Patapisello
M o F?
Boh!
Alla vigilia dei
sessant’anni non dovrei ormai più essere dilaniato da crisi d’identità.
Sedimentato le varie
scorie, nel corso del mio spicchio temporale d’esistenza, con qualche crepa
d’assestamento, pensavo ormai di essere solido e stabile, su fondamenta(li) e
possenti colonne.
Mica vero.
Oltre a quello della barba,
anche il rasoio di Ockham ha fatto il suo tempo e comunque l’ha avuto vinta l’UCAS:
l’Ufficio Complicazioni Affari Semplici.
“Entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem”… non moltiplicare gli elementi più del
necessario.
“Pluralitas non est ponenda
sine necessitate”… Non considerare la pluralità se non è necessario.
Magari ne avrà avuta
faccia, ma non era scemo, nel XIV secolo, il filosofo e frate francescano
inglese William of Ockham, italianizzato in Guglielmo di Occam.
Ebbene, no: UCAS batte (in…
barba a) Ockham e il suo rasoio, 1 a 0.
Se proprio necessario -
avrebbe suggerito il buon fraticello - a quel “M” o “F” sarebbe bastato
aggiungere “A”… Altro, lasciando il “mutante” nei suoi panni o, meglio… nelle
sue mutande.
Troppo facile, in una
società sospesa tra Fantozzi - figura di sfigato cronico - e Tafazzi, personaggio
interpretato da Giacomo Poretti, componente del trio Aldo, Giovanni e Giacomo,
la cui caratteristica principale è il masochismo;
in calzamaglia nera e
sospensorio bianco, saltella colpendosi l'inguine con una bottiglia di plastica,
traendone goduria.
Sin da bimbi si era
esploratori di terre sconosciute;
acerbi e piccolini, ci si
guardava nelle rispettive mutandine e la sentenza era certa:
il pisello era “M”, la
patatina, “F”.
Si cresceva e, nessun
dubbio, quando si doveva rispondere, vistando la casellina apposita, su moduli
e scartoffie varie.
A fugare ogni dubbio,
pesavano non poco le parole di un personaggio di peso e autorità, oltretutto… altolocato:
“Dio creò l'uomo a sua
immagine, a immagine di Dio lo creò;
Maschio e Femmina li creò”.
Dio creò l'uomo… Maschio e
Femmina li creò: dal singolare al plurale… Uhmmm… qualcosa non quadra.
Era al sesto giorno di
massacrante lavoro e la stanchezza avrà giocato un brutto scherzo;
l’assemblaggio non
dev’essere stato dei migliori e dal miscuglio ecco nascere il “Patapisello”,
progenitore del “Sesso fluido”, un qualcosa in perenne ebollizione e
trasformazione, come il magma di un vulcano.
UCAS batte Ockham 1 a 0…
no… 23 a 0.
Ventitré: tanti, almeno,
sono i generi della specie umana, censiti dall’Australian Human Rights
Commission;
gli omosessuali, i
bisessuali, i transgender, i trans, i transessuali, gli intersex, gli
androgini, gli agender, i crossdresser, i drag king, le drag queen, i
genderfluid (quelli che si avvicendano, tra maschio e femmina), i genderqueer (ogni
tipo di gender al di fuori di maschio/femmina), gli intergender, i neutrois, i
pansessuali, i pan gender (che rigettano un singolo gender), i third gender, i
third sex, le sistergirl e i brotherboy.
Mi par di ritornare a
memoria al periodo bizantino, quando i teologi erano soliti dibattere tra di
loro sul sesso degli angeli;
anche quando i Turchi di
Maometto II stavano per espugnare Costantinopoli, nel 1453, e porre fine
all'Impero romano d'Oriente e alle loro sciocche diatribe, nel cazzeggio su
cose inutili.
Perdendo quel tempo che
sarebbe stato meglio utilizzato per cosa più pratica: salvarsi il culo.
UCAS
batte Ockham 1 a 0… 23 a 0?
No: 56 a 0!
Quelli come me,
tradizionalisti, improvvisamente si scoprono in minoranza: l’”outing” - il rivelare
pubblicamente l'omosessualità o diversità - è divenuto una moda.
«Come, vai ancora solo con
le donne? Sei out, retrogrado!»
Devo trovare il modo di
rientrare nel con-sesso civile, nel gruppo, nel branco.
Meno male che ci ha pensato
Facebook, che ha creato cinquantasei tipi di gender, nel tentativo
d’ingraziarsi questa nuova fetta di emergenti.
Nel febbraio del 2014 diede
la possibilità agli utenti non “M” o “F”, di scegliere cinquantasei diversi
modi per autodefinirsi.
Mal gliene incolse: non incluse
nel numero l’opzione “non-gendered identity”, che a tutta prima sembra la
stessa cosa di “agender”, “non-primary” e “two-spirit”, ma che evidentemente
non è così.
Molti scrissero arrabbiati,
sentendosi discriminati.
E dove li mettiamo i
“Cisgender”, termine che definisce le persone non transessuali?
Il termine non è
riconosciuto da tutti e molti “non transessuali” hanno protestato, incazzati.
E il “Format”, il modello o
la struttura?
Presenta prima
“maschio”/”femmina” e solo dopo l’opzione “personalizza” con tutti i tipi di
gender.
Perché prima? Sono forse
più importanti degli altri tipi di gender?
Altri incazzati neri, a
rognare e far cagnara.
E i pronomi… cazzo, anche
qui ci trovi quelli che hanno voglia di far casino.
“[…] sono rudimentali – uno
può scegliere di essere chiamato “lei”, “lui”, “loro” – e rimangono fermamente
“gender normative”.
Insomma, Facebook non poteva
inventarsi pronomi personali nuovi e più inclusivi di quelli vecchi?
Volendo far credere
d’essere all’avanguardia, i “signori Facebook” presero impallinate da ogni
dove: ovunque girassero le terga, si trovarono impiombati.
Non so come e se hanno
ovviato all’inconveniente, se la nutrita lista dei fantasiosi trasformisti poi
fosse stata implementata o abbandonata, ma il tentativo di “lecchinaggio” mal
gliene incolse.
Della sfera privata, del
sesso e carnazza nell’intimo non mi frega una beata fava.
Né esiste qualcosa che mi
scandalizzi, che ritenga immorale o peccaminoso: tra esseri adulti e
consenzienti, delle loro corsie preferenziali, di quel che fanno me ne impippo.
Paletti ne metto pure io,
dentro però quelli che sono confini a difesa della famiglia che può generare,
senza ricorrere a brodaglie chimiche, provette o uteri in affitto, per creare
una parvenza di normalità in quello che sarà comunque sempre condannato a
rimanere sterile.
Binomio e binari che, per
loro stessa natura, destinati a viaggiare paralleli, ma mai a convergere o
fondersi.
La famiglia generante di
qua, il rimanente, di là.
Ognuno si porterà appresso
valori diversi, come diverse le regole e le leggi, ad amministrare diritti e
doveri mai equiparabili, miscelabili come l’acqua con l’olio.
Progetti
demenziali, alla François Hollande, in Francia, in procinto di abolire dal
diritto di famiglia i ruoli di madre e padre, sostituiti dai termini più neutri
di “genitore 1” e “genitore 2” è roba da gabinetto, sì, ma non di Governo!
La parola
“matrimonio” e “famiglia” deve rimanere indissolubilmente e senza ambiguità
legato a quel che era, è e sarà sempre: l’unica realtà per natura capace di
generare figliolanza.
Il rimanente si chiami come
vuole, con doveri e diritti, ma in proprio brodo di coltura e cottura.
Alle cinquantasei
tipologie, se ne inventino e aggiungano altre, se si vuole, magari pure con
codazzo: s.p.a., s.a.p.a., s.r.l. a s.n.c. o s.a.s.
Usare le parole mamma e
papà non è una forma di discriminazione.
Marito e moglie non si
riducono al termine “sposi” e “Padre e
madre” non sostituiti dal termine “genitori” o indicati come “genitore 1” e “genitore
2”, “mamma 1” e “mamma 2”, “papà 1” e “papà 2”, come vorrebbero le lobby gay.
E non vale la regola
secondo cui “invertendo l’ordine dei fattori, il risultato non cambia”.
A essere discriminati, nel
voler usare i termini di sempre, risalente alla notte dei secoli, non sono gay
e lesbiche, ma quelli cui costoro vorrebbero imporsi e imporre.
Da che mondo è mondo, il
metodo “naturale” prevede un solo ingresso e un’uscita, per fecondare e
sgravare un ventre.
Ancora l’evoluzione non ha
dato pensare di avere aperto altre nuove vie.
Per favore, almeno su
questo, non prendiamoci per il c… fondelli.
E chi volesse tacciare di
omofobia, veda di andare aff…… farsi benedire!
Diversi comunque siamo,
almeno nel modo in cui usiamo le “attrezzature”.
E nel fare figli, che
ancora non nascono sotto i cavoli o sono portati dalla cicogna… e neppure dalle
altre 56 o più categorie.
Non siamo noi a separare ma
la natura e chi l’affronta ci va contro.
Semplice, lineare, come un
filo di rasoio. Di Ockham.
Io, secondo me... 04.09.2015
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