Dai, su, non meniamo il can per l'aia e piantiamola di fare come il nobile decaduto, che tiene etichetta e facciata, ma c'ha le pezze sul culo e mangia pane e cipolla;
Ci tiene per le palle, e se stringe ci fa ululare alla luna, il Gheddafi.
Siamo ridotti alla canna del gas e pure a quella della benza, senza contare che una miriade di nostre aziende si troverebbero con il popò per terra, se il colonnello dovesse ritirare commesse, appalti, concessioni e contratti.
Con la grande madre Russia, che d'inverno ci manda miscela e metano a intermittenza perché litiga con il suo vicino, che gli fa frega parte del prezioso nettare che vi transita, noi abbiamo bisogno di avere un altro rubinetto a cui attingere, in tempi di vacche magre;
e non dimentichiamo che, nel 1976, il tipo e la sua Grande Jamahiriya Araba di Libia Popolare e Socialista, con la provvidenziale iniezione di petrodollari salvò la nostra Fiat dal diventare una fabbrica di biciclette, altro che automobili e carrozzeria varia!
Una per tutte, la frase del sciur Agnelli, il Gianni, l'avvocato, come ci riporta il bravo Claudio Borghi, de “Il Giornale”:
- «Un'azienda non fa politica: si preoccupa del suo sviluppo; il nostro dovere è di prendere il denaro dove c'è!»
E, giusto per non andare tanto lontanoe rimanere ai giorni nostri, non si disprezzi le tante palanche del nostro beduino, che hanno fornito sangue fresco a ad una svenata Unicredit, una delle nostre banche più grandi, che con i suoi avventati cazzeggi finanziari ha rischiato di mandare a carte quarantotto gli accantonamenti di tanti nostrani risparmiatori.
Certo che non l'ha fatto per la nostra bella faccia: come si usa dire per il cane, anche lui non mena la coda per nulla, ma noi abbiamo un disperato bisogno che ci riporti almeno qualche osso che, anche così, di rogne da grattare ce ne restano comunque.
Certo che non ci smena, ma non sono i nostri soldi a cui mira, che è come se il barbone volesse dare spicci al ricco, ma molto di più e di più prezioso: la dignità.
Siamo la sua passatoia, lo zerbino su cui fare la marcia trionfale.
Oggi gli stiamo costruendo una autostrada, e pure gli abbiamo scucito qualche sacchettino di ori, per ripagare il suo paese dei danni di guerra, quella coloniale, alla ricerca di quello spazio vitale tanto cercato e caro al Mussolini, il duce Benito.
Inezie, quisquilie, pinzillacchere: con i lucrosi ordini, gli sconti sugli idrocarburi e i lavori dati alle nostre imprese, quel che ci costerà sarà abbondantemente coperto, azzerato e superato da ciò che riscuoteremo.
Quello era solo la gogna, l'esposizione al pubblico delle nostre vergogne, il segno di sottomissione, il riconoscere l'autorità del maschio dominante, l'aver marcato il territorio di modo che tutti potessero vedere l'abbassar d'orecchi e la cosa in mezzo alle gambe.
Così come la questione delle carrette del mare, della tratta dei disperati che fuggono da tutte le miserie dell'Africa e che il nostro cammelliere usa come arma di ricatto, usando il bastone e la carota:
- «Anche per questi c'ho il rubinetto dalla parte del manico: ballate alla musica del mio organetto o vi trovate le spiagge peggio di quelle durante lo sbarco in Normandia!»
Come l'asino alla macina, giù la testa e "tiremm innanz", andiamo avanti, o meglio, come amava ripetere lo scafato Andreotti, "L'importante è tirare a campare".
Alla prima occasione presenteremo le nostre "Vibrate proteste" o "Dure rimostranze" ma, dall'altra parte, basterà lasciare filtrare qualche barcone in più che, prontamente, ci zittiremo.
Ma dai, non siamo ridicoli: l'Eurabia è da un pezzo che se la fa addosso, rinnega le proprie origini e non difende la propria identità, il ricordo, il sangue, l'insegnamento , le esperienze e il rispetto dei propri padri.
Meglio un uovo oggi che la gallina domani, ed eccoci a mangiare il vitello in pancia alla vacca, come dicevano i nostri avi, ad indicare che il preferire il "poco, maledetto e subito", non darà neppure il tempo alle cose di dare i giusti frutti, secondo le stagioni.
Non allestiamo più i Presepi, così come cerchiamo di scalzare o accantonare i Crocefissi, si zittiscono le campane e si cambiano le leggi per non urtare la "suscettibilità" degli altri che, non dimentichiamolo, sono ospiti in casa nostra.
La classica arte dei compromessi e dei bizantinismi, che potevano funzionare quando giocavamo tra noi, ma ormai superati da gente che se ne sbatte di provocare, intasando strade per la preghiera o, peggio, spudoratamente e prepotentemente "okkupare" la piazza dove sorge il Duomo meneghino, espressione della nostra cristianità, scalzando dal selciato i cittadini e le poche forze dell'ordine presenti.
Ed eccoci a redarguire un povero cristo alla biglietteria del museo di Cà Rezzonico, a Venezia: ligio alle regole, non ha voluto far passare una deficiente intabarrata nel burqa che, impipandosene delle norme di chi la ospita, voleva ad ogni costo imporre del suo e passare lo stesso;
fino alla sceneggiata del burkini, la variante del burqa, quel tendone con la grata sulla faccia, che ora vorrebbero vedere indossato alle loro donne quando e qualora volessero andare sulle spiagge o in piscina.
Che cazzo credete: di paragonare quello straccio al solare a protezione totale?
Provocazioni ad arte, malizie da portinaia per dare impressione che noi siamo cattivoni, razzisti, xenofobi, a ribaltare la frittata e addivenire al classico piagnisteo: lacrima e maschera subito abbandonati quando sono a poter applicare la forza del numero e del branco.
Ormai coscienti di avere a che fare con giganti dai piedi d'argilla, al "chiediamo" hanno sostituito il "vogliamo";
ed eccoci a rimuovere i segni del nostro, a gestire mense secondo il loro e rivoluzionare le regole della sicurezza e salute, nella società e sul lavoro, per uniformarci al ramadan, alla sharia e a dover cambiare arredamento di casa perché a quelli non piace questo o quello.
E non menate il torrone nel classico "Non sono tutti così: quelli cattivi sono una minoranza".
Motivo di più per togliere la gramigna da subito, prima che diventi più numerosa dell'erba del campo.
Il mondo dell'estremismo arabo vive di sceneggiate, di "percepito" più che dell'evidente: i "segni" sono importanti, l'apparenza più della sostanza.
Anche il topolino, se si sente forte, può spaventare l'elefante, se questi si bagna nelle proprie paure.
Piantare una tenda a Parigi o a Roma come il farsi attendere da altri, non deve far credere che si ha a che fare con un tipo vanitoso o bizzarro, una macchietta o un simil-ridolini: quel che per noi pare comico o irrilevante per il popol bue è debolezza e ci vedono come la gallina spennacchiata, quella che, nel pollaio, è reietta e beccata da tutti.
E di quella, e della figura del pollo, tutta l'Eurabia oggi ne porta i sintomi e conseguenze.
Ebbene, basta...gheddafinirla, una volta per tutte!
Io, secondo me...23.08.2009
domenica 23 agosto 2009
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