero e innocente, candido e toccante, emozionante ed emotivamente coinvolgente, quanto solo la raffigurazione di un bambino sa trasmettere.
I bimbi non hanno bisogno d'astruse e complicate simbologie, per descrivere ciò che hanno nell'animo: ancora non sono addestrati a nascondere, a scavare trincee, a dissimulare, a mediare, a mercanteggiare, a cesellare, bulinare e complicare nulla di quanto può essere concepito, capito e passato nel modo più diretto e accessibile.
Gesù è morto sulla croce. Punto.
Ma ora viene il bello, perché entra in campo l'UCAS, l'Ufficio Complicazioni Affari Semplici;
nel caso specifico, la maestra.
Nella testa della tipa si forma un cortocircuito mentale e scatta la scintilla che attiva la sirena d'allarme;
pericolo, pericolo, pericolo!
L'eco riverbera nella cassa cranica che, perfettamente conformata per una perfetta acustica, amplifica e rintrona il penetrante lamento nell'abbondante vuoto della cavernosa cavità.
- «Lo schizzo è un disperato e spontaneo allarme del bambino: in croce non è Gesù, ma l'autore stesso!»
La babbiona corre ai ripari: lo scolaretto - seconda elementare - deve essere allontanato dalla scuola, origine di tanto disturbo e affidato alle cure di uno psicologo!
Ostrega!
La strega ha visto il crocefisso e si è comportata come il diavolo con l'esorcista o il vampiro alla vista della treccia d'aglio.
Che la posseduta sia lei?
A dire il vero, l'accaduto non è roba di casa nostra: è avvenuto in una scuola elementare, nei sobborghi di Boston, a Taunton, nel glorioso paese a stelle e strisce, che i maccheronici pronunciano "Iuessei", scrivono United States of America e sintetizzano con U.S.A.
Altro paese, ma il prototipo dell'invasata è universale,
La maestrina, sicuramente allergica all'incenso, piroetta e pirla sull'aia, starnazzando come un'oca, strappandosi le vesti e cercando di proteggere la fragile creatura, minacciata dalla croce:
- «Prendete me, ma lasciate stare l'infante!»
La sensibilità politicamente corretta della poveretta ha sbattuto contro un paracarro...al crocevia.
Paese che vai, usanze che trovi: l'ignorante figlia di tanta madre, sempre gravida, vanta sorelle in ogni continente, dove mangiapreti e "crocincazzati" abbondano, come la gramigna.
Dove mai può esistere pericolo nella figura e nel predicato di un uomo, che è morto sulla croce perdonando ai propri carnefici, raccomandando d'amare e di "fare al prossimo quel che vorresti fatto a te", non è dato capire, in realtà sociali dove i figli sono abbandonati a se stessi, parcheggiati davanti al televisore e testimoni d'ogni pubblica maleducazione, intolleranza e prepotenza.
Per inciso, lo scolaretto aveva semplicemente messo su carta la memoria di una visita, con i genitori, fatta al tempio della Nostra Signora di La Salette, ad Attleboro, applicando l'invito dell'insegnante a disegnare qualcosa legato alle imminenti festività.
Ora il piccolo alunno è sì spaventato, ma per la minaccia d'essere allontanato dalla classe e dai suoi amici e consegnato nelle mani di un dottore, solo per avere figurato un'esperienza famigliare religiosa!
E tutto per la fobia di una svitata, emotivamente fragile e completamente fuori di cozza, cresciuta e condizionata nel brodo di coltura d'idrofobi, rabbiosi e rifuggenti all'acqua santa.
Facciamo tesoro ed esperienza di tanto, memorizziamo e trattiamo simili personaggi con la raccomandazione a stare alla larga dagli appestati che, se li conosci, li eviti.

Se proprio non se ne può fare a meno...U.S.A. e getta.


Io, secondo me...23.12.2009

martedì 22 dicembre 2009

Il calore dei soldi

- «Sono al verde!»

Questa è una delle fasi e delle frasi che più angosciano e disturbano i sonni di ognuno: il trovarsi improvvisamente a non avere più quel mezzo di sussistenza, la pecunia, dove il solo tenerne permette di fare i bauscia, i bulli granosi, di snobbare e definire "vile" il denaro e che i soldi non sono tutto, nel bel filosofeggiare a pancia piena;
Ma non sempre l'essere al verde è segno di miseria;
anzi: tanti sono ad ingrassare, grazie all'essere sotto quella pittura.
Una delle strategie migliori del parassitismo, per gabbare e vivere alle spalle del prossimo, è proprio quello di creare un problema di carta, e poi farsi santoni e custodi di tanta verità rivelata, e lo smalto erboso è uno dei migliori coprenti, inossidabile e sempre lustro, come gli specchietti e le collanine per selvaggi che, si sa, sono attratti dalle cose luccicanti, ammaliati e sedotti, come le falene, che passano dalla luce direttamente nel fuoco.
Tra i tanti cacciatori di grulli, spaziamo dalle stelle alle stalle, partendo da Al Gore per arrivare al nostro Celentano;
alla ricerca di visibilità il primo: scornato alla corsa per Presidente degli Stati Uniti, si butta sul riciclo e si ritaglia il Santuario della Sfiga che è per natura la madre di tutte le catastrofi;
L'Adriano invece è più casereccio, d'arte e mezzi più povero, costretto allo spettacolino minimalista nella ridotta di confini nazionali dove, al confronto con l'americano, se ne esce come il paesano che va in città.
L'unico denominatore comune è il catastrofismo, la predicazione dell'avvento di disgrazie, pestilenze, miseria e dannazione, dove e quando presenti, il masochista plauso.
Al Gore e i pari sua però applicano la regola del "Fate quel che dico, non quel che faccio", come quel nobile decaduto e in miseria che, lappando e facendo scarpetta nel piatto del poverello, che gli offriva del suo, lo educava sull'etichetta della gozzoviglia con eleganza e nobiltà di modi e comportamento, ammaestrando «Vedi: questo non farlo mai!»
"Armiamoci e partite", alfine, è una dei motti meglio applicati da ipocriti e simulatori, abili a far levare ad altri le patate bollenti e le castagne dal fuoco.
Gore è un raffinato cesellatore, tanto che gli è riuscito di fare palanche a gogò e vincendo pure, nel 2007, il Nobel per la pace, arrivando, con quel patentino, a guidare la Ferrari dei Verdi eco-catastrofisti;
il Celentano invece viaggia in Topolino - su gomma e per lettura - e somiglia più al Tafazzi, personaggio comico, la cui caratteristica è di prendersi energicamente a bottigliate sui genitali, traendo estremo godimento.
Adriano è un verde all'acqua di rose, sbiadito e smunto, tanto è la demenzialità delle sue geremiadi, dimostrando quanto si appoggia a documentazione dozzinale, tipo la...bufala dell'orso, tanto sbandierata dal più scafato Al Gore.
La biologa marina Amanda Byrd, scattò una foto celeberrima, falsa per quel che subdolamente trasmise, ma di forte impatto emozionale: un orso bianco ritto su una minuscola lastra di ghiaccio, con espressione curiosa, ma spacciata per smarrita, ad apparire quasi in precario equilibrio su quella rosicata e risicata zattera di fortuna.
Ci si buttarono a razzo i furboni, non sulla piattaforma, con il candido plantigrado, ma sul goloso boccone, da avvelenare ed offrire al popolo bue: non quel che era, ovvero un animale perfettamente inserito nell'ambiente suo e prolifico per numero, ma uno sparuto rappresentante in via d'estinzione, come il Panda, condannato perché a bestia uomo stava erodendone i supporti dell'esistenza sua.
Quell'orso, d'improvviso, rappresentò il Fantozzi della specie sua.
Inutile dire che nessuno immortalò il seguito, dove il peloso albino poi, tranquillamente s'immerse nelle acque e continuò beatamente a prolificare, cacciare e giocare nel suo, traghettando dall'uno all'altro, sui chilometrici lastroni ghiacciati che gli stavano attorno.
Il vecchio trucco del campo stretto su una sconfinata prateria, a far credere ristrettezze dove invece l'infinito.
Amanda poi ammise che in quella foto, icona del 2004, in Alaska "[...] gli orsi polari non erano in pericolo perché vicinissimi al Continente. Quell'iceberg era per 15 minuti, se vogliamo, la loro sala giochi".
Capito l'antifona?
Al Gore usò quel sistema, costruendo una patacca simile, addirittura con due orsi, a voler rendere più drammatica la sequenza e suggerendo un'emergenza che non esisteva!
Con quello e simili altri specchietti per le allodole, imbrogliò e ancora imbriglia la mente di un sacco di gente, ancora di più se "celentanotti".
Tra il furbo e il fesso s'innestano tanti variegati sottoprodotti, a ciucciare latte dalla tetta di madre altrui;
I Verdi, come i Comunisti alla caduta del fascio, all'improvviso figliano peggio che i ratti e gli scarafaggi, dimostrando una prolificità mostruosa, occupando una nicchia che li foraggia generosamente, giustificando le ecoballe, smascherate recentemente da un gruppo di pirati informatici che, spigolando piratescamente nella posta elettronica di tanti saccenti santoni ecoballisti, ne ha sputtanato le reciproche confidenze, dove si rammaricavano che, per far quadrare i conti taroccati dell'ecocatastrofismo, ammettevano l'un l'altro di come s'industriavano a produrre matematica statistica che, quella sì, non tanto era opinione, ma volutamente frutto d'imbrogli, aggiustamenti e forzature.
E giusto per dimostrare da che pulpito viene la predica, anche io vado a dare i numeri;
Copenaghen, vertice sul clima: presenti 1.200 limousine, 140 jet privati in aeroporto, ben 15.000 delegati, che si sono scofanati 10.000 polli, 150 agnelli, un numero imprecisati d'oche e prelibatezze varie e con solo 5 - dicasi cinque - macchine elettriche;
Fumo e consumo a più non posso.
Mi ricorda i vari vertici sulla fame nel mondo, dove anche simili manifestazioni di spreco ed opulenza sono a farla da padroni;
Fate quel che dico, non quel che faccio.

Ah, che bello, il calore dei soldi che, come per i cessi di Vespasiano, "non olet", non puzzano!


Io, secondo me...22.12.2009

sabato 19 dicembre 2009

la Santa Alleanza

La cattedra Di Pietro

Tre-di-ci-mi-lio-ni-sei-cen-to-ven-ti-nove-mila-quatto-cento-sessanta-quattro;
dicasi Tredicimilioniseicentoventinovemilaquattocentosessantaquattro.
A scriverlo in numeri: 13.629.464 e scusate se è poco!
L'estratto conto di un nababbo...gli abitanti di Tokio...il premio della lotteria?
No: i voti, le teste, le capocce di quelli che, alle elezioni politiche del 2008, hanno liberamente e democraticamente votato preferenza a chi doveva governare il paese per i seguenti anni;
voce di popolo, voce di Dio, una maggioranza che l'ha amplificata nelle urne di un paese dove vige un invidiabile libertà, individuale, di stampa ed opinione, nel pieno rispetto di leggi e della Costituzione.
Bocciata e cancellatala la precedente e fallimentare gestione, un’armata Brancaleone, che si è vista togliere mandati e deleghe, per manifesta incapacità.
Se mai ci fu un periodo ambiguo, certo è stato il governo Prodi che, con metà delle schedine, si era arrogato i pieni poteri e rappresentanze per soffocare e tentare di ridurre a nulla il valore dell'altra metà, contro ogni prudente valutazione e opportunità, che spingeva a trovare finalmente un pari accomodamento, peso e gestione, dettati dall'equilibrio delle forze.
Troppe bocche da sfamare, troppi appetiti e seggiole da distribuire al branco variegato, che aveva pretese e parrocchie diverse e conflittuali da crescere.
La mentalità, il vezzo, la prepotenza del comandare, al posto dell'amministrare.
Verrebbe a dire agli sconfitti che «Questa è la Democrazia, bellezze, e voi non potete far niente, niente!», a meno che...
- «Il Pd è senza dubbio il maggior partito nella parte più acculturata del Paese, una forza non certo residuale. È il primo partito tra gli italiani che leggono libri, che leggono i giornali...è vero che il centrosinistra è minoranza, ma è una minoranza che rappresenta la classe dirigente del Paese in tutti i campi.»
Eccolo lì, il Max D'Alema, che c'ha il primo travaso di bile.
Tredicimilioniseicentoventinovemilaquattocentosessantaquattro, 13.629.464 sono quantità, ma non qualità: pezzenti, anche se lui e i suoi sono come quei nobili decaduti con le pezze al culo, a fare i fighetti alla mensa dei poveri.
Capito l'antifona del bauscia: l'Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro, ma su una massa di cretini, una mandria di buoi che, rotto i recinti, ha invaso la piazza.
Ecco il primo brodo di coltura, dove macerare ed estrarre la futura rabbia, il livore, l'odio di chi si sente da sempre...il Migliore, spodestato da un trono che spetta per grazia, derivazione e unzione divina;
- «Non abbiamo niente da guadagnare da un modello di democrazia populista, dove c'è un miliardario che suona il piffero e tutti i poveracci che gli vanno dietro!», aggiunge il Bersani, alla pentolaccia dell'acido.
Tredicimilioniseicentoventinovemilaquattocentosessantaquattro, 13.629.464 che, da ignoranti, diventano pure tontoloni.
No, non va bene, dice il perdente;
- «Con simile maggioranza non ci si sta: non costruzione, ma ostruzione, bastoni tra le ruote su ogni cosa»,
e allora via, con tutto l'armamentario della vecchia scolastica moscovita, che del come costruire non ci capiva un cazzo, ma in quanto a spandere merda e demolire...
Una fortuna inaspettata aiuta i demolitori, dando fuoco alle polveri: si chiama Veronica Lario, moglie vendicativa in un matrimonio ai ferri corti, alla canna del gas, dove cerca di fare tutto il male possibile al coniuge, a sfogare volgari beghe di famiglia.
I panni sporchi non li vuole lavare in casa, ma esporre in piazza, e sceglie per farlo il giornale Repubblica, a cui scrive una lettera aperta contro il Silvio fedifrago, che la tradisce con altre donne, a suo dire.
Storia di corna, insomma.
- «Compagni, contrordine: tornate in redazione, che la merda per il ventilatore già ce l'abbiamo!»
Ecco che il giornale comincia ad incartare il pesce, anche oltre i tre giorni dove, si sa, che se non consumato, puzza.
Per mesi, una testata da quotidiano di un certo impegno ed ingegno, si trasforma in un qualunque inchiostrato di pettegolezzi, del "si mormora", "fonti ben informate dicono", e via a rovistare nei bidoni dell'immondizia.
Alla luce dei baiocchi, ecco che altri scarafaggi escono allo scoperto, portando al banco dei pegni fotografie rubate da una delle residenze private del Berlusconi, e registrazioni vocali e da cellulare di una "Escort" che i 13.629.464
che guardano le figure di Topolino e seguono il piffero, chiamano, chi mignotta, chi zoccola, chi puttana, altri troia: insomma, prostituta.
Notizie da prima pagina: al Silvio piacciono le donne!
Sconvolgente, in tempi dove chi legge libri e giornali, la parte più acculturata, "minoranza che rappresenta la classe dirigente del Paese in tutti i campi", preferisce le Natalì e le Brenda, con il pelo sullo stomaco e il batacchio un poco sotto!
Bel concerto: Berlusconi tromba...il resto, a tirare il cordone dei campanacci!
Dato per scontato che la carne è debole, sia essa di destra o di sinistra, meglio abbandonare campo e camporella,
Ritornano i magistrati, a tenere per le palle la politica, che basta un avviso di garanzia, pure taroccato o fasullo, come un pentito pluriassassino, disposto a vendere la madre, pur di sfuggire all'ergastolo, ed ecco il piede di porco per scardinare programmi, tempi e progetti d'ogni inviso reggitore per volontà di popolo.
Tredicimilioniseicentoventinovemilaquattocentosessantaquattro, 13.629.464 che, da ignoranti, poi tontoloni, diventano impotenti, a vedere portato a temine il proprio volere.
La legge è uguale per tutti...ma spesso un magistrato di Canicattì smonta l'operato di uno di Viggiù, come Penelope,
quando tesseva di giorno e scuciva di notte.
E sulle piazze ci sono quelli dei Centri Sociali, a spaccare tutto, a menare, a...destra e manca.
Repertorio vecchio, datato, logoro muffo: se lo conosci, lo eviti.
C'è un male peggiore, di tutto questo.
La sinistra spesso gioca sporco, ma manovra con ingegno, talvolta con eleganza: una pentola a pressione, ma con una buona valvola di sfiato.
Lo sputtanamento dell'avversario tende a dividerlo dal branco, a renderlo zoppo per poi, lasciato indietro, farlo a pezzi - politicamente, intendo - e tornare alle urne vantando vesti meno imbrattate di macchie e patacche, a figurare d'essere il minore dei mali.
No, per certi versi è un nemico a cui concedo l'onore delle armi, anche se bara con le carte, processuali e non.
Il pericolo per il paese si chiama Antonio Di Pietro, che io chiamo Di Pietro Miccia, a richiamare il Pietro Micca, che diede fuoco alle polveri, ma fu lui a saltare in aria, per fermare il nemico.
In Di Pietro vedi l'odio allo stato puro, gli occhi spiritati, a palla, che sembra gli devono schizzare fuori, le mani artigliate, quasi a volersi fisicamente scagliare contro l'altro, l'invettiva, la volgarità politica, l'insulto, la rabbia pronta ad esplodere.
- «Io a quello lo sfascio...Governo mafioso...ci vuole la mazza, ci vuole» e Berlusconi è «diavolo da fermare, fascista, razzista, antisemita» dandogli titoli e d equivalenza con dittatori, assassini e criminali «Hitler, Saddam, Videla, Nerone» e perfino un «Dracula»;
Di Pietro è diventato una schiumarola, a raccogliere, galvanizzare ed infiammare le frange più estreme ed estremiste di sinistra, incazzate con i loro capi, ritenuti troppo remissivi, timorosi, impauriti, titubanti, rassegnati.
Uno per tutti, esempio, di come la violenza e l'abitudine di menare le mani si trasmette da padre in figlio, si eredita e si perpetua, letto su "Libero", del 17 dicembre:
"Mia nonna che ha 86 anni mi racconta quando cuciva tasche interne sui giubbotti di mio padre e dei suoi fratelli, per nascondere le chiavi inglesi e poi mi apostrofa «Ma voi giovani, che cazzo avete in testa», e io a rispondere «Ci stiamo provando nonna, ci stiamo provando»".
E già: al posto della chiave inglese va bene anche una riproduzione, un blocchetto sassuto del Duomo di Milano, a tentare di spaccare la testa al Silvio di turno.
- «Tu sei Di Pietro, e su questa pietra fonderò la tua chiesa.»
Ecco il Tontino, salire sulla cattedra...Di Pietro.
L'Italia Dei Veleni, c'ha aggiunto gli altari e altarini.
Avanti, Di Pietro Miccia: fuoco alle polveri!
Tredicimilioniseicentoventinovemilaquattocentosessantaquattro, 13.629.464...anche a quelli, li sfascia!


Io, secondo me...19.12.2009

lunedì 14 dicembre 2009

Magister ut

Il prode Belinscuro guardava la distesa sotto di lui: la Piana del Domm mostrava tracce della tribù dei Boi;
infinite volte aveva provato a portarli dalla sua parte, a trattare, a cercare la pace o un accomodamento, una mediazione tra le opposte visioni del mondo.
- «T'amo, pio boi!» disse, avvicinando ognuno dei loro capi, ma invano.
Uno di quelli, anzi, il bellicoso Optiride, minacciò da subito che ci poteva scappare l'azione violenta, il momento di far saltare il banco.
Rosso come un pomodoro, occhi a palla, ad uscire schizzati come l'uovo espulso dal dipietro - ops! - didietro - della gallina, dalle retrovie salta continuamente in lungo e in largo, incitando i suoi, giurando e rivolgendo sguardi torvi al Belinscuro:
- «Io a quello lo sfascio!»
Belinscuro s'arrampicò sulla schiena del suo scudiero, e poi sullo sgabellino, per sedere infine in groppa al fedele destriero.
Dal basso, gli "Urlatores" cominciarono a battere sugli scudi, preludio dell'imminente attacco;
denti digrignati, peli ritti, battevano all'unisono le affilate falci e i poderosi martelli;
a far da sponda, di malavoglia, a far numero e presenza, più che sostanza, stavano i Piddì, guidati da Arsiben, il vecchio guerriero con la rimasta capigliatura ai lati dell'orecchio e la scriminatura nel mezzo, dopo l'ennesima sconfitta che gli è passata come una pialla.
A fianco, compagna di sventura, più bella che intelligente, stava la Birosnidi, dell'estinta tribù degli Insalubri, scomparsi a seguito dell'epidemia che li ha colpiti per non essersi mai pulite le mani.
A rimorchio, il resto dei tanti sopravvissuti a tante batoste, inquadrati nel gruppone dei Galli Scemoni, quelli da mandare avanti per primi, a menar le mani e far la fine del pollo.
Maximus degli Scemoni s'avanza con qualcosa in mano e, siccome Tartaglia, ci mette un poco a dire la sua:
- «A-a-a-anche i-i-io, a-a-a q-q-q-quello l-l-lo s-s-s-s-f-f-f-ascio!»
Optiride disse: Ad un mio segnale, scatenate l'inferno», nel mentre che un bruscolino gli entrò nell'occhio;
Maximus, il tartaglino, capendo Roma per toma, lancia uno strano proietto, squadrato e con la testa frastagliata, a forma di guglia.
Nel frattempo Belinscuro, con il caratteristico sorriso smagliante, i denti che parevano fanali, era andato loro incontro, fiducioso che, seppur massa di Boi, Piddì, Insalubri e Scemoni, tratti d'umana civiltà dovevano comunque avere, e un tentativo...val pure una massa.
Nel mentre che tra i denti di Belinscuro si formò un varco, nell'urto con il bolide tirato addosso, Birosnidi, ricordò quando quel maledetto si era già preso un cavalletto sulla zucca e ora, come allora, imprecò e maledì la fortuna del nanerottolo che, ancora in piedi, pare avere più vite di un gatto.
Optiride subito approfittò per lanciare l'ennesima accusa:
- «Colpa sua: è lui che istiga!»
A lui non la si fa: c'azzecca sempre;
è l'unico che ha visto la dentiera di Belinscuro lanciata verso il prode Maximus, e la di lui pronta risposta, a parare il colpo;
e, rivolto al popolo, quelli al seguito del piccoletto messo a terra, gongolando rincara l'umiliazione:
- «Siete tontoloni: ogni volta che votate vi sbagliate!»
E presa l'erba ne fece un fascio: tutto andava per il verso suo, liscio, liscio come l'olio...di ricino, a prova di quanto sia meglio il bastone della carota!
Optiride, forte di tanto, vede le fila dei suoi Boi ingrassare di numero: nuovi arrivi, vogliosi di menare le mani;
eccolo allora iniziare a fare lista di greggi e armenti:

Optiride, dux;

Boi: mag.ut;
Piddì: mag.ut;
Insalubri: mag.ut;
Scemoni: mag.ut;
...
Mag. ut... a fianco del nome l'abbreviazione , ovvero "maestro come sopra";
ma siamo a Mediolanum dove il "latinorum" diventa maccheronico e, storpiato in "magutt", significa manovale, ovvero maestro di mano, "magutt" dei Boi!

Io, secondo me...14.12.2009

sabato 12 dicembre 2009

Che brutt diventà vegg

- «L'è un brav fieu, ma l'è un po ciula!»;
tradotto, dal Milanese al dolce stil nuovo, suona così: è un bravo ragazzo, ma un poco sprovveduto.
Questa, l'ultima, diretta all'Adriano, il Celentano, dedito ormai, più che al gorgheggio d'ugola, ai gargarismi del messianesimo, all'annunciazione rivelata, al "In verità, in verità vi dico".
El "Giuan", il Giovanni - che di cognome fa Fumagalli - è parte di quelli che io chiamo "La banda del buco";
beninteso, non sto parlando di un gruppo malavitoso, esperto nel carotaggio nei locali blindati delle banche: sono i "capelli d'argento", non una tribù indiana ma personaggi dal pelo candido, pensionati che ristagnano negli angolini dei piccoli baretti, con gli occhialini sulla punta del naso, a leggere il giornale o a commentare del più e del meno; di come si stava meglio una volta, del rispetto e della religione - che non c'è più - e delle stagioni, che non sono più le stesse.
Nonostante quel loro dialogare, spesso concitato, il mettere a dura prova le coronarie, in un sincopato duellare sulla politica o per il calcio, fanno tenerezza.
Cercano lo sguardo, l'aggancio al loro simile, l'approvazione o meno, pur di scacciare la bestia peggiore: la solitudine.
Hanno tanto da dare, tanto da dire magari, il tutto, un poco datato: un "software" - talvolta anche l'hardware - in cui, l'ultimo aggiornamento risale alle guerre puniche;
Io, con loro, sto facendo pratica, nell'attesa che il tempo mi collochi tra quelle fila, ad essere "Matusa", come si diceva ai miei tempi, in onore del Patriarca biblico Matusalemme, l'annunciatore del Signore Iddio, che ebbe abbuono per tirare a campare quasi di un millennio, come cronache mormoravano;
oggi, che sei detto vecchio dopo i trent'anni, sei "rimba", che sta per rimbambito.
Cominci a parlare da solo e, se non hai l'apparecchio sull'orecchio, neppure riesci a far credere di farlo perché sei al cellulare, con connessione "senza filo";
senza filo io lo sono, ma spesso perché perdo quello del discorso.
Cosa stavo dicendo...i vecchi...il rimba...parlare da soli, ad alta voce, i buchi e i bachi nel cervello...ah, già!
- «Che brutt diventà vegg....ma l'è mei che crepà bagaiott», sentenzia "el Mariett", il Mario:
che brutto invecchiare; ma è peggio morire ragazzotto.
El "Giuan", e gli altri come lui, non sono svaniti perché, in effetti, stanno parlando con...i fantasmi!
- «Ussignur: anca el Giusepp l'è rimbambii, fora de melun!», anche il Giuseppe è rimbambito, uscito di testa, dice el Pierin, il Pierino.
Nossignore.
Gli anziani sono dei sopravvissuti e, quando tanto carichi di lune, hanno visto quelli meno fortunati di loro passare a migliore vita, così come quel mondo che li aveva cresciuti.
Con questa dimensione stanno parlando, quando li si sente bofonchiare da soli: chi sorride, capirà, capiterà lui di vedere il proprio orizzonte avvicinarsi, mentre dietro, il vuoto.
Difficilmente "i grigi" riconoscono e si riconoscono oggi, sentendosi - e lo sono - sopportati, a malapena tollerati, fastidiosi, noiosi, esclusi, in una realtà in cui la saggezza, l'esperienza, frega nulla.
- «l futuro è nei giovani!»;
Vero, ma...il nonnetto, dove lo metto, in quale cassonetto della raccolta differenziata?
Nel realtà del palestrato, del mondo virtuale, della scatola vuota ma ben confezionata, degli urlatori, dei tuttologi, di rintronati "tronisti", scemi ma belli, del "ti spacco la faccia perché sono più grosso", del tanta gente muore, ma basta schiacciare "new game" e ti ritornano in vita, ecco che el Giuan, el Mariett, el Pierin e - prossimamente - el Giusepp, devono rasentare i muri, che altrimenti il mondo che corre gli "rampega", gli si arrampica sulle spalle, per scavalcare.
Dove si va poi...boh!
Tutti corrono, un motivo ci sarà: e nessuno a fermarsi, per comprendere origine di tanta frenesia, di tante falene che ruotano vorticosamente, incantate, attirate dalla luce entro la fiamma.
E allora, la zavorra, eccola, racchiusa nei recinti delle riserve loro assegnate: il bar, la chiesetta, il circolino della canasta e i loculi, più che locali, che i vari Comuni assegnano loro, prima di traslocarli in quelli definitivi, al cimitero.
Allora via, a sparare le ultime cartucce a salve, a parlare tra loro e magari con uno paziente e rassegnato, preso all'amo e non ancora esperto nell'arte dello sgancio, ancora imberbe, ingenuo e implume.
- «L'è un brav fieu, ma l'è un po ciula!»;
Ma cosa ha combinato l'Adriano, per divenire argomento della "banda del buco"?
- «Come, non lo sai? C'ha scritto al giornale, incazzato come una bestia, perché stanno per fottere l'ambiente!»
- «Eh?»
- «Ma si: sporcano, inquinano, vogliono fare le centrali nucleari...sua maestà, la Terra, dilaniata dalle torture, sulla quale ci si affanna a dare l'ultimo colpo di grazia!»
O Madonna: riecco che torna il profeta della penitenziaggine!
- «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno di Dio!», l'ha ripetuto e ammonisce, l'Adriano.
- «La salvezza del mondo potrebbe venire soltanto da un'intesa mondiale dei ricchi [...] ho letta un articolo riguardante la Conferenza sul clima in corso a Copenaghen: si darebbe ai paesi ricchi, e non all'Onu, il controllo della lotta alle emissioni di gas serra.»
Ahi,ahi, ahi!
- «Sancirebbe ai paesi ricchi il diritto di inquinare il doppio dei paesi in via di sviluppo, a non assumersi la responsabilità nella lotta ai cambiamenti climatici [...] giustamente i poveri reclamano pari opportunità all'inquinamento, e quindi ad arricchirsi, come per quelli!»
E qui parte la filippica, peggio del Giovanni dell'Apocalisse, a portare sfiga e menare gramo, che "Il 2009 sia stato l'anno più caldo della storia per l'Africa e l'Asia [...] ondate torride nel Pacifico orientale [...] la peggiore siccità degli ultimi cinquant'anni; precipitazioni inferiori alla media anche in India e in Kenya, crisi alimentare., ondate straordinarie di caldo nelle regioni orientali dell'Oceano Pacifico e scompiglio nel clima mondiale".
Al pari dei Maya, con il loro calendario che si ferma al 2012, lo iettatore s'allinea agli astri, nell'infausta somma del coronino del rosario, nello snocciolare le vie dolorose della nuova via Crucis.
A nulla vale parlare di cicli, di glaciazioni seguite a tempi più caldi, se non bollenti, all'attività o meno delle tempeste solari, dei miscugli, delle imprevedibili e incontrollabili miscele e misture delle correnti oceaniche e delle conseguenti temperature, del vulcanismo e di tante altre forze, cui comunque siamo costretti a sottometterci.
Come ogni buon masochista che si rispetti, l'incontro con un sadico come me è fonte di piacere;
- «Siamo noi la causa degli sconvolgimenti!», dice presentando le spalle alla frusta.
- «Mica vero: è la natura che c'ha le sue cose, il suo ciclo», rispondo io, negando la nerbata;
e, senza la scudisciata, ognuno gode nel proprio, nell'orgasmo del «Fammi male!», e l'altro nella venuta del «No!»
Giusto in tempo per confermare la regola che vuole uno sia "Grand e ciula", sprovveduto in scala di grandezza, parte il resto delle "celentaneidi", a far imbufalire la cricca del Giuan e me medesimo.
- «Quello che mi allarma tremendamente è l'ultimo obiettivo del governo Berlusconi: la costruzione di otto centrali nucleari [...] la prima "centrale della morte" potrebbe sorgere nel Veneto, nei pressi di Chioggia. Nel Veneto si costruisce l'ordigno mentre le scorie, che sono radioattive, si spediscono al Sud [...] essendo il Nord più ricco, gli spetta il privilegio di una morte istantanea, causata appunto dall'esplosione della Centrale [...] il povero Sud [...] una morte lenta e sofferente come solo il cancro sa dare.»
Ora - io, secondo me - sono a dar parer del mio, e non certo a credere di possedere verità rivelate, ma vorrei - provo - vedere il bicchiere anche mezzo pieno, nel sorseggiare parte del succo dell'Adriano, stemperandolo però nella dura ed esigente realtà d'oggi, che non vive di sola poesia, seppure questa confini la bestia nativa che portiamo in noi, nella rettiliana stratificazione del nostro cervello.
Siamo in un momento della nostra esistenza in cui possiamo solo agire di freno e frizione e acceleratore, ma non invertire la rotta;
miliardi di persone hanno bisogno sempre più di succhiare energia, che è quella che serve a mantenere colture intensive, campi e allevamenti in misura soddisfacente da sfamare e soddisfare tante bocche;
Cina e India, che stanno uscendo dall'anticamera di fame e carestie, mai faranno retromarcia;
paesi arretrati economicamente, per superare la soglia della sopravvivenza, troveranno sfogo nel consumo del meno costoso: il carbone.
La scorciatoia, prima di noi, l'hanno scelta Francia, Svizzera, Germania, Austria e chi più ne ha, ne metta, dove centrali nucleari sono spuntate come funghi, a farci da contorno;
forse che la nostra dabbenaggine ed emotiva, più che motivata rinuncia, ha portato qualcuno ad imitarci?
Comperiamo a caro prezzo l'energia senza che la nostra verginità abbia convinto alcuno, senza spostare di una spanna il pericolo: "centrali della morte", ordigni potenzialmente esplosivi e portatori di cancro ce li portiamo attorcigliati al collo, come una collana, pagando profumatamente questo cappio.
Non ho mai visto Adriano bello nostro andare in quei paesi, a cercare di far smantellare quegli ordigni, ma sicuramente anche in casa sua si accende la lampadina, illuminata da quegli interruttori esteri.
Tacco e punta: freno e frizione e acceleratore, ma la retromarcia ormai è inutilizzabile, come il tornare al carrettino trainato dall'asinello.
Come diceva quella pubblicità: la potenza è nulla, senza il controllo, e certamente dobbiamo trovare modi per mediare, ma non adottando il "solo", invece del "con".
Il voler credere che bastino le pale eoliche e i pannelli solari è come pensare che i biscotti della Barilla escono veramente dal Mulino Bianco.
Non potendo pretendere che i paesi che ne stanno uscendo, tornino a stringere la cinghia, altri sono a dover fare rinunce.
Siamo veramente a volere fare a meno della seconda o terza macchina e o telefonino, viaggi aerei o in nave - cazzo, se inquinano quelli! - per andare a fare la vacanzina da fighettoni a Cuba;
a tornare a fare la scampagnata nella bergamasca, sui lidi ferraresi, sull'Adda e simili amenità.
O, come dice il prete, a rinunciare ai piaceri della carne, quella bisteccona al sangue, la cui filiera ciuccia enormi quantità di acqua, energia elettrica, carburante, cereali e granaglie?
Già si fa fatica a rinunciare a un ponte, non quello di Messina o del dentista, ma a far festa, alla sigaretta, al caffè o a mettersi a dieta, figurarsi la playstation, l'ultimo televisore al plasma o il lettore MP3 touch screen!
Al vederlo, una ispezione a casa e nelle abitudini del Celentano non fanno presagire comportamenti da asceta;
casomai, di uno stile "armiamoci e partite".
La mia ricetta per il tutto?
Non ce l'ho, ma posso dirmi d'accordo con quel sergente dei Marines a cui un ambasciatore, indossando il giubbotto antiproiettile, chiese:
- «E se mi sparano alla testa?»
rispose serafico:
- «Si abbassi, signore!»
Sicuro che, a leggermi fin qui non ce l'ha fatta nessuno e, se sì, qui vi perdo, aggiungo in coda un vecchio mio scritto, di anni fa, che intitolai "Il nido del filosofo", a sottolineare di quanto sia facile parlare di sacrifici e cazzeggi a pancia piena.
Anche io ad essere...un brav fieu, ma un po ciula!
Il nido del filosofo.
Finalmente a casa!
Abbandono la valigetta quasi volessi disfarmene e getto distrattamente le chiavi sul tavolo.
Accaldato, dopo una giornata afosa - dove ogni respiro costava lo sforzo di dover aprire i polmoni ad una zaffata d’aria bollente - mi precipito verso il frigorifero. Gusto il primo momento: all’apertura m’investe una carezzevole frescura rendendo ancora più voluttuoso il prendere la bottiglia d’acqua fresca. Bevo golosamente cercando di annegare quella sensazione di calore, quella continua e fastidiosa percezione d’arsura che ti fa sembrare come una foglia secca accartocciata. Incurante dall’aspetto ormai rilassato ma arruffato, con la camicia aperta e le scarpe abbandonate durante il breve tragitto - a cercare la frescura del nudo pavimento - mi trascino verso la salvezza. Clic! E la magia comincia: un piccolo, quasi impercettibile fischio, alette che si aprono come le ali di un angelo ed ecco, finalmente, un piccolo sibilo ad indicare che sono salvo. Se non fosse cosi in alto quasi lo bacerei. Il mio climatizzatore!
Faccio scorrere l’acqua della doccia e contemporaneamente accendo il televisore a catturare qualcosa: musica, informazioni, anche solo un leggero brusio di sottofondo che renda ancora più confortevole il riconoscere la mia "tana". Il refrigerio dell’acqua, il suo piacevole massaggio mi ritempra. Mi sento più pulito, più presentabile quasi - in quel piccolo momento paradisiaco - più "umano".
Nello stile "informale" - classica uniforme di calzoncini corti e mogliettina - accendo un attimo il mio portatile a dare un piccolo controllo alla E-Mail poi, soddisfatto, scorro il giornale a completarne la lettura dopo averne solo spiato titoli e brevi introduzioni durante le pause caffè, sul lavoro.
Pianifico i miei impegni - il magico momento di organizzare una puntata in pizzeria con gli amici – usando uno dei cellulari che circolano in famiglia. Prendo le chiavi della macchina abbinandone il mazzo al modello ( eh, si: ne abbiamo due ) Ah, già: devo ricordarmi di fare il pieno di benzina.
Durante il tragitto maledico la mia smemoratezza, battendo nervosamente il palmo della mano sulla fronte: dovevo mandare il vaglia a conferma della casa per le vacanze! Domani. Prendo nota sulla mia agenda elettronica. Bella la macchina che incrocio. Dovrei cambiarla: la mia ha ormai quattro anni. Ecco, anche oggi mi sono dimenticato di svuotare i sacchetti della differenziata. Casa sembra diventata un magazzino: scatolette e cartoni, bottigliette, scarti di frutta e verdura, imballaggi degli ultimi acquisti. Accidenti, quanta roba! Ed è passato solo un giorno dall’ultima volta che ho svuotato le pattumiere!
Speriamo che all’approssimarsi della calura e all’avvio dei condizionatori non si finisca come l’altra volta con tutte quelle interruzioni di corrente. Senza la calcolatrice non ricordavo più neppure come facevo prima le divisioni ed ho dovuto aspettare il ripristino della rete elettrica prima di terminare la mia denuncia dei redditi. Dopo, il rassicurante ronzio di tutto ciò che sembrava morto, il riaccendersi di televisione e l’illuminarsi dei locali, l’avvio della lavatrice e il borbottio della calcolatrice. Eureka! Sembrava quasi che anche io mi fossi spento con loro!
Il breve attimo di smarrimento - il protrarsi l’avrei chiamato panico - è passato. L’energia di nuovo scorre.
Così "naturale", così rassicurante: come la paglia nel nido. Mi addormento cullato in quel benessere. Cosa farei senza tutto questo?!
Abbioccato sulla poltroncina ripensavo ai bei tempi delle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, alle proteste contro l’inquinamento, la difesa delle foreste pluviali e la contestazione per la difesa delle minoranze.
Tosto quell’articolo sul Forum di Magdi Allam, Noi e gli altri. Come s’intitolava...ecco...si..."Per il Petrolio, per l’Acqua!". Però, quanto è pessimista quel Giuseppe Fontana.
Deve pur capire che a qualche cosa deve rinunciare...per gli altri!


Io, secondo me...12.12.2009

giovedì 10 dicembre 2009

Carampane a morto

Ci si abitua a tutto, tanto che neppure le stragi ormai fanno più notizie ed effetto, tanto che, il ripetere morti qua e morti...Allah, serve solo a formare ancora più strati sul callo dell'indifferenza e il farne conta è come recitare il ritornello del girotondo, e chi se ne frega se finisce con un bel "Casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra";
davanti a tanta stanchezza e rassegnazione, a continuare a raccogliere e a far l'avvocato delle cause perse, cascano le braccia e si cerca il rimbambimento e il cavalcare chi e quello che non presenta resistenza o pericolo, lasciando e stando alla larga da quelli del "Chi vusa pusè la vacca l'è sua", chi grida di più si prende la vacca.
Bello, l'applicare la regola del "Ti piace vincere facile" e fare il debole con i forti e i forti con il debole.
Accada quel che accada, ma non in casa mia, che degli altri non me ne intrigo.
Un esempio, uno per tutti?
"2012", del regista Roland Emmerich, pellicola che cavalca l'onda e la moda del catastrofismo, prendendo spunto dal calendario Maya che, interrompendosi proprio lì, fa presagire che non ce lo volevano dire - per non spaventarci - ma siamo alla fine del mondo, all'Apocalisse.
Casca il mondo, casca la terra, Notre Dame va in pezzi, così come l'abbazia di Westminster, il Big Ben, si sbriciola il Cristo Redentore, che sovrasta Rio de Janeiro e va in polvere la Casa Bianca, il Congresso di Washington e il Vaticano, con San Pietro e il cupolone;
Ma la Kaaba alla Mecca no, come tanto altro dell'altra sponda.
Miracolo!
Macche: fifa.
- «Far crollare il Vaticano non comporta alcun rischio: i cattolici non mi condanneranno a morte; far sprofondare la Mecca mi avrebbe procurato una fatwa dagli islamici!», ammette il caro Roland Cuor di Coniglio;
e allora, come dicono - disen i milanes vecc - i "meneghitt", i vecchi meneghini - "Gh'è minga de maravejass a pensà che'l faga un puu 'l ganassa", non c'è da meravigliarsi che faccia un pò il bauscia, ma solo dove non rischia la cotica.
Tempo addietro, il custode di un Museo si prese un cazziatone pauroso, solo per aver fatto bene nell'invitare a scantonare una che voleva entrare con il burqa, il telone che copre le donne musulmane, marchiate Taleban.
Dove il divieto, di accedere alle acque pubbliche con il "burkini", burqa-tendone per il bagno, alcune "onorevoli" femmine nostre si sono cosi intabarrate, per protesta, spacciando e dando ad intendere che chi vietava attentava ad una libertà, quasi che le "burkinate" godessero del bene principale d'essere padrone di se e delle proprie scelte.
Femministe da quattro soldi, che il loro fare evidenziava una crudeltà: dove alle une era concesso vivere alla luce, alle altre era imposto la tenebra.
Carampane italiote!
A migliaia invasero i marciapiedi, stendere i pannolini della preghiera e la piazza del Duomo, a Milano, a marcare con la forza il territorio, a far i cazzi propri in casa d'altri, in muscolare pretendere, a mostrare disprezzo e terga per gli altri, imperfetti, miscredenti, infedeli, cani, porci e scimmie.
Queste ed altre manifestazioni, a confermare: "Chi vusa pusè la vacca l'è sua".
E tutti zitti: a chinar la testa, nell'illusione che basti chinare il capo, a che l'uragano si sposti e vada a devastar altrove.
Germania, università di Ratisbona, Benedetto XVI sul rapporto tra fede e ragione:
- «Il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo tocca il tema della jihad, della guerra santa [...] si rivolge al suo interlocutore [...] dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".»
Manuele II Paleologo...si rivolge al suo interlocutore dicendo...
Manuele dice, NON Benedetto.
Apriti cielo!
La parte analfabeta, rozza, grossolana e d'infima cultura dell'Islam peggiore, apre le stalle e chiama a raccolta il bestiame, lanciandolo per le piazze di mezzo mondo, a bruciare Chiese imbottite di cristiani, a dar da intendere che quelle erano le parole del massimo esponente della cristianità, in spregio all'unico vero dio; il loro, ovviamente.
E l'Occidente, zitto, tremebondo, a domandar perdono per un peccato che mai ci fu, ad accettar supinamente che missionari e gente nostra fosse accatastata a far fiamma, e addirittura crocefissa!
La parte infame di un mondo aggressivo, soffocante, schiavizzante, fanatico, irrispettoso, megalomane e ignorante vive di "percezioni", come una belva in caccia: elabora segnali, che l'istinto agisce per la ragione, unghie e denti come forza.
La preda è quella che dà la sensazione d'essere l'ultima del branco, la più debole, la più facile da abbattere.
Via i Presepi, i Crocifissi, le immagini, le campane che disturbano, i segni, le tradizioni, l'eredità della Storia nostra, bella o brutta che fosse: una pianta senza radici, magari bella a vedersi, ma a dover cadere con un soffio.
"Novembre, Nova Milanese, alle porte di Milano: una mamma scrive una lettera al dirigente scolastico della scuola dell'istituto elementare di Via Novati chiedendo di cambiare il nome del Natale, per rispetto di chi non è cattolico; si chiami magari Festa della neve, o dell'inverno".
Stiamo parlando di una scuola elementare, dove i bambini ancora non conoscono simili sottigliezze, a vivere ancora d'innocenza e senza barriere: ma ci pensano i genitori, con il proprio livore, rabbia, acredine, odio, a preparare i primi steccati ideologici, a pompare veleno nei dentini, a che la progenie, crescendo, prenda del loro.
Ancora: "[...] genitori della scuola elementare “Jean Piaget” di Roma protestano contro la nuova insegnante d'italiano perché è una suora. Un gruppo di mamme contrarie alla nuova insegnante, suor Annalisa Falasco, ha incontrato la preside: «La nostra è una scuola pubblica, una scuola statale. Qui non è in discussione la persona ma l'istituzione che rappresenta, cioè la Chiesa [...] potrebbe cristianamente lasciare il suo posto ai tanti professori senza lavoro»".
E già: magari quelli usciti con il sei politico, dalle "scuole del poppolo", con la pagella con il timbro falcemartello!
"I bambini sembrano gli unici ad avere le idee chiare: loro non vogliono cambiare maestra, dimostrando il loro affetto con un lungo applauso a favore della suora. Gli alunni hanno applaudito, come risposta alla domanda della preside, che ha chiesto se cambiare maestra".
Penso che i loro genitori, sconfessati, li manderanno a Mosca, nelle vecchie aule dove hanno imparato loro.

Con questo fare ed essere, stiamo morendo;
queste sono le termiti che rosicchiano, a far crollare scuola, famiglia, a minare le fondamenta dell'intera società, a dare percezione che siamo vulnerabili, facile preda e ventre molle.

Sono queste le nostre campane...Carampane a morto.

Io, secondo me...10.12.2009

mercoledì 9 dicembre 2009

Diffamafiazione

A vederlo fa quasi tenerezza, con quella faccia da buon pacioccone, pelata, panzetta e aria di bonaccione, alla Gerry Scotti, simpatico e gioviale presentatore televisivo;
e poi, lo sfilare con quella maglietta a righe orizzontali, ancor di più accentua l'abbondanza di larghezza;
la struttura rotondetta, con pannicello adiposo e maniglie dell'amore, ne farebbe un bel partecipante alla trasmissione "La prova del cuoco", spettacolino gustoso, sfida a tempo sincopato tra bravi cuochi, in singolar tenzone, a chi meglio prende per la gola il prossimo...per la gola, appunto, dove il nostro eroe la farebbe da padrone, vista l'esperienza nel campo.
Solo che, non ti porterebbe al peccato di crapula, ma al taglio della giugulare, una delle sue specialità;
perché lui, il Gaspare, di cognome fa Spatuzza, sicario della mala.
Ben quaranta e passa sono le tacche sul manico del coltello, ed altre per l'arte sua sopraffina d'aver pure fatto il bombarolo;
è pure stato maestro di mestolo e pentolone, un Vissani della cucina, solo che, i compagni di merende, lo ricordano con un panino in una mano e un cucchiaione nell'altra, mentre scioglie nell'acido ossa umane:
"U Tignusu", il pelato, così usava disfare - io a quello lo sfascio! - quelli che disobbedivano, rompevano i pendagli o tradivano la mamma sua, la mammasantissima.
Con tanto e questo bestiale"pedigree" e osceno curriculum - non certo...vitae! - si presenta da fulminato, che forse confonde la saetta con cui Dio lo ha mancato con l'illuminazione della stessa.
Duecento e più anni gli hanno dato, ergastoli a gogò, carcere duro e segregazione, che spetta solo ai peggiori;
possibilità di evadere da qel tipo di carcere, è pari a quella di un sepolto vivo sotto due metri di terra, grattando con le unghie.
Gaspare, Gaspare...tu, più che il Paolo, redento sulla via di Damasco, somigli al Pisciotta, non quello che tradì il bandito Giuliano, ma proprio facente atto, del farsela sotto: ora che rischi l'imbalsamazione, nelle segrete delle patrie galere, da topo ti senti in trappola, e non dico che faresti patti con il demonio - che quelli già c'erano – ma con chiunque si, che solo ti darebbe speranza di rivedere il sole.
- «Ordunque parla, confessati a me», dice il buon pastore d'anime «penitenziaggine e a darmi quel che a me serve, e ne avrai pecunia, nuova identità e uscita di gabbia!»
Ciumbia!
Pure il demonio si convertirebbe, se solo una scappatoia dal trappolone gli fosse data.
E lo Gaspare nostro, eccolo a voler strappare anima sua a Satana, per riconsegnarla al Signore, a strapparla dalla schiavitù e dalle tenebre del male per portarla nella terra promessa, dove perenne arde il lampadario divino;
C'avrà bel da grattare il Padre Nostro, quella cotica, per togliere il nero che la spugna ha assorbito, ma forse...con un poco...d'acido...un'energica ribollita.
Ecco lo Spatuzza, che iniziò da imbianchino, a rimestar nella tolla, a cercare candido colore per l'animaccia sua, a raccoglier trenta denari, per accontentare ogni compratore pagante, e diventar nano, come quello di cui cantava il grande Fabrizio De Andrè, al passo in cui stornellava che l'infame piccoletto "...è una carogna di sicuro, perché ha il cuore toppo, troppo vicino al buco del... ", e via così, a magnificar da dove arriva la verità di chi con gli inferi aveva firmato un antico patto.
Ecco ancora usare acido, per barattare la vita sua per la morte d'altri, a cercare di scioglier pure le manette sue e cercare il brillio del sol dell'avvenire sul popol bue, quello ancora disposto a liberar Barabba, basta che la coppa sua d'odio scorra in gola, dolce nettare e rosolio, al sapor di vendetta.
Eccolo a dire che il capo suo, a confidar a cani e porci, confessare lui, semplice tirapiedi, una notizia di cotanto valore: «Mi consenta, Spatuzza, rivolger Lei verità, che c'abbiamo in mano le palle dell'Italica penisola, padroni quasi dell'urbe terracqueo, a dir che signori ora noi siamo, con l'autorità di governare sopra ogni altra creazione, mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra.»
Onnipotenza da giorni spicci: dopo poco, il bauscia capo suo l'hanno acchiappato e infilato in gattabuia, a guardare il mondo a scacchi, attraverso le sbarre che delimitano l'estensione del suo potere, che al massimo va dalla branda al pitale, nello spazio in cui si tiene a dimora l'automobile.
Tanti prima, e dopo lo Gaspare ne hanno presi, volpi rincorse dai tanti cani, aizzati ed eccitati dal suono dei corni dei cacciatori.
La "Diffamafiazione", la diffamazione su azione della mafia, è pari all'uso di pistole, coltelli, bombe e acido, a voler rimuovere chi offende mammasantissima, uscendone magari pure con paga e ringraziamento di chi, per tanto, ne ha ottenuto soddisfazione.
Il nemico del mio nemico è mio amico; di tanto, laviamocene le mani: mani pulite, alla Pilato.
E magari ben ci sta un bel lavacro al B-dè - pronuncia inglese del B-Day – ad aggiungere acido al calderone, da mescolare poi con una bella...Spatuzza.

Io, secondo me...09.12.2009