Il mio Ka si spense in una strada del paese, al cospetto di un giovane come me, davanti ad un sorriso di scherno e al fuoco della sua cintura, che soffocò il mio.
Improvvisamente, come un insetto trafitto da uno spillo, come sabbia sfuggita velocemente tra le dita, sentii la vita arrestarsi poi scivolare via e il respiro mi fu rubato.
La gran madre Eset, Mut-Netjer, accolse tra le sue amorevoli braccia il mio Ba, lo spirito, affidandolo a colui che mi avrebbe guidato nel gran viaggio, il fedele Anubi.
Ai confini del mondo verso le quattro colonne che lo sostengono, attraverso il fiume degli inferi e nella terra brulicante d’esseri mostruosi, valicammo porte sino alla gran sala di giustizia, al cospetto dei sommi giudici Shu e Tefnut (aria e fuoco), Geb e Nut (terra e cielo).
Alla presenza d’Osiride c’era la bilancia, la pesa cui affidai il mio cuore affinché fosse in equilibrio con la piuma di Maat.
Il dio scriba Thot registrò il risultato su un rotolo di papiro, mentre Anubi controllò lo strumento.
Leggero era il mio cuore perché ero innocente, il mostro Amenuit non potette cibarsene.
Ero innocente e non feci mai del male ad alcuno.
Nei campi di Jalu, dopo la purificazione nel lago del loto, Ka - il soffio vitale - e Ba si riunirono: Akh, la terza parte del mio spirito, si compose a formare, con gli altri, le stelle circumpolari che non scomparivano mai oltre l’orizzonte, diventando parte permanente dell’universo.
E vidi l’Acheronte, il fiume del dolore che delimita l’Inferno, attraverso il quale sciamano le anime destinate alla punizione eterna.
Chi interruppe la mia vita, raggomitolato e tremante, era traghettato dal demonio Caronte, che gridava, con occhi di bragia: "Guai a te anima prava! Non isperare mai veder lo cielo; i vegno per menarti all’altra riva".
E colà arrivati, a sigillar la nera anima, Cerbero, mostruoso cane a più teste - il guardiano dell'entrata dell'Ade - ad impedire l'uscita ai morti e l'ingresso ai vivi.
Allora il dannato, a chieder pegno di ciò che in vita fu promesso: settanta vergini in nome d’Allah come, prima di lui, altri a pretender premi e mercede in nome di Jahvè!
"Stolto!" urlò il divino. "Ti diedi la vita per nulla, perché ora rendi nulla la vita: forse che per reclamar ciò che è mio debba usare uno come te invece che un semplice gesto della mia mano?".
Eppoi, nell’ira furibonda: "Ho donato la vita per nulla e tu nulla mi restituisci?!"
Con la mente rivide tutti i suoi bambini, quelli che tanto tempo addietro arrivaron a Lui prima della chiamata - innocenti e puri - con in mano una chiave: un vecchio, con quella, promise loro l’entrata in paradiso attraverso il tributo della loro carne dilaniata. Una lacrima scese dagli occhi del Signore: i suoi figli non con la morte, ma con il dono fatto loro dal soffio divino raggiungono il Suo cuore!
Il vecchio, con l’anima sporca come il nero del mantello indossato in vita, protesta a Lui innanzi: "In nome dell’unico Dio feci quel che feci!".
Come il rumore del gran boato che iniziò l’universo, alta e iraconda la voce del Creatore: "Io sono il tutto e il tutto è in me: sono Dio e gli Dei!". La furia fece tremare i mondi: "Nessuno conosce il mio nome segreto. Io sono il Padre di tutti: non importa come i figli pronuncino il mio nome né come arrivino a me!". "Io sono il principio e la FINE: l’uno e l’altra mi appartengono!". Al suo gesto l’anima infame vaporizzò. Ed io mi addormentai, in pace, sul petto del Padre mio, mormorando la preghiera della gioventù: "Padre mio che sei nei cieli...".
E voi, se volete salutarmi, guardate tra “le stelle circumpolari che non scompaiono mai oltre l’orizzonte”.
giovedì 26 aprile 2007
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