giovedì 30 giugno 2011

Il fornaretto di Milano



«Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius!»

...Uccideteli tutti...Dio riconoscerà i suoi...

Poveri Càtari che, nei primi decenni dell’anno milleduecento, ebbero la cattiva idea di sbattere contro un monolite, che era il porporato d’allora, predicando e praticando povertà, umiltà e carità;
e, sin qui, l’avrebbero fatta franca: qualche povero, umile e caritatevole poteva essere una buona pubblicità per i fautori del “fate quello che dico, ma non quel che faccio” o dell’”armiamoci e partite”.

Ma quelli passarono il segno, quando arrivarono a demonizzare la sana degustazione, del palato raffinato dei gaudenti d’allora: l’abitudine di ammonticchiare beni materiali e carne.
Non quella che mi ha razionato il dietologo, ma di gnocca, indifferentemente se bianca o rossa.
Se è vero, come si dice, che tira di più un pelo di quella che un carro di buoi, tanti sarebbero rimasti a piedi, mazziati e cornuti!
Insomma: quello no, non s’aveva da fare!
Tempi grami, quelli, addirittura scandalosi, quando il rappresentante di Pietro (l’apostolo) in terra assurgeva al soglio papale sulla spinta delle ricchezze della casata sua e alle compere che gli ori permettevano.
In pratica, il patentino se lo assicuravano, a suon di sonanti baiocchi e, non essendo spirituale quel che li motivava, rimanevano ben con i piedi per terra, nella pelle e nella carne loro, che non disprezzava i piaceri del sollazzo.

Per farla breve: il Papa investì del problema gli armigeri che, con tanto di bolla di scarico, spazzarono la soglia della chiesona dell’Innocenzo, il “III” della classifica pontificia.
Non essendoci ancora la raccolta differenziata, davanti al dubbio «Mò, come famo a dividere er mejo nostro dalli cattivi?», il legato pontificio, Arnaud Amaury usò, anche se allora non era stato inventato, il cannone, quello ad alzo “N'do cojo, cojo”:

«Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius!»...uccideteli tutti...Dio riconoscerà i suoi.»

Il “Fornaretto di Milano”, Pietro ( non l’apostolo) ma di famiglia Forno, procuratore aggiunto di Milano, il metodo Arnaud lo conosce bene, per “abuso di carica”, nel senso dei pallettoni: a sparare nel mucchio, talvolta c’azzecca.

«In galera, in galera! Poi si vedrà.»

Meglio certo d’altri suoi compari di toga, più sfigati, che hanno creato tempeste in bicchieri d’acqua, ma facendo quel tanto di chiasso da guadagnare la prima fila: Henry John Woodcock e Luigi De Magistris.
Avendo “ben servito”, il “benservito” l’hanno dato ad altri, innocenti sì, ma i peti del poi non sono mai riusciti a soverchiare i petardi, per fantasmagorie e voli pindarici e le assoluzioni cancellare il sozzo nel cui sono stati inzuppati gli incolpevoli, che il candido è il primo che si sporca d’indelebile.
“Magister” sono stati, ma di cappelle, lavandosi poi le mani di tanto pilatismo con un bel:
“Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdámmoce 'o ppassato, simmo giudici, paisá!!”

il fornaretto di Milano poi, è spettacolare, quando si discolpa da solo, dei clamorosi errori giudiziari:
«Le assoluzioni dei miei imputati fanno sempre un gran rumore, ma il più delle sentenze mi hanno dato ragione.»
Commovente.
Peccato che la ricaduta sui poveretti, sia essa stata d’anni di purgatorio, comunque dietro le sbarre, di sputtanamento, d’umiliazioni, di perdita di lavoro e spesso la famiglia sfasciata e la gogna mediatica, non la mette in conto.
Senza contare quelli a cui non gli è riuscito uscirne, magari perché l’avvocato non è stato bravo o non avevano avuto modo - innocenti - di tenere un alibi nel cassetto, come la ruota di scorta per l’auto o il pigiamino nuovo che, non si sa mai, si dovesse bucare o andare all’ospedale.
Erano i tempi in cui era scoppiata la caccia al pedofilo;
l’anno prima, quella ai cani mordaci, poi alle zecche e così via, ogni volta all’attacco a falange, a cuneo o piede di porco: il massimo dello sforzo su un punto preciso.
Non che questi problemi non ci fossero, ma non erano “stagionali”, tali da perseguirli come per la bonifica delle zanzare, da farsi solo nei periodi della schiusa.
Pari alla stimolazione clitoridea o del glande, l’orgasmo era forzato, oltre natura.
Con gli zebedei frullati da tanta frizione ed incalzati dal popolo, eccitato dai mezzi d’informazione, a loro volta motivati dalle vendite, dove il sistema si autoalimentava, facile era il trabocco di testosterone e la fregola del linciaggio, al grido del «Dagli all'untore!» di manzoniana memoria, e la ricerca spasmodica del mostro da appiccare.
Ecco allora che, alla domanda segue offerta e, dove mancanza, giocare di fantasia, pur di gettare carne ai leoni.
E questa, ben cotta...al Forno, è più digeribile.
Parecchi si trovarono bolliti, rosolati, brasati e...fritti.
Il “fornaretto”, come quelli delle acciaierie, non si spegneva mai.
Il metodo era dei più semplici e collaudati: “segnalare” i sospetti, dove la delazione era pari all’encomio pubblico, per aver fatto “il proprio dovere”.
Il “metodo Forno”: una tecnica d’indagine fatta d’analisi compartimentali e introspezione psicologica e di crudi rilievi medico-legali; di testimonianze a volte lacunose, ma bastavano alle sue squadre a caccia di primati, siano essi successi o bipedi.
Un sistema tacciato di dilettantismo, attaccato e smentito pubblicamente, ai tempi, da una collega della sua stessa Procura, Tiziana Siciliano, che disfò tanti di quei giochi di castelli di carte, tanto cari al sampietrino nostro.
Certo, con il motto “Caedite eos!”, riuscì a beccarne alcuni, di mostri: ad altri, bastò l’etichetta, anche se fasulli, come la merce taroccata, venduta dei poveri ambulanti abusivi, sulla strada.

L’importante era come per le “signorine” dei casini di una volta: fare tante marchette.

Provare per credere: si domandi ai padri di famiglia, agli educatori volenterosi, che una mattina si sono svegliati e si sono ritrovati infornati, con la mela del peccato in bocca e il marchio infamante di pedofili. Uomini che diventano mostri.

Forno obbligò assistenti sociali e giudici minorili ad inviare immediatamente ogni notizia d’abusi - o presunti tali - di cui veniva a conoscenza la Procura, cioè a lui.
Basta con i silenzi, le mediazioni, i tentativi di risolvere i drammi sottobanco.
Arrivò di tutto e di più: nessuno volle rischiare di omettere una virgola, altrimenti avrebbero fatto la fine del Gilberto.
Si chiamava Gilberto Barbarito... presidente del Tribunale dei minori di Milano: un collega, stessa scuderia del Pietrino.
Barbarito doveva selezionare e segnalare alla Procura i casi da indagare.
Pare gliene scappò uno, di un padre che aveva violentato una figlia: nella recidiva incappò Forno, che senza indugio, denunciò il collega “distratto”, facendolo finire sotto processo, a Brescia.

Colpirne uno per educarne mille.
Capito l’antifona, si preferì inflazionare i rapporti: Melius abundare quam deficere...meglio l’esagerazione che la scarsità;
lasciamo al fornaretto la scelta di quello da ardere.
E quello, diventò Dio: signore e padrone nel dispensare vita e morte.

Era iniziato il regno del terrore.

Come nel 1996, quando un’assistente sociale del Centro del bambino maltrattato di Milano, sentito la bambina che aveva parlato del pene del padre, intimò alla moglie dell’uomo di querelare il marito, altrimenti l’avrebbero fatto loro.
Il povero coniuge, Marino, una sera tornò a casa e non trovò più nessuno, perché gli inquirenti avevano “suggerito” alla moglie di nascondersi altrove.
Altra legna fu offerta alla bocca del Forno.
L’uomo non doveva più vedere la figlia: la famiglia andò a pezzi e si disgregò.
La donna e la bambina, insieme con il fratello maggiore, che era disabile, furono deportati d’autorità in una comunità protetta.
Leggo, dalla cronaca di allora:
“L’accusa va avanti per quattro anni e tre mesi fra perizie mediche e interrogatori della bimba e della madre, anche se Forno, com’è sua consuetudine, non ascolta mai il padre imputato. Le perizie dell’accusa sono affidate ad alcuni tecnici [...] ben 358 consulenze in nove anni. Cristina Maggioni, ginecologa della clinica Mangiagalli di Milano [...] individua segni compatibili con abusi sessuali [...] due periti dell’accusa, Maurizio Bruni e Patrizia Gritti rilevano che l’imene è inciso e che anche l’ano pare aver subito una penetrazione: Il quadro sembra deporre per atti d’abuso iterati”.
Un massacro.
Poi, però, arrivano altri “esperti”.
“[...] due ginecologi Cristina Cattaneo e Tiziano Motta scoprono, perplessi, che nessuno dei tre colleghi che li hanno preceduti si è accorto che la bambina ha un’imene settata: quello che è stato considerato un segno di violenza è in realtà un lieve difetto congenito. [...] questo getta molti dubbi anche sugli altri reperti osservati”.
Dopo quasi 1600 giorni d’incubo, Marino è assolto da ogni accusa.
Famiglia distrutta: l’operazione è andata bene, ma il paziente è morto.

La mattanza vide tanti altri finire nell’indiscriminata rete a strascico e finirono arpionati.

Come Lorenzo Artico, condannato a tredici anni per abusi su sette bambini di una comunità di recupero, dove lavorava come educatore.
Un calvario, cominciato nel 1997 e finito nel 2003: quaranta udienze, nove mesi di carcere, altri diciannove agli arresti domiciliari, l'obbligo di firma e infine la libertà.

«Caedite eos!»

William Valerio...nel 2003 la Cassazione annulla la condanna d'appello a nove anni: assolto...non ci sono riscontri oggettivi;
accusato di aver violentato, minacciandola con una pistola, una ragazza minorenne, finisce in una cella di San Vittore, che divide con altri sei pedofili. Poi ottiene gli arresti domiciliari.
Cose che capitano...il Forno non si spegne per una leggera brezza, anzi, riprende fiamma.

«Novit enim Dominus qui sunt eius!»

A voler fare le pulci, di casi simili se ne trovano a palate.
Dio Pietro non ne pagherà mai abbastanza scotto: se ne frega e tira dritto...«Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius!»

Ora, il nostro eroe è entrato in società, formando una forca tridentina: con la Bocassini e Antonio Sangermano si sono associati, al grido di «Copa el porseo: cava el pelo, faghe tanto mal, masena la carne e condise de pevaro, aio e sale!»
Il metodo Pietrino del “caccia ai porcelloni”, si può recuperare.

Accoppa il suino, strappagli le setole, fagli male, macina la carne e condisci: pepe, aglio e sale.
Berlusconi Silvio, appeso per i piedi e pronto da scuoiare e ingoiare...e il Pietro è una buona posata forcaiola.

Le forze messe in campo e stornate da altri campi di battaglia, sono alla ricerca del colpo grosso.
Dalle maglie larghe scapperanno in tanti, ma la caccia è alla balena.
Anzi, al maiale.

Facendo l’inventario dei danni, non so tra Pietro e Silvio chi ne ha fatti di più.

In casa del Berlusca, ci saranno stati pure bordelli, ma le verginelle avevano già da tempo rotto le acque...anzi, l’imene.
Sedute sulla loro fortuna, e consapevoli della qualità del “prodotto”, l’hanno venduta a caro prezzo.
Nessuna si chiamava Maria Goretti e nemmeno urlò, nella monta, “No, no, Dio non vuole, se fai questo vai all’inferno”.
Forse che il tintinnare del registratore di cassa ne soffocò il soffio?

Nessuna paura: basterà quello, a rinfocolare il Forno.

Io, secondo me...30.06.2011