Lui mi conosce da sempre, io, cominciai a percepirne la presenza all’inizio della scuola elementare. Ne sentivo parlare spesso, certo: dai miei genitori, dai nonni, dalla comunità in cui crescevo. Lui, l’amico: quello che consolava dalle afflizioni, che sedava le liti, che aveva una parola buona per tutti e per tutto. Ed io, lo vedevo tutte le mattine all’entrata a scuola, pulcino tremebondo, per la prima volta diviso dalla mia mamma-chioccia. Lo salutavo all’uscita dalla classe, quando era l’ora di andare a casa. Talune volte gli parlavo anche. Poi divenne vieppiù una costante rassicurante, un porto verso cui dirigersi, quando la vita ti graffiava. Come a correre ancora dalla mamma o dal papà, a chiederne protezione, una carezza, a ridarti coraggio per ripartire.
Parlava - parla - anche quando è muto, con gli occhi, con lo "stare lì"; Semplicemente, perché c’è, si vede!
O, almeno, così era: oggi sempre un po’ meno. Un amico di giochi, un compagno, nel bene e nel male; Come il vecchio diario degli anni più innocenti, a far da scrigno, a custodire i pensieri più intimi e cari. L’amico buono, il compagno protettivo, "più grande", sì, ma non tanto da farti soggezione. La "giusta distanza", per portarti insegnamenti ed esperienze ma a non imporre scelte. Influenza senza obbligare. Meno invasivo del padre. Certamente una figura grandiosa, mitica ma opprimente, spesso minacciosa, troppo "severa". Almeno, così riportano le "cronache". Può molto, ma pretende tanto e i suoi scappellotti sono..."biblici"! Oggi, "suo figlio", non lo saluto più all’entrata e, ancora meno, all’uscita da scuola. Tanta acqua è passata sotto i ponti, tanti anni mi hanno raggiunto, scavalcato e superato, a contare sempre più qualche capello bianco tra quelli già pallidi e ingrigiti. I contatti si sono sempre più affievoliti: lo scandire dei secondi, dei minuti, delle ore e dei giorni, nel crogiolo degli anni, rimescolati continuamente dal canuto signore del tempo, ci ha in parte allontanato, ha disperso i giorni lasciandomi il "gusto", il rimpianto, di qualcosa di tenero e dolce...a macerare, nella memoria, le reminescenze di una lontana "età dell’oro". Gli anni della contestazione, di una sporca politica scandita da "mercenari", venditori di sogni e di fumo, barricadieri, morti di fame alla ricerca di una poltrona - oggi ben difesa a protezione dei propri lombi - prestigiatori ed illusionisti, mi fa "arROSSIre" nell’aver tardi compreso di aver venduto begli anni per un pugno di lenticchie! Peggio: aver messo in una polverosa soffitta il cordone ombelicale che mi univa a quella figura saggia ed accattivante. Ci fecero fumare "oppio per i popoli", a vedere il "sol dell’avvenire", tra i vapori delle "pipe" e delle "canne"! Ora, con le cicatrici di un vecchio guerriero, ricordo di tante battaglie, più perse che vinte, lo rivedo. "Eccolo!", urlo guardando la televisione, il giornale: " è lui"! Non ha perso "smalto". Mi aspetta, ancora, a "braccia aperte"; Parla a me, di nuovo! A me, un laico! "Ciao, figliolo!" mi dice. "Ciao", rispondo. Mi osserva con gli occhi buoni: "Quanto tempo...". "Tanto, troppo!", rispondo. Vorrei aggiungere: "...come ti butta?"...ma mi trattengo. "Butta" male, risponderebbe: attaccato ad una croce, attaccato...appunto, per una croce! Pronto a diventare un "sogno nel cassetto", uno di quelli ad essere dimenticati, nella (s)memoria di chi non sa difendere un’identità, un’appartenenza, una radice, una storia infinita: la NOSTRA storia, ora dimenticata velocemente dai pavidi figli d’antichi padri, ancora attaccati alle lunghe pipe, a fumarsi quell’ormai poco cervello scampato all’ammasso! "Bentornato, amico": tra poco ricorderò la tua nascita, senza compromessi, perché questa è, prima di tutto, la mia casa. Aperta a tutti, sì ma...uomini di buona volontà! Ben ritrovato, ben tornato, amico mio, a sederti, come una volta, alla mia tavola! Amico, fratello mio.
giovedì 26 aprile 2007
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