martedì 14 febbraio 2012

Polvere di stalle

Dicono di noi, il nostro essere polvere di stelle.

Hamza Kashgari, scrittore e giornalista un tempo sarà stato d’accordo su questa verità scientifica, anche se oggi qualche dubbio gli sarà venuto.

L’universo si creò come pare dal compattarsi di particelle, come quelle matassine negli angoli delle nostre case, quando il riscaldamento agita corpuscoli nell’aria, aggregandoli in morbide palline ovattate.
Quel che siamo oggi è prodotto di riciclo, come da raccolta differenziata: componendo, scomponendo e rimontando i mattoncini, sempre a riformare architetture diverse.

No, rispondono gli indignati: non si può banalizzare così il prodotto della creazione divina, il partire dalla luce per arrivare al pari di una lampadina fulminata.
Polvere di stelle è, non quella da nascondere sotto il tappeto.
Forse che no, ma non sempre il botto e il rimbombare di quella bombarda di miliardi d’anni fa è riuscita a compiere miracolo;
l’energia è riuscita a condensare e sublimare bellezza nell’opera sua; pure a creare la scala dei grigi, dove al bianco si oppone il nero, al brillare, le tenebre.
Al pari abbiamo oggi polvere d’oro come di merda di gallina.

Polvere di stelle sarà pure partenza, ma all’arrivo qualcosa ha mutato.
In polvere di stalla.

Da quel lontano “Big-Bang”, dallo sfogo liberatorio di tanta massa concentrata e poi rilasciata in un rutto c(a)osmico, non solo fiato è stato espulso, ma anche il prodotto di fagioli cotti in pentola, peto più che petardo dell’inizio di quel che portò poi al fenomeno “vita” e poi al bipede che si fregia oggi della medaglia di “Homo”.
Giusto poi che non vi è contraddittorio, a cospargersi d’incenso e dire di sé d’esser pure “Sapiens Sapiens”.
Visto nell’insieme, in parte vero, parte no: come ogni ammasso cellulare, non sempre c’è bisogno di cervello, quanto sempre di un estrusore, perché di materia grigia si può anche fare a meno, ma di un intestino no, e quando questo è pigro, è tragico come quando la diga cede.

L’ameba umana esiste, nonostante il bel castello che la racchiude spesso abbia apparenza e classificazione di “Umano” e il termine “Primate” fa a pugni con la derivazione latina primus, "il migliore", di cui andiamo fieri, spartendo e spandendo bauscia - anche se con aristocratico distacco e disprezzo - con i “parenti poveri”: gorilla scimmie e altri con pelo, dalla schiena allo stomaco.

Diciamocelo, che non è vero esser tutti uguali: sotto la carrozzeria spesso il motore è diverso.
E se nella meccanica, per quel che si muove su ruote, la potenza si misura in cavalli, per altri, ancora in … cammelli, passando dallo spunto allo sputo, in termini di risposta evolutiva.

Sprangare l’entrata della caverna può essere difesa o prigione.
Come le creature che vivono nelle cavità, alla fine perdono quel che in quei luoghi non serve e si diventa ciechi.
Se si esce, subito si ricrea il muro e si scherma la luce, credendo che solo nell’oscurità unica scelta e opportunità di vita;
non credendo a chi invece ci porta testimonianza che al di là, fuori, c’è un mondo alternativo.
Né meglio né peggio: solo diverso, come “diversità” è parola magica, che difende e dispone la vita alle aggressioni di un continuo in perenne divenire, in movimento e mutazione, cui presentarsi con adeguate rettifiche ed aggiustamenti.

Giusto che il coccodrillo o lo squalo siano a magnificare proprie credenziali e crediti: l’esserci ancora a prova e misura che il proprio è eccellente garanzia di carta vincente, visto la durata e il lungo affitto di nicchia, ma non pretendere e presentare presunzione che sia unica soluzione al mondo.

Dio forse non giocherà a dadi, ma neppure ebbe a costruire con catena di montaggio;
non a omologare ma, sin da subito, a sparpagliare e sparigliare le cose, in un mosaico che poi ricomponga il disegno, ma non che presuntuosa particella possa essere - da sola - misura di tutte le cose.
Saremo concerto, ma solo in orchestra e non in assolo.
La musica del creato è corale e, come la luce, può risplendere solo dal giusto taglio, nelle sfaccettature del diamante.
Un trombone o la grancassa, che fa voce grossa, copre ma non è armonia: solo prepotente suono che soffoca e nasconde la giusta sinfonia.
Il libero arbitrio sarà pure fonte di stonatura e stecca, ma unico modo per imparare dagli errori e migliorare.
Insistere nel dire che la terra è piatta non la cambierà da palla in frittata.
E il calpestare chi lo dovesse dire non permetterà quadratura di nessun cerchio.

Detto quanto, la perfezione non sarà mai di questo mondo, come neppure di chi ci abita.
Certo non i tanti Abdullah o Abdel Aziz alSheikh, re o mufti che siano, nel volere la testa di Hamza Kashgari.

La verità non è mai sul filo di una lama ma estenuante ricerca, su quello della parola.

Giusto chiedere rispetto del proprio, ma anche a darne.
E il tagliar corto non si applica come in ricetta da cucina, nel voler prendere per la gola il prossimo.
Ammazzare chi non è d’accordo non permetterà mai all’asino di volare o alle mosche di fare il latte.

La testimonianza si porta e supporta con l’esempio;
la conversione, con il convincere, non con la costrizione o applicando la legge del più forte.

Hamza Kashgari ha semplicemente espresso giusto libero arbitrio e pensiero: accusato di apostasia da Riad, ora rischia di essere decapitato.

Di Maometto disse per l'anniversario della sua nascita, il 4 febbraio:
"Per il tuo compleanno, non m’inchino davanti a te (...) Mi piacciono alcune cose di te, ma altre le odio, e non ne capisco molte altre ancora. Per il tuo compleanno non bacerò la tua mano, la stringerò come a un essere umano; ti sorriderò come tu sorridi a me e ti parlerò come a un amico, nulla di più".

Di che si ha paura: che basti il dubbio o il verbo a cambiare l’ordine delle cose?

Preso nel senso più ampio, se Dio è, resta;
se i suoi profeti sono, tali rimangono.
Le opinioni non bastano a cambiare nulla, sempre che sia il nulla a essere per primo!

Giusto che una comunità che si riconosca in un credo chieda rispetto, ma non che debba manifestare solo prepotenza e presunzione solo per il numero o le armi.
Impari a usare la ragione, per confutare, se pensa d’essere nel vero e altri a torto.
Altrimenti si seppellisca sotto la sabbia del deserto, come si fa con un cadavere.

Non ci si fa amare da una donna solo nel violentarla e neppure ritorna adorazione con la frusta.
Se si hanno doti e meriti, si usino, altrimenti non si cerchi di arrivare alla luna volando su ali di carta.

E, per quanto si cerchi di alzare i piedistalli, la misura di un uomo non potrà mai essere da gigante;
solo il suo agire e l’amore lo potranno far grande, altrimenti sarà solo alto da zeppa sotto il calcagno, illuminato dai roghi, osannato dai lamenti dei torturati e profeta di cimiteri.

E si smetta di offendere Dio e la sua intelligenza.
Avesse voluto delle marionette, da subito le avrebbe create tali e ne avrebbe di suo potere, nel cancellare di venuto male;
senza per questo dover delegare “sbianchetti” a fare quel che gli verrebbe facile da solo.

Se dal cielo nessuna saetta è arrivata a incenerire Hamza Kashgari, una ragione ci sarà.
O forse Allah e Maometto non ce la fanno senza Abdullah o Abdel Aziz alSheikh?

Della serie: Dio è Padre, non padrone e per questo non accoppa i propri figli.

Gli Abdullah bin Abdul Aziz, re dell'Arabia Saudita e Abdel Aziz alSheikh, sì.

Ma questa è solo polvere di stalle.

Da par mio, anch’io, nella mia fragilità, sono al cospetto del mio Signore:

«Mi piacciono alcune cose di te, ma altre - del come hanno scritto di te - le odio, e non ne capisco molte altre ancora […] non bacerò la tua mano, la stringerò come a un essere umano; ti sorriderò come tu sorridi a me e ti parlerò come a un amico.»

Però, Padre: io ti amo.

Io, secondo me...14.02.2012

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