- «Qui sono io che porto i pantaloni!»
Non c'è più religione; non è più come ai bei tempi quando, davanti ad un'affermazione così maschia, la donna abbassava le orecchie e si accucciava, con la coda tra le gambe, addomesticata, obbediente e sottomessa.
Lascio prudentemente il campo, nel momento in cui la moglie si tira su le maniche, che non sono tanto sicuro che lo faccia solo per strizzare lo strofinaccio nel secchio, nella posa plastica accentuata dalle curve disegnate dai pantaloncini, in tela di cotone scuro.
A distanza di sicurezza, incasso il colpo basso nell'amor proprio e cambio marcia:
- «Parliamone!?»
Ahi, ahi, ahi!
Mi accorgo subito che mi sono giocato quel poco d'autorità che volevo illudermi ancora di avere.
Visto dalla parte di una Società per Azioni, mi è parso subito chiaro di essere diventato socio di minoranza, che parla da solo intanto che l'altra metà stende il verbale di chiusura dell'assemblea.
Non è stata una buona idea quella di giocarmi la maschia predominanza puntando sulla muffita frase dei nonni sul potere del pantalone e del suo abitante, visto che non più il primato spetta al villoso omone e il vecchio armamentario della supremazia mascolina c'ha ormai la ruggine.
- «Tiè! Prendi straccio e spazzolone e fammi i pavimenti, che io c'ho da stirare.»
Guardo avvilito le belle pantofoline vicino al divano e il giornale d'oggi, che leggerò domani, dopo aver lucidato la vasca e il lavandino, le scarpe, preparato il vestire per il giorno dopo, aver accomodato nell'armadio i capi stirati, vuotato la pattumiera, fatto la spesa e riposto in modo corretto i vari prodotti, nel frigorifero, nella dispensa o negli armadietti dei detersivi.
Insomma: l'ora di cena arriva, i telegiornali imperversano e il bel quotidiano, in attesa sul morbido cuscino della poltrona, ormai è come il giallo, di cui ti hanno svelato precocemente chi è l'assassino.
Beh, posso consolarmi: peggio è andata ai miei pari sesso di Khartoum, in quel del Sudan, in terra d'Africa;
gli incartapecoriti difensori del diritto a senso unico, che delle donne predica servitù, se non schiavitù, hanno incassato dei bei cazzotti dalla Lubna Ahmed Hussein, la nuova Rosa Parks.
Rosa, attivista afroamericana, nel 1955 rifiutò di cedere il posto ad un uomo bianco su un pullman, dando avvio e forza al movimento di boicottaggio anti-apartheid.
Fino ad allora, Rosa Parks era una delle tante donne che erano costrette a fare chilometri a piedi per andare al lavoro o a servizio nelle case dei bianchi;
viveva in un tempo in cui i mezzi pubblici erano riservati ai bianchi e lei si ribellò a quella alla prepotenza, all'arroganza, alla prevaricazione e all'ingiustizia di un superbo razzista lattiginoso: troppi e villani pretendenti, per un posto solo a sedere!
Lubna ha deciso di mettere i pantaloni, i braghettoni dal simbolo fallico, ennesima forma di disprezzo verso un giusto ed eguale rispetto dei sessi.
Fiera di portare le braghe al pari di un uomo, sfidando le regole del buoncostume islamico, continua una battaglia che potrebbe segnare una svolta nella difesa dei diritti delle donne: il tribunale di Khartoum l'ha infatti condannata al pagamento di una multa o ad un mese di carcere, qualora la donna non volesse pagare l'ammenda.
Una bella concessione visto che, per pari provocazione, prima di lei vergate, bastonate e frustate si erano abbattute su migliaia di donne che avevano trasgredito il principio assoluto dei "signori del pisello".
Visto la cagnara mediatica che aveva sollevato il caso, le mummie beduine avevano deciso per la stagione dei saldi:
- «Lubna, non ti diamo le canoniche quaranta frustate: paga e vai fuori dalle palle, che ci fai fare una figura barbina.»
Un modo per non perdere la faccia, ma la nostra eroina aumenta il fuoco dei fornelli:
- «Non me ne frega niente, e non pago: piuttosto la galera!»
Incriminato è l'articolo 152 del codice penale sudanese del 1991, che prevede nerbate per chiunque compia "atti indecenti";
scandalosa Lubna: era stata arrestata all'inizio di luglio dalla polizia, in un ristorante di Khartoum, perché indossava pantaloni larghi e una lunga blusa.
Ma, per una che in alto sale, un altra precipitevolissimevolmente scende.
Do uno sbircio al titolo di giornale:
"Bagno nel Sesia con il burqini, il Pd sfida la Lega".
Smetto per un attimo di tirar di ramazza, contravvenendo alle direttive della moglie allo stiro e, cercando non essere tradito dal frusciare dei fogli, mi abbevero generosamente alla fonte di notizie.
"[...] esponenti del Pd, la senatrice Magda Negri e la compagna di partito Sara Paladini, per protestare contro la recente ordinanza del sindaco di Varallo Sesia (Vercelli), Gianluca Buonanno (parlamentare della Lega Nord), che vieta l'uso del costume indossato dalle donne musulmane in piscine, fiumi e torrenti della città, si sono immerse con il burqini, nelle acque del fiume Sesia".
Da Lubna alla Negri; ma il peggio ha da venire.
"[...] abbiamo scelto un bel posto per contestare una brutta ordinanza, palesemente anti-costituzionale [...] per difendere i diritti individuali di cui ognuno deve godere, e sia ritirata l'ordinanza che va contro i diritti e le libertà delle donne musulmane".
E già: secondo le due paperelle in acqua, le donne musulmane godono di diritti, che il nostro regredito e barbaro paese vorrebbe cancellare;
Sai che goduria, l'abbronzatura al burqini, e stare con quaranta gradi con il tendone addosso;
però...vuoi vedere che non hanno tutti i torti, le nostre befane: quaranta gradi non sono quaranta frustate.
Deve essere mancata per un momento la luce: eccoci al buio...il buio oltre la Negri.
Io, secondo me...08.09.2009
martedì 8 settembre 2009
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