Capisco quei cinque, che i loro non sono finiti sotto le ruote di un’automobile o caduti da un’impalcatura, disgrazie per cui il tempo è medico e basta ad alleviare le sofferenze di chi rimane, con il ricordo e il dolore sordo della perdita di persone care ed amate.
L’incidente, la morte naturale, anche prematura, s’imputa nella colonna delle perdite, nel registro del fato, per capricci del caso, una macchia incancellabile del destino o nel libro della fede, che sconta oggi per dare, e di più, domani: comunque sia, rientra nel novero delle probabilità e nell’impossibilità umana di porre rimedio alla legge dei grandi numeri, che vuole un pegno, come il contadino le uova dalla gallina o il latte della mucca.
Diversamente quando la famiglia, o buona parte di lei, è fatta entrare come selvaggina liberata in una riserva di caccia, dove ognuno può e deve sparacchiare loro addosso il più possibile che, anzi, il prestigio si raccoglie quanto più sono i bossoli dei colpi sparati e le penne di quelli che gliele hanno lasciate.
Capisco quei cinque, che dei loro avranno solo poche fotografie consunte, qualche lettera sbiadita, poche parole rubate al ricordo e avare immagini, ormai disturbate, come interferenze sul cinescopio di un televisore che sta perdendo il segnale con la Storia.
Come non pensare alle umiliazioni delle vittime, ai pestaggi, allo stipare quella dolente umanità in vagoni altrimenti utilizzati per trasporto di bestie, ai calci, agli sputi, all’averli lasciati senz’acqua e cibo, con poca aria e a sguazzare nei propri escrementi ?
Come non riandare all’averli scaricati davanti ai mattatoi, diviso i padri dai figli e dalle spose, i vecchi dai loro figli e nipoti, l’averli spogliati, marchiati, selezionati per una lunga agonia di consumazione o il soffocamento nelle camere a gas, per poi incenerirne esistenza nei forni crematori ?
Come scordare il senso d’impotenza, la condanna dell’agnello senza unghie davanti al lupo ?
Capisco quei cinque.
Oggi i lupi incontrano altri con zanne e artigli, che l’esperienza e il vissuto hanno fatto capire loro che sono l’unica lingua conosciuta dalle belve, a rispettare, temere e non menare sicumera alla presenza dei nuovi figli di Israele, a credere - come allora - di poter uscirne illesi dallo scontro, qualora si tentasse di seguire orme e ripetere le gesta dei padri.
Soprattutto la voce, i toni duri, i suoni gutturali, aspri e cavernosi, di comando, tipici del parlato teutonico, che certo è rimasto nelle orecchie e nella mente dei sopravvissuti alla Shoà, al genocidio di milioni d’ebrei: timbri bruschi e asprigni, che accendono riflessi condizionati, a portare reazione e disgusto, in special modo se uditi in casa propria.
Nell'atmosfera solenne della Knesset, il parlamento israeliano, per venti minuti è risuonato l'idioma tedesco.
Attore principale, la cancelleria Angela Merkel che, consapevole di tanto, ha voluto però salutare i deputati in ebraico:
- «Parlare in questa prestigiosa assemblea per me è un grande onore»,
per poi passare al discorso ufficiale, tenuto nella sua lingua madre.
Cinque deputati su 120, hanno contestato questa scelta rifiutando di presenziare alla seduta;
- «[...] non possiamo sentire pronunciare in quest’aula l'idioma con cui furono sterminati i nostri avi».
Li capisco.
Ma l’antico nemico ha capito, ha compreso, e viene a capo chino, a fare atto di pentimento: i figli per i padri;
- «I tedeschi sono pieni di vergogna per l’Olocausto nazista e m’inchino davanti alle vittime».
Ma non solo, che col capo cosparso di cenere, sono a dire che saranno ad impedire che il mostro ritorni:
- «La Germania sarà sempre al fianco di Israele. Il nucleare iraniano minaccia la pace [...] ogni tentativo di negare l’Olocausto deve essere bloccato sul nascere [...] antisemitismo, razzismo e odio razziale non devono più attecchire».
Iran, Siria, copie, cloni e tirapiedi Hezbollah e di Hamas sono avvertiti:
nessun permesso a che il "Mein Kampf" riveda luce e trovi nuova edizione.
E noi, a ribadire: MAI PIU', merdacce !!!
E ai cinque dico: sentite le parole del nuovo amico, che sono meglio della lingua parlata dai nostalgici comunistardi, dai Maxbollah, Olivieri e galoppini Vaurini e dagli "Hamasbollini".
Io, secondo me...19.03.2008
mercoledì 19 marzo 2008
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