Quando ti crolla addosso un muro, fa un male cane, e quel di Berlino era pesante;
peggio ancora quando t'accorgi d'aver perso la bussola, e il sol dell'avvenire s'è fulminato, come una lampadina.
Sono cazzi poi, quando capisci che un conto è fare la rivoluzione, tutt'altro il ricostruire dalle macerie, che il rompere lo sanno fare tutti, ma il costruire richiede fatica.
Dal ritenersi migliore a convincersi d'essere unti del Signore, a credersi casta eletta, il passaggio è breve, in special modo quando abituati ad ottener ragione con cingoli e filo spinato;
salvo poi rimanere con il cerino in una mano e la Molotov nell'altra, in un mondo dove i pompieri la fanno da padrone.
Ma la più cocente delle delusioni, quel che fa più male è il vedersi allo specchio, sciupati, con i capelli bianchi - quel che restano - ingobbiti, rimbambiti e rincoglioniti, a dover fare i conti con un passato che ti presenta il conto, dove ti accorgi d'essere la maglia nera - neppure rossa! - del più fesso tra gli scemi, gran credulone e bamba, che ha donato i migliori anni della propria vita ad un'ideologia basata sulle favole.
Hanno accettato di donare il cervello all'ammasso, credendo alla religione come oppio dei popoli, quando loro erano ormai alle pippe mentali.
Quelli dei centri sociali sono tutto questo, sopravvissuti, rottamaglia, nanuncoli ridimensionati di predatori d'altra stazza.
La Storia, prima che la cronaca, li ha ridotti a minimi termini.
La realtà li ha ricondotti dal mondo dei sogni.
La selezione della specie li sta puntando, già accorta nel vederne materiale di scarto, carne da macero, incapace e inadatta a rientrare nelle regole di un mondo che ha cambiato scenario, attori rimasti con in mano un logoro copione in una commedia che parla di tutt'altro.
Il rumine della società li ha masticati e impastati, formandone palline per scarabei; quelli stercorari, ovviamente.
Troppo supponenti per comprendere d'essere umili tra gli umili, catturati dal gorgo dello scarico del lavandino della Storia, s'aggrappano ai rottami della corazzata Potemkin, agli stracci di una bella divisa del tempo che fu: 25 Aprile, festa della Liberazione e Primo Maggio, quella dei lavoratori.
Della prima - i padri - ne furono comparse, su un teatro di guerra che vide le truppe degli alleati come protagonista;
dell'altra, di lavoratori questi non hanno nulla, che i centri sociali loro sono discariche di nullafacenti, inneggianti ancora all'esproprio proletario, che gli permetterebbe vita da cicale in un mondo di formiche;
assemblea d'asini, tanti, che si raggruppano, rigettati dal mondo del lavoro che non accetta carta scolastica ottenuta con il "sei politico", quello che voleva equiparato il cretino al sapiente.
Gli rimane più nulla, bastonati ormai pure nelle idee, dalle urne e dal volere popolare, da quelle masse dietro cui nascondevano le proprie ambizioni: disprezzate formiche legionarie, da sacrificare, che volevano e consideravano alla stregua di vacche da latte e carne, da portare al pascolo con il pungolo e il bastone.
Non più coperti dal popol bue, da lanciare contro gli ostacoli, oggi li conti e li vedi per quel che sono:
bucce e croste allo sbaraglio, scesi in piazza con monetine, uova pomodori e verdurame vario, da lanciare contro chi ha saputo dimostrare d'essere migliore di loro, dissipatori di una eredità lasciata da gente di ben altro stampo e spessore.
Addirittura hanno insultato chi veramente partigiano è stato, come per il disoccupato, quando non appartenenti di stessa sinistra parte, "venduti", rei d'essere sul palco assieme a gente da odiare, buona da abbattere con la P38.
Come per i maiali, protagonisti del romanzo di George Orwell, ne "La fattoria degli animali", anche questi vorrebbero arrivare a sostituire un potere con l'altro; il loro, ovviamente.
Una volta arrivati nella cabina del manovratore, il copione sarebbe sempre quello: purghe, Gulag, esecuzioni, deportazioni e cancellazione di chi osasse solo mettersi di traverso;
ogni rivolta non ha che da bollare come "controrivoluzionari" quelli che non la pensano uguale, per avere comodo alibi nel demonizzare l'avversario e farne carne da macello.
Niente di più lontano dall'illuminato concetto di Voltaire: "Non sono d'accordo con ciò che pensi, ma sono pronto a lottare fino a morire affinché tu possa continuare a pensarlo".
Il falcemartelluto: Non la penso come te, e sono pronto a lottare fino alla morte per ucciderti, affinché tu non possa più pensare ciò che pensi.
Eccoli, quelli in piazza a Roma e Milano che, se solo ne avessero possibilità e forza, sarebbero a riempirti di piombo, piuttosto che di uova e pomodori marci.
Bruti tempi questi, ma la fortuna è dalla loro, che si sentono nati sotto una buona stella;
quella rossa, a cinque punte.
Io, secondo me...21.04.2010