martedì 18 ottobre 2011

Il maglio e la trebbia




“Batti e ribatti si piega anche il ferro/con il fuoco si piega anche il ferro”...

Il ritornello di una vecchia canzone di Rosanna Fratello pare il giusto sottofondo.
Ecco il trucco: prima si picchietta con ostinazione, poi in crescendo, modellando e dando forma alla lama;
poi lo si usa per falciare, separando l’utile dallo scarto: il martello e la falce, per arrivare a trebbia e raccolta.
Il maglio alfine piega, come la goccia buca anche la roccia più dura: è solo questione di costanza e tempo.

Davanti, le marionette;
dietro, la peggio gioventù del Littorio: cuori neri in camicia rossa.
“La meglio gioventù” ad essere braccio, per quelli ormai sono a senile pannolone, con orizzonte e tramonto ormai prossimo e la prateria alle spalle;
pure inaciditi, nel resoconto deficitario del fallimento di un’intera vita, a cui l’hanno data a bere, in avvelenata fonte e pascolo, quando poi visto, caduto il muro, com’era più verde l’erba del vicino.
E che il sol non era dell’avvenire ma da venire, avessero solo sbirciato sopra la murella, invece di fidarsi del descritto di chi avevano innalzato sopra.

Ora, oggi, a voler riscatto da infamia, eccoli:
loro ad alzare il braccio e dare la spinta;
loro a lanciare un estintore, una bottiglia di benzina con lo stoppino alla fiamma, loro a battere di manganello, a scassinare con il grimaldello:
loro a rompere vetrate, a carbonizzare automobili e case, a lanciare vernice e sassi;
loro a cercare il morto, meglio se in divisa, ma sarebbe andato bene qualunque tipo di carne, tanto che, una volta tritata, poco importa la qualità dell’impasto, ma l’averne fatto polpetta.

“Batti e ribatti si piega anche il ferro/con il fuoco si piega anche il ferro”...

L’Andrea Camilleri, con l’estintore;
L’Eco Umberto, con la benza e la focaia;
Il Giorgio Bocca, il Furio Colombo, L’Alberto Asor Rosa, il Paolo Flores D’Arcais, il Di Pietro: ognuno con l’arma sua, a sprangare, al brucio e alla carbonella, al porfido e al manganello, all’imbratto e allo sconcio, all’appicco e all’arrosto, a cercare costine da soffritto.

Loro, il ripieno di tante cozze altrimenti ariose;
a muovere i fili e soffiare in testa e pancia, ed animare burattini altrimenti sgonfi d’aria e boria.
I teatrini, magazzini e caserme, da cui trarre tanti obbedienti e inquadrati gioppini, sono sempre quelli: i centri sociali, ufficio di collocamento di tanti “nati con la cannetta”, come solevano dire i nostri vecchi, di quelli con nulla voglia di lavorare perché con quella, invece che con la spina dorsale, si sostenevano.

A Roma! A Roma!

Ecco i devastatori, le cavallette, le piaghe dell’umanità, uscire dalle tane e dare il meglio del peggio di razza loro.
Il tam-tam selvaggio era da tempo alla battuta;

«Potere alle avanguardie operaie» dice uno;
«Da che mondo è mondo, le vere rivoluzioni sono un bagno di sangue» risponde il “gemello”;
la verga, nel mezzo, ritto, a fustigare gli indecisi:
«Diffondiamo la violenza organizzata. Basta dire che bisogna manifestare in modo pacifico: faremo un bordello! Chi non se la sente, si faccia da parte: via senza palle e bambini!»
Amenità simili si sprecavano: canti di guerra per attizzare animi pugnaci.

Dietro c’era la legittimazione, la santificazione, la benedizione alla “Deus lo vult!”, Dio lo vuole, i sacerdoti, “maitre-à-penser”, i "formador de opinión", le eminenze grigie.
Mostrando il sacro estintore, eccoli ad eccitare la mandria:
«In hoc signo vinces!» con questo segno vincerai.
Le centrifughe del lavaggio di cervelli.

L’avversario era già stato per tempo demonizzato, spalmato di grasso e pece, pronto per esser fatto carbonella.

«Quello di Berlusconi è un metodo che appartiene al cartello di Medellin, dei narcos della Colombia!» tuonava un Tabucchi;
rispondeva, pieno di Furio, un Colombo, non di pace:
«Quello assomiglia ad un despota!»
e la Bocca di Giorgio, a caccia del drago da trafiggere, ribatteva che:
«Questa destra è peggio del fascismo: disgrega e saccheggia!»
«Rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso della storia dell’Italia dall’Unità in poi» cantilenava l’Alberto Asor Rosa, forse riferendosi all’Unità della carta straccia sua, sicuramente ben utile per le decisioni prese nel personale gabinetto di guerra.
«Sotto il fascismo ero più libero di quanto lo siano i giovani d’oggi» tromboneggia il Camilleri Andrea.
‘azzarola...forse perché se ne stava zitto zitto, per aver schivato manganello e olio di ricino, che altrimenti non avrebbe mai scansato nerbo e purga!

Infine non poteva mancare il pappagallo, a far...Eco:
«Berlusconi uguale a Mubarak e Gheddafi? Il paragone intellettualmente parlando, potrebbe essere fatto con Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni.»
Già.
Peccato che, fosse così, a quelli come lui, il baffo teutonico l’avrebbe gasato nei campi di concentramento e poi infilato in un bel fornetto Krupp.
Invece eccolo - e altri come lui - a poter impunemente sputare in faccia al “despota”.

Non poteva far difetto, tra tanti ululati d’“Intellighenzia”, il raglio del somaro, quel che mai dirà:
«Vado a letto tardi, ma perché leggo Kant» visto che ci sono poche o nulla figure.
Chiude il sipario l’Antonio che deve aver preso la laurea alla vecchia scuola per corrispondenza “Radio Elettra”, dei miei lontani tempi, dell’età della...Di Pietro.
Il suo sunto è...stringato, nel condensare il Berlusca:
Nerone-Hitler-Mussolini-Franco-Pinochet-Videla-Noriega-capo dei capi, stupratore della democrazia, pappone.
Chi più ne ha, più ne metta: di tutto, di più.
Il Silvio, in sostanza, è un indemoniato, a cui fare l’esorcismo con la sacra formula per scacciare i demoni:
«Io a quello lo sfascio!»

Ecco, in piazza sono andati qualche centinaio di “Purgatores”, bovidi mossi dagli incitamenti al sangue di questi “fuochisti”, che appiccano fiamma e poi turano la valvola di sfogo della pentola a pressione.

Il pirlotto che s’è fatto fotografare al lancio dell’estintore o a bruciare il furgone con dentro militi da soffriggere, è solo riflesso condizionato e braccio armato, emanazione di questi peti che se n’escono con la puzzetta, per poi negare d’esser stati loro a produrne il marcio.

Altri ci provarono, ad evocare e sperar nella venuta di un salvatore, per “Copà el porseo”, per accoppare il porco.
Fu un dirigente modenese del Partito Democratico, che ebbe a dire:
«Ma, santo cielo! Possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi!»
Ci si andò vicino, quando gli ruppero una statuetta del Duomo di Milano in testa.
Sopravvisse, ma la “gioiosa macchina da guerra” continua a far buchi, anche a costo di affondare la nave su cui galleggiano.
Ma, per costoro, c’è speranza di non affogare.
Lo ha detto anche una di loro, la Rosy Bindi:

«Questi stronzi sono così stronzi che galleggiano pure senz’acqua!»

Se lo dice lei, galleggiante dell’annegata Democrazia Cristiana, suo scafo madre...

Onore, rispetto e merito a tutti quelli che invece si sono mossi pacificamente, dimostrando del giusto loro;
quelli che ora stanno mandando alla polizia i filmini girati con il telefonino, ad immortalare e denunciare i pochi delinquenti vestiti di nero, armati per far male ed uccidere.

La parte sana del paese è sfilata nella piazza, mostrando - loro sì - la meglio gioventù, non le metastasi di un cancro che cresce e si nasconde, mentre ammorba il corpo dei suoi filamenti.

Speriamo che, sotto il maglio, alla fine ci restino le loro di dita: dei suggeritori, dei “messaggisti subliminali”, dei sobillatori e dei sibillatori.

E sia l’avvento della trebbia, per questi, che portano benzina al fuoco.

Io, secondo me...18.10.2011