lunedì 15 febbraio 2010

Mirkorrotto

Massacratelo.

Non merita altro, lui come i simili, che hanno fortuna di lavoro e posizione, ma pure l'ingordigia di avere sempre più, finanche il superfluo.

Nei lunghi giri nella metropoli meneghina mi capita spesso d'incappare in angoli d'umana disperazione:
i più fortunati in una roulotte sgangherata, altri in tende rabberciate alla bene meglio, consumate per il lungo stare esposte all'insulto del tempo, schiaffeggiate da vento e pioggia, ricoperte di brina e gelo e cotte al sole;
Sotto questi sudari agonizza un'umanità che fino a ieri aveva dignità: il lavoro.
Sino a ieri poteva mostrare ai propri figli i calli sulle mani e le rughe della fatica, la faccia nobile di genitori amorevoli che anticipavano e costruivano il futuro per i propri figli, orgogliosi di sentirsi utili e partecipi, a giusto titolo, di una società laboriosa.
Da un giorno all'altro - e nessuno se ne può dire fuori, con i tempi che corrono - la doccia fredda, l'erba tagliata da sotto i piedi, l'incubo di non avere più nulla, nella disperazione e nella miseria più nera: la ditta chiude o se ne va altrove, dove meno ha da dare e più da guadagnare.
Quel che appena poco prima era normalità diventa un lusso: la pizza da condividere con la famiglia riunita, la passeggiata del fine settimana, le scarpe o l'abito nuovo, la cartella per la scuola o la retta della mensa, così come un profumo fino al caffè al bar o il giornale;
tutto scompare, sfuma, in un attimo: la vita diventa fragile, come un bicchiere di cristallo che va in frantumi.
Ti guardi attorno, osservi gli altri che, come te, si dibattono magari in acque simili, ma l'un l'altro è a nascondere il tutto sotto un velo di dignitosa povertà, velata di senso d'impotenza, di vergogna, come se non fossi una vittima ma colpevole di quanto accaduto.
Come fare a spiegare ai propri figli che non possono più avere nuove scarpe o magliette firmate, andare in vacanza o mangiare carne tutti i giorni;
peggio ancora quando, in aggiunta, devi rivolgerti alla mensa dei frati o a gruppi assistenziali, fino a dover passare dopo che le bancarelle del mercato sfollano, lasciando indietro la frutta e la verdura che ha qualche tocco e nessuno vuole - i fortunati - perché la mela deve essere bella lucida e la ciliegia grossa come un limone.
Ne ho visti di persona, di questi poveri cristi: una volta erano anziani e pensionati, che non potevano permettersi di più, con la misera pensione;
i più di loro però avevano imparato, con il tempo, ad arrangiarsi, ad organizzarsi, a gestire il poco, forti dall'essere stati temprati in tempi di guerra, dove questo era la normalità.
Non i loro figli, ora alla mezza via, cinquanta o sessantenni, prossimi alla pensione ma nel limbo di passaggio, dove la sponda si è allontanata come la barca, trovandoli con un piede da una parte e l'altro all'opposto.
Mi si stringe il cuore, quando li vedo, quando conosco la loro pena e soffro nel vederli mortificati, nel tentativo sempre più faticoso di non mostrare i buchi nelle scarpe o i fili lisi di un capo troppo indossato ma che non può essere rimpiazzato.
Per questo perdo ogni forma di pietà e voglio vedere il sangue, verso quei graziati dalla malasorte che, non paghi di tanta provvidenza, buttano al vento tanta ricchezza per voler aggiungere abbondanza ad un bene stare.

Massacratelo.
Massacrate Mirko Pennisi, presidente della commissione urbanistica del Comune di Milano;
Massacrate quelli come lui, dovunque siano, per qualunque parte, orientamento e tessera possano vantare.
Lo dobbiamo agli sfortunati, ai reietti, ai nuovi poveri, a quelli che cadono in depressione perché hanno perso tutto e magari sono o saranno a mettere fine ai propri giorni, sotto il peso di un destino che è come la ruota di una macina.
L'hanno beccato, il Mirko, a prendersi una mazzetta, un gruzzoletto in nero, per aggiungere bambagia ad un nido già confortevole, ad aggiungere superfluo ad un piatto già grasso.
Grazie alla razza sua, c'è un cantiere fermo da quattro anni, un imprenditore che è come se pagasse il pizzo ad un mafioso - che cambia solo l'etichetta, ma eguale sostanza - e costi spalmati sulla comunità, perché alla fine è sull'ultima ruota del carro che ricade il peso di quanto ci grava sopra.
La penisola intera è piena di opere ferme, rallentate o finite ed inutilizzate, lasciate marcire perché tanti "Mirkorrotti" siano ad ingrassare: ogni piccolo pirlotto d'amministrazione comunale ha in mano la leva del freno, la forza d'inceppare meccanismi ben più grandi di loro, se solo non lubrificati a dovere, con sugo di quattrini.
Ebbene, olio sia: quello di frittura della giustizia, dove questi delinquenti siano a sfrigolare e bruciacchiare.

Dietro ognuno dei tanti disperati che vediamo davanti ai cancelli delle fabbriche o sui tetti, all'addiaccio, ci sono piccoli Mirko Pennisi, i Mirkorrotti: l'abbrutimento di padri e giovani, senza più ormai arte ne parte, è prodotto di queste gramigne, erbe infestanti che tolgono respiro e spazio al buon raccolto.

Massacratelo...massacrateli: colpirne uno per educarne mille.

Pietà l'è morta.


Io, secondo me...15.02.2010