mercoledì 22 giugno 2011

Il Diritto e il rovescio



Per Elisa, piccola farfalla chiusa in gabbia.

Il ferro con le maglie avviate nella mano sinistra...il gemello sulla destra, da dove il gomitolo di lana svolge il suo filo;
la magliaia comincia l’intreccio, in un passare dal dritto al rovescio, che vede la palla disfarsi del suo filato e, tra gli spilloni, prendere forma tanto altro: il golfino, i calzerotti, i guantini, la sciarpetta o la calda coperta per l’inverno.
Il dentro e il fuori, il davanti e il dietro, il sotto e il sopra;
il buon lavoro lo vedi dal rovescio, dove l’armonia dell’intreccio condanna il grossolano nodo: il davanti potrebbe essere bellezza od imbroglio, secondo che la mano della paziente operaia fosse di maestra di mestiere o “magliara”, artista sì, ma nell’arte d’arrangiarsi.

Per Elisa, mens sana in corpore insano.

Ebbene, nel reale d’ogni giorno, ben peggio le cose vanno, quando il rovescio, quello fesso, è del Diritto, quello con la “D” maiscola: quel che spetta per regola e legge, ma il fronte è muro di gomma, dove riflette voce di chi non ha che forza e forma di rimbalzo.
Non starò ad abusare di parola ormai logora, in un quotidiano dove “umanità” indica razze, massa e numero e non sentimento, in special modo verso quel prossimo che non trova più un buon Samaritano che lo soccorra;
peggio se coniugano il proprio stato con il partito meno ambito: quello dei costi.

Non sempre.

Sei un Rom, che ha sentito di “Italia paese del bengodi” o della cuccagna?
Ottimo, perché allora seì “spendibile”: nel e da presentare al circo mediatico e trovare di ritorno guadagno, smalto e colore, per fama, marchio e manifesto di “munifico dei diseredati”.
I nostri, nuovamente riposizionati sul fondo della classifica, possono aspettare: il pensionato, l’operaio disoccupato, il disabile e il vecchiume, ritornino a far composto, nel girone dei dannanti.
Inutile far presente che la marmaglia che attraversa i confini, già dalla partenza arriva senza arte ne parte, dall’origine parassita.
Messo piede sull’italico suolo, sembrano chiamati a raccolta: "Venite a me, povere stanche masse, giunte qui a respirare la libertà, e che siete state respinte dai vostri Paesi".
Commovente...da lacrima e groppo in gola.

Chi li aveva ha ringraziato il cielo che se ne sono andati, trattenendo sul posto il meglio, lasciando scolare la schiumarola.
Sono scivolati via con il nulla che avevano;
senza perdere o avuto tolto che già non interessava loro: scuola, casa, giardino, orticello, bestiame...un lavoro.
Mai sono stati valore aggiunto, nella struttura sociale in cui nidificavano.
Per scelta, per tradizione, per comodo, per abitudine, per condizionamento, per opportunismo, per nulla volontà d’integrazione, per amore di propria identità, per sottomissione a leggi ataviche...mondi serrati, preclusi a noi, sopportati ma mai bene accetti di là da quegli steccati.

Però si è sparsa voce che qui, da noi italioti, avranno: di riffa o di...arraffa.

Basta dare impressione e aria di perseguitati, da una società che si vuol male, si sente sempre colpevole e pronta all’obolo di carità, per continuare a far denaro, sgravando coscienza sporca pagando piccolo dazio con pitocca carità.
Se proprio non si trova modo di nasconderne bricconaggine, gli si rivolta abito, di modo che se ne veda solo il dritto, nascondendone rovescio: da Rom a zingari, ad arrivare al poetico “gitano”, che è come dire Croce Rossa; e su questa, si sa, non si spara...in senso figurato.
I soldi per sistemarli - magicamente - escono sempre, anche dalle tasche dei comuni con le pezze al culo: si tira la già corta coperta e chi se ne frega, se altri rimangono allo scoperto.
L’importante è liberarsi dei rompicoglioni, quelli che fanno chiasso, che tirano per la giacca, anche usando la “mancina”: vai dal comune a fianco, sennò mi tocca costruirti il campo secondo le più rigide norme di sicurezza, che costerebbe un fottio di palanche.
Si arriva al ridicolo quando li si “tangenta”, perché se ne vadano fuori dal confine patrio.
Un palliativo e un precedente pericoloso: altri daranno il cambio, quando questi racconteranno loro quanto sono scemi, quegli italiani.
E non è detto che non ritornino con la compagnia, con l’intera Europa che se la ride, di tanta impotente e incapace gestione della propria casa e cose.
Tanta fama non può che richiamare altro.

I profughi...per motivi “umanitari”, da tenere.
In Italia...perché quando la varcano frontiera, ce li ritornano: dopo quella linea, diventano “clandestini”.
L’Italia è un misto, tra un colabrodo e una spugna.
Passano dai fori, s’imbucano nei pori del paese, s’attaccano alle mammelle e succhiano.
Alcuni sono risorsa e ricchezza; altri, semplicemente da mantenere.
In ogni modo, sistemarli in qualche modo, trovandogli casa e qualcosa che gli faccia occupare tempo e non casa e cosa d’altri.

Sono disposti a fare tutto, dicono le anime belle: i nostri no.
‘Na beata fava!
Conosco chi, perso il lavoro e non trovandone più, perché “troppo vecchio”, ha fatto di tutto, ma con difficoltà estrema: spesso si è trovato sbarrato la strada dagli “sbarcati”, con priorità di travaglio.
La favola del ragazzo che non vuole fare sacrifici potrei anche berla, ma non il padre di famiglia, buttato fuori dalla fabbrica, che non ha nulla del “bamboccio”, ma solo troppi anni sul groppone.
Il mercato vuole giovani, meglio se precari: costano una miseria, sono più malleabili, disperatamente disponibili alla sottomissione e all’obbedienza e te ne liberi con facilità, tanti sono;
nuovi schiavi, carne da lavoro a basso costo e di facile smaltimento, spugne da spremere e, quando stracci, un calcio nel fondoschiena e via!
L’adulto sopra la media annata interessa come al protagonista del film “Qualunquemente”, il famoso intrallazzatore Cetto La Qualunque: una beata minchia!

Per Elisa, costretta su una carrozzina per disabili.

Quando l’indigeno in ristrettezze, in miseria, massacrato da malattia o in condizione grave osa chiedere assistenza o sovvenzioni, anche se certificate e assicurate dal diritto, dalla legge, la migliore risposta che trova è:

«Bambole, non c'è una lira!»

La frase è gettata in faccia, come la sberla che colpisce l’impudente, che non capisce le cose.
L’umiliazione è cocente: la sensibilità e la dignità di chi la subisce spesso ne inibisce ogni ulteriore ostinata perseveranza, nel voler rivendicare giustizia, Codice o Costituzione alla mano.
Un vecchio detto del mercato contadino de milanese, dice:

“Chi 'l vusa pusè, la vaca l'è sua”, chi urla di più, si porta a casa la vacca.

Per Elisa, affetta da atrofia muscolare spinale.

T’insegnano che per ottenere devi “friggere” i coglioni: devi trovare “visibilità”, fare cagnara, farti notare, pungendo come una zanzara e ronzando continuamente come la mosca;
legati al palo, davanti al Comune, alla casa del Sindaco;
sali su una ciminiera, sulla gru o sul tetto e minaccia di buttarti...insomma, sgomita e fatti vedere.
Meglio se in televisione, negli studi dell’ennesima trasmissione di denuncia, che vive delle miserie del prossimo per fare ascolti, vendere spazi pubblicitari e lucrare.
Do ut des: io do affinché tu dia.

La macchina da presa trasforma: Caino diventa pecorella, Lucifero vittima di un vecchio, Lucrezia Borgia una coltivatrice di erbe medicinali, Hitler un purgante naturale, Mussolini un valido avversario di Risiko.
Però devi essere fotogenico e non necessariamente intelligente; importante è che “buchi lo schermo”, fosse anche come attrazione, animale da Circo Barnum: la gente ride sempre della foca, che fa acrobazie per meritarsi il pesciolino.
L’analfabeta del “Grande Fratello” o simili trasmissioni guadagna, in una serata, anche solo per presenza, quanto un operaio in un anno!
E trova subito chi lo prenota, se lo accaparra e lo occupa;
sia pure da esporre, da esibire: come la Ferrari, la croce d’oro grande come un pugno, sul petto villoso, il Rolex al polso e la gnocca, che potrebbe essere pure la figlia, per età, ma te la da.
Anche se rimbambito, rincoglionito, incartapecorito, con il pisello che ha le pieghe della fisarmonica e la dimensione di una graffetta, la panza e la pelata, basta un gonfio portafoglio a far differenza, far volare un pollo e tarpare ali all’aquila.
Il cervello e il merito come “seghe e gassosa”, surclassato da “donne e champagne”.
La grossolanità anteposta al merito, ben sintetizzata da Alberto Sordi nella parte del nobile che, sorpreso e riconosciuto durante una retata, in una bisca malfamata, rilasciato dai gendarmi, si rivolge ai poveracci sbeffeggiandoli:

« Ah...mi dispiace, ma io sò io e voi nun siete un cazzo!»

Per Elisa, tenace, capace, intelligente, con cuore e cervello più grandi e liberi della sua prigione corporea.
Eclettica Elisa;
giornalista e scrittrice: fantasiosa eppure razionale, sognante e romantica ma dura, pervicace e ostinata, all’occorrenza.
Piccolo scricciolo indifeso, offeso, svilito, umiliato e sconfitto, quando la forza del Diritto e pure la Legge si scontrano e si scornano con chi se ne fa beffe: quel Comune di residenza, quel Sindaco, con annessi e connessi, che si trincerano dietro il fragile ma comodi alibi delle casse vuote ed asfittiche ma, chissà perché, vomitanti, quanto il pigolio del nido e prole di sua parte invece ottengono.

Per Elisa, per il suo “diritto alla vita indipendente”;

non un poetico e ipotetico mondo fatato e migliore, ma diritto costituzionale: per chi ama i codicilli, articoli 2 e 3, legge 162/98 articolo 39 lettera l-ter.
Esiste anche la convenzione Onu, articolo 19, dei diritti delle persone con disabilità, ratificata dalla nostra Repubblica, che ha messo la vita indipendente tra i principi generali;
è uno dei primi articoli che hanno ispirato il piano d'azione regionale lombardo per le politiche delle persone con disabilità (approvato dalla Giunta regionale con D.G.R. IX/983 del 15 dicembre 2010.

Per Elisa...per le altre Elise.

Questo significa mettere a disposizione una cifra congrua, per poter pagare una persona che l'aiuti ad alzarsi dal letto, andare in bagno, lavarsi, vestirsi, fare la spesa, pulire casa, stirare, cucinare, uscire per qualsiasi motivo senza essere costretta alla reclusione domiciliare, sbrigare le pratiche negli uffici, fare esami e analisi mediche e riabilitazione, recarsi al lavoro (sempre precario) ecc.
Il tutto per potersi evolvere a condizione d’uguale dignità;
pari e non Paria verso il più fortunato parco faunistico circolante e circondante, meglio graziato - non per merito o diritto divino - nel corpo e nel fisico.
Il Tribunale Amministrativo Regionale stesso ha cazziato Comuni che, pilatescamente se ne sono lavati le mani, rispondendo con dita negli occhi e medio alzato a cittadini con handicap che rivendicavano in giusto.

«Bambole, non c'è una lira!»...«Elisa, arrangiati: siamo a bolletta!»

Forse che abbia ragione il Sindaco e c’era un refuso: "leggi", come imperativo comando e non "Leggi" come obbligo, con conseguente obbedienza ed ottemperanza?

Certo l’autorità con fascia tricolore è un bel marpione...anzi, un "dritto", il furbetto di quartiere.

Il...dritto e il rovescio.


Io, secondo me...22.06.2011