Ecco Hamasbollah in Iranistan.
Li tengono, li stipano e li sopportano come i napoletani fanno per l’immondizia: turandosi il naso e aspettando il giorno in cui se ne andranno, che nessuno ha voglia che tanto fetore e scarto si mischi e contamini di proprio, passando oltre la soglia di casa.
Non buoni da riciclare, sono ottimi da buttare nel giardino di quel vicino, che è l’eterno antipatico, ad un tiro di schioppo e di sputo da sempre.
Da Mar Elias a Burj Barainej, da Dikwaneh a Dbayeh, per citarne quattro, solo attorno a Beirut, seguiti da altri otto nel resto del territorio, come in Giordania e in Siria e così via: sono centri di raccolta dei profughi palestinesi;
sono i campi "stabili", mentre altri sono "ospitati" da Arabia Saudita, Kuwait, Iraq, Libia, Algeria e Tunisia.
Queste schiumarole hanno cominciato a riempirsi dopo le guerre del 1948 e nel 1967, tentativi abortiti da alcuni paesi arabi in cerca di facile vittoria e massacri, tornati poi, sconfitti, mazziati e cornuti.
I palestinesi divennero ostaggi per facile alibi, a nascondere mire e megalomani idee d’espansione trasformando e sventolando i loro stracci come fosse bandiera da piantare su una terra, che potrebbe essere contesa solo dalle pecore che vi facevano pascolare, e non da quelli che le menavano.
Quanto è importante la sorte di questi, si capisce dal muro d’ipocrisia, eretto per contenere in tante discariche quelli che non si reputano degni d’essere accettati e diluiti nel tessuto sociale proprio:
esiste una disposizione della Lega Araba che si prefigge di "[...] evitare la dissoluzione della loro identità e proteggerne il diritto di ritorno in patria".
La nobile razza "araboariana" non vuole commistioni di sangue con costoro, paria e figli di una casta minore, e i paletti per stendere la rete del pollaio sono solo ad "[...] evitare la dissoluzione dell’identità", ma quella delle aquile, qualora i polli trovassero profanatrice e sacrilego incrocio con quella nobiltà.
Nessuno ha voglia o propone assimilazione, a riconoscerne meriti e selezionare il meglio, da innestare nel proprio sociale:
nessun diritto civile e sociale: nemmeno a parlare di cittadinanza o naturalizzazione e men che meno inserimento nel sistema sanitario nazionale o nelle scuole statali;
settantatre categorie di mestieri interdetti: da medicina a legge o ingegneria.
Solo pesce...pesce che ormai puzza !
Il "ritorno in patria" delle cicale è ovviamente da farsi sulla testa e terra arricchita da un popolo di formiche operose, l’unico ad avere interesse ad una soluzione pacifica e di spartizione con questi appestati e isolati da fratelli serpenti: solo Israele cerca veramente la pace in terra, che gli altri, per le proprie mire d’egemonia in quello scacchiere, la pace eterna la vogliono sì, ma per l’unica gente che può ostacolarne i pazzi sogni di riprendere una gloria guerriera interrotta, dopo secoli di conquiste, con poche ma sonore e risolutive sconfitte, che ne hanno afflosciato petti ed attributi, ma ora palle e palloni ritornano a gonfiarsi.
I palestinesi servono loro come la baionetta da infilare sul fucile, che basti che ammazzi e, il poter anche affettare il pane è utile, ma fattore secondario e non essenziale.
Tenute le debite distanze e messo nero su bianco le regole, eccoli riempiti di soldi e tutto quanto può servire alla battaglia: gli si compra la spada, non la zappa.
Abituati a vivere d’elemosina e a pensare attraverso la canna del fucile - unico cunicolo da cui intravedono la luce - e addestrati sin da piccoli all’odio, questi cani di Pavlov reagiscono solo allo stimolo del rumore dello schioppo, per dopo prendere lo zuccherino.
Quelli che avevano avuto sprazzi di lucidità e cercato di tornare indietro, invece che continuare a battere contro il muro di una strada chiusa, sono stati castigati e scacciati con i fondelli sforacchiati, a lasciare solo la razza guerriera e sicariota.
Gli hanno lasciato Gaza, la prova del nove per vedere se i conti potevano quadrare: sono tornati i tonti e, tolti i netti, sono rimaste le tare !
Rapimento di soldati israeliani, scaramucce e continui lanci di razzi, appoggiati sopra alla spianata di serre e infrastrutture, lasciate intatte dal ritiro VOLUTO - e non dovuto - dei figli di Davide: il barbone continua a preferire vita di comoda elemosina piuttosto che di sudato impegno e lavoro, ma forse questo è il meglio che sanno produrre.
Ai caserecci razzi Qassam si sono aggiunte altre armi, dopo la "spesa" fatta in Egitto quando, abbattuto il muro di confine sono sciamati di là, riportando indietro, oltre a televisori, radio, cibarie, altri beni di consumo: i missili Grad, di fabbricazione e provenienza iraniana.
Hamas copia Hezbollah, in simpatia complice: "Il nemico del mio nemico è mio amico";
ecco il sistema arabizzato, scatole cinesi e Matrioska russe, dove una cosa contiene l’altra in una copia continua e infinita di una stessa immagine, ma su scale e dimensioni diverse: in alto sta il ComuNazIslam, che contiene HamasBollah, contenuto in...che contiene...
I passaggi portano a scoprire nuovi universi, una volta paralleli ma ora che si toccano, destinati poi a convergere negli obiettivi: tolto l’incomodo, saranno poi a spararsi tra loro, che sarà uno solo a restare in piedi, che di galli in pollaio ce ne deve stare uno solo.
Apriamo una Matrioska, una delle scatole cinesi, una collezione in grandezza crescente, inserite l'una nell'altra in sequenza;
Imad Mugniyah, terrorista e assassino di profesione, salta per aria in Libano, ed Hezbollah punta il dito e minaccia Israele, accusando quello di aver calpestato lo stronzo, che il movimento di quel corpo è uso spandere nel suo camminare.
Il generale Muhammad Ali Jafari, comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, sbotta con un
«[...] in un futuro prossimo assisteremo alla distruzione di quella crescita cancerosa che è Israele [...] spazzato via dalla carta geografica per opera di Hezbollah».
Sulla scacchiera si sposta la pedina: Hezbollah muove; il re, Ahmadinejad prepara l’arrocco atomico, al riparo dalle minacce dei pezzi avversari: muovi i piccoli per spazzare il campo e far posto ai pezzi da novanta che seguiranno.
Ecco sparire dalla scena i pezzi minori, i protagonisti storici del conflitto, gli stati arabi, i movimenti nazionalisti e gli stessi palestinesi, semplici pezzi, classici e sacrificabili schegge, per schemi d’apertura scacchistica, dove già si conosce la fine che faranno, in una strategia che li usa in tattica suicida, dove il fine giustifica i mezzi.
La guerra fra musulmani ed ebrei è solo ricerca di un pretesto plausibile per cominciare una partita più articolata e complessa, che il dare soddisfazione a semplici pastori di capre in cerca di pascoli.
Gli iraniani, i siriani e Hezbollah non permetteranno a nessuno, che non siano fantocci, di intralciare piani ben più importanti della rivendicazione di quattro gatti palestinesi, che avrebbero futuro proprio nell’accordarsi con gli "sporchi ebrei" e non con fratelli, sì, ma serpenti e cannibali.
Iran in primo piano e Siria in sotto e subordine, sono i veri mattatori, quelli che usano la zanzara palestinese per dar fastidio, ma pronti a schiacciarla subito quando non più utile alla causa.
La loro, ovviamente, che dei "poveri" palestinesi e della loro causa frega un cazzo;
la "carta" palestinese è usata come uno strumento al servizio di Teheran: nel...gabinetto di guerra !
Io, secondo me...04.03.2008
martedì 4 marzo 2008
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