martedì 22 febbraio 2011

Di sputandum

Il mondo sta andando a ramengo;
dal nord Africa a tutto il medio Oriente sta bruciando una miccia che, sempre più, si avvicina pericolosamente alla polveriera.
Si capisce chi va, ma non chi viene e, se va male nel cambio, saranno cavoli amari, per tutti.
Sino ad ora si era convissuto con tipetti affatto raccomandabili, spesso veri e propri delinquenti e bulletti di quartiere, padri-padrone che amministravano e correggevano direzione e derive delle masse con nodosi bastoni.
Ma hanno tenuto: per decenni quei tappi naturali hanno frenato fuoriuscite, che non sempre promettevano bene e rendevano briosi, come lo schiumare dello spumante.
Mubarak arrivò dopo l’assassinio di Sadat, in quel 6 ottobre 1981.
Il poveretto, accoppato senza cerimonie, commise un errore fatale: firmò un trattato di pace con Israele, che garantì sì decenni di pace, per l’Egitto ma, in un mondo di idioti, che considerano la vita donata da un Dio buono come e vuoto a perdere, quello fu tradimento.
Per l’Egitto e il resto del mondo, invece, un periodo d’oro, di stabilità.
Mubarak, il “Faraone”, di cappellate ne fece molte, certamente e il suo braccio, come la mano, non ebbe mai ricopertura neppure di guanto di velluto, sul guscio d’acciaio.
Avendo a che fare con “fratelli” e pure “musulmani” che, anche se li lisci per il verso giusto, comunque ti scannano e facendo tesoro della fine del predecessore, certo non aveva visione ottimista, di come potesse attecchire la “democrazia” nel paese.
Giusto...sbagliato: chi lo sa?
Dalla cattedra, la teoria di chi insegna funziona sempre.
Gheddafi.
Brutta bestia.
Arriva da lontano: da un colpo di stato dove, il 26 agosto del 1969, ribalta un re e poggia proprie terga sul di lui scranno.
Pur poi rinunciando ad ogni carica politica, riamane l'unico leader del paese, con l'appellativo di "guida della rivoluzione".
C’ha pure il suo “Mein kampf” personale: un bel “Libro verde”, pubblicato nel 1976, dove espose, in maniera più organica, i suoi principi politici e filosofici, il “Gheddapensiero”;
con quel bel colorito, affatto pallido, riverberato nella bandiera libica, voleva richiamare il bel mantello che avvolgeva Maometto.
Dapprincipio fece le cose in grande: nazionalizzò la maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, chiuse le basi militari statunitensi e britanniche, innalzò il salario minimo, la possibilità per gli operai di partecipare alla gestione della loro azienda;
alcolici nisba, in ottemperanza al precetto islamico, la chiusura dei locali notturni, la restaurazione della Sharia, la legge religiosa che deriva direttamente dal Corano e dalla Sunna.
Per lui, rifiutò inizialmente il lusso, dormendo sempre in una base militare di Tripoli.
L’apoteosi: gli sberloni alla popolazione italiana, che ancora viveva nella ex colonia, culminate col decreto di confisca del 21 luglio 1970, emanato per "restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori".
Un prova muscolare che ha sempre attecchito positivamente, nel rancoroso brodo di fondo del pensiero arabo, tanto pronto a fare bauscia quando batte, a pigolio quando bastonato.
Gli italiani furono privati d’ogni cosa, ridotti in braghe di tela e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 1970.
Da allora, ogni 7 ottobre in Libia si celebra il “giorno della vendetta”, l’aver preso a pedate nel culo e sbattuto a mare 20.000 coloni italiani.
Seguirono giorni grami, dove il tipo, esaltato e con manie di grandezza, appoggiava ogni terrorismo, arrivando a metterci del suo: una bomba.
Il 21 dicembre del 1988 esplodeva un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie: perirono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini del posto.
Quel che non poterono le bombe di Ronald Regan - due anni prima, con il massiccio bombardamento, da cui rimase fortunosamente indenne - lo fecero le sanzioni, un embargo che lo ridimensionò, oltre a lasciarlo in mutande, facendolo tornare a più miti consigli, sino a riportarlo nell’orbita nostra;
certo, uno stronzo era e tale è rimasto, ma ha tenuto assieme un paese altrimenti fatto da miriade di realtà tribali che, se lui sparisse di colpo, sarebbero a girare ognuno per proprio conto;
se non peggio: diventare satelliti del nuovo mondo, destinato a coagulare con l’integralismo più spinto.
Un secondo Afghanistan talebano.
Certo, girandoci attorno non abbiamo di che star tranquilli: i mercanti che ci possono vendere quanto di cui abbiamo bisogno, per lo più, sono briganti, ma hanno possesso del pozzo dell’acqua.
Possiamo fare come la cavalleria polacca, contro i carri armati tedeschi e scrivere una bella pagina di storia;
magari ci daranno pure la targhetta commemorativa ma, da morti, col cavolo che ci riuscirebbe di far passare i nostri principi.
In fin dei conti, pur di non scomparire e far la fine dei primi e genuini cristiani, in pasto ai leoni, pure un
Pio “Ics, I, I”, il dodicesimo, girò la testa dall’altra parte, facendosi comodo nel non vedere gli ebrei dei campi di concentramento entrare nei forni crematori ed uscire in fumo, dai camini.
Occhio non vede, cuore non duole.
Sei milioni, più valore aggiunto, come zingari e testimoni di Geova, morirono rinnegati da Pietro, dove neppure il gallo riuscì a cantare tre volte, perché anch’egli finì arrosto.
Taluni sono a giustificarne azione: il denunciare a Urbi et Orbi io sterminio, avrebbe potuto voler dire il vedere pure il porporato, quando non il Papa stesso, dietro il filo spinato.
Ingenui veramente, quei primi cristiani, che invece si fecero vanto di entrare nella lista del pasto di famelici gattoni.
Ma forse, come nel gioco degli scacchi, da pedine, fecero gioco loro assegnato, quando il re, invece, va difeso.
E poi, diciamocelo...papale papale: sotto sotto, gli ebrei - figli degeneri e deicidi - facevano ancora schifo e una bella disinfestazione ci voleva.
Come oggi, ancora, dove pure c’è chi lo dice e lo scrive apertamente, ma tanti ancora sono a voltare testa, quasi a voler dire che sono solo ragazzate, goliardia “Hamasbollhana” pura, smargiassate da Bar Sport.
Bene, ad esser pio, pure io do il mio pronostico, e scommetto sul finale di partita che si sta giocando e sta infiammando il mondo.

“Ics, I, I”

Ma sul “Beppepensiero” fatelo: non vige la regola che non lo si debba, su quelli di ognuno, secondo il “latinorum” del “De gustibus non disputandum est”, non si può discutere sui gusti personali, in senso lato, sulle opinioni.

Del mio, bastonate pure, ma non si perda il”di” per lasciare solo arma da getto: lo “sputandum”.


Io, secondo me...21.02.2011