sabato 30 luglio 2011
giovedì 28 luglio 2011
La Gioiosa
Achille scese in campo, con tutta la “gioiosa” macchina da guerra a dargli man forte, ma gli “mancò il tallone, non il coraggio”.
Non fu Paride a centrare con una freccia avvelenata l’Achille, nel calcagno destro, l’unico vulnerabile e sconfiggerlo;
fu un semplice Silvio e colpì la sinistra del garretto, ma ottenne il medesimo risultato: azzoppare la macchina, ingolfare il motore ed inceppare la “Gioiosa”.
Non il Pelide, ma l’Occhetto fu il trombato Achille che, nel tentativo di gioco di sponda, affondò e il PCI naufragò sulle sponde del PDS, rimanendo all’umido: né carne, né pesce, “imbastardito” e zavorrato dai tanti profughi, reduci dal terremoto “tangentizio”, che fece macerie di tanti partiti e partitelli dediti al “magna-magna”, che è peggio del “bunga-bunga”, perché ad essere presi per i fondelli sono i cittadini e la “res publica”, non le “Escort”, nel privato.
I nuovi innesti portarono agli indigeni non specchietti e collanine, ma “valore” aggiunto: il come smistare bustarelle.
Chi s’accompagna allo zoppo, impara a zoppicare;
poi, finisce che ci si prende gusto, una ciliegia...una bustarella tira l'altra e il disturbo diventa ossessivo compulsavo e se ne acquista dipendenza e una pera tira l’altra, ti entra in vena e non se ne può più fare a meno.
Ma il vero Comunista, come la gramigna, non muore mai, così come l’addestramento e l’imparato, alla scuola di Mosca, che in fatto di come macinare l’avversario, non ha eguali.
I “rossi” dentro, quelli veri, non si estinguono - gli estintori li usano per gli altri, in testa - neppure se cade un altro meteorite: questi dinosauri sono tosti.
Hanno il vantaggio di essere standardizzati, intercambiabili, clonabili all’infinito, confezionati su un modello normotipo, quasi universale, stile “aparatchik“.
Come per i Papi, morto uno se ne fa un altro.
Il Bersani è come l’abito della Facis o della Lebole, uguale a quelli che lo hanno preceduto: insipido, inodore, insapore ma, differentemente dall’acqua, assolutamente non indispensabile.
Se li conosci, li eviti.
Prendiamo pure un D’Alema: non cambia ‘na beata fava.
La corteccia cerebrale è la stessa: circonvoluzioni appallottolate in un gheriglio di noce.
Tutti reagiscono per riflesso condizionato, come i cani di Pavlov, quelle povere bestiole la cui salivazione - la famosa “acquolina in bocca” - era stimolata non più alla vista del cibo, ma al solo sentire il suono di una campanella.
I “cagnoni” d’oggi, non salivano: alla bocca c’hanno la bava.
Alla campanella, hanno sostituito la “vox critica”, il sonoro del dito puntato su chicchessia del branco.
I figli del “Migliore”, non possono che ritenersi tali a loro volta.
Sono presuntuosi e permalosi.
Perdono le elezioni ed eccoli, a dire che hanno la qualità e la quantità che ha decretato sconfitta è pancia, e non cervello;
quasi tutti a tenere tracce di fascismo nel corredo genetico, che andrebbero rieducati...purgati di tanto groppo intestinale.
Quando pescati con le mani nel sacco e la bocca sporca di marmellata, impossibilitati a dimostrare tanta grana in busta per la sola vendita di salamelle, sono a reagire con unghiate e morsi.
Anche i ladri, o presunti tali, da loro, sono diversi dagli altri: veri o falsi che siano, pretendono di essere considerati come Maria di Nazareth: vergini, anche se hanno figliato a...mazzette.
Per le casse di risonanza e i tromboni del regime loro, dal giornale “Repubblica” di Ezio Mauro si arriva all’inverosimile: “Dal 1993, dal giorno della discesa in campo di Silvio Berlusconi. Anche a sinistra il peso dei soldi in politica è diventato decisivo e il bisogno di finanziamenti è stata un’urgenza sempre più evidente”.
E te pareva, che le Marie Goretti non fossero state violentate dal solito bruto!
Fare di necessità virtù...il fine giustifica i mezzi...il tintinnio delle monetine del “Berluska” hanno bacato, corrotto e portato al marcio la bella frutta dell’intero cesto...bella ciao!
Din...din...din...e il compagno sbava, gli vien fame e ficca pure lui il muso nel trogolo.
Bersani, lucido in testa, ma meno sotto, si fa su le maniche e infila il sigaro, in un’imitazione non di Cristo ma a mezzo, tra Obama e Che Guevara, caricatura patetica che non s’avvicina, né in statura, né in grandezza.
«Lo dico alle macchine del fango che iniziano a girare: se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso.»
“Piergiggi” si riferisce alle critiche mosse al suo partito dai giornali sulle vicende di Tedesco e Penati, ma può andare bene anche per precedente, presente e futuro, il fu e l’andrà a venire, perché ormai è corruttela: frego, oggi più di ieri, meno di domani!
Attingendo dal Vangelo: “La destra non sappia quel che fa la sinistra”.
Non basta un giro di casacca, un cambio di nome, una tessera a screditare la verità dell’”abito che non fa il monaco”.
La “Fattoria degli animali” continuerà a dimostrare che “Chi va al mulino s'infarina” di che colore non importa.
«Le critiche le accettiamo ma le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele [...] la possibilità di fare una class action da parte di tutti gli iscritti al Pd, perché il partito è una proprietà indivisa [...] c'è un insulto a ciascuno dei suoi componenti.»
Fango...insulti...calunnie: dovunque ci sono i resti del loro pasteggiare, con questi intingoli;
in sovrappiù, “compiacenti” compagni di merende, nel caso dei demonizzati avversari, hanno fatto filtrare in maniera indegna e vergognosa, monumentali trascrizioni d’intercettazioni, piene di nulla, penalmente irrilevanti, ma bastanti a stroncare immagine, credibilità e macchiare innocenza e candore di tanti, colpevoli solo di aver fatto da contorno al porcellino, cui si voleva mettere mela in bocca e spiedo nel c...popò, per cuocerlo a fuoco lento.
Qui, sicuramente, a dimostrare quante toghe sono nere, non solo nell’abito ma nell’animo, nulla andrà perduto e i sigilli terranno.
“la Gioiosa” dei bei tempi, si è trasformata: oggi è “la Fangosa” macchina da guerra.
Solo la scoperta della tolla e del bronzo ha permesso al Piero di metterci la faccia...
«Lo dico alle macchine del fango che iniziano a girare...iniziano a partire le querele [...] la possibilità di fare una class action» e, tanto che ci siamo, anche le purghe...tiè!!
“Sparagli Piero/sparagli ora/e se si rialza/sparagli ancora” dai, “Piergiggi”, canta con me...facciamo di tutta l’erba un fango!
Io, secondo me...28.07.2011
martedì 26 luglio 2011
Cristialebano
Patate e meloni non rendono più come una volta, neppure se gli metti sopra tonnellate di fertilizzante;
forse il difetto era nel manico, dove non ci s’improvvisa fattore da un giorno all’altro e neppure basta una pistola o un fucile, ad allontanare i corvi che beccano le sementi.
Sarà perché la terra è bassa e bisogna piegare la schiena, sarà che fare il contadino non permette di cambiare il mondo ne rende ricchi, sarà che stare troppo sotto il sole prende la testa e che nella quotidianità non si vince sempre, come nei giochi di guerra;
sarà...ma forse no: Anders era storto di suo.
I meloni marcivano e le patate buttavano...e dove cavolo le metti sei tonnellate di concentrato di nitrato d'ammonio?
E il fucile...la pisola?
Il bel biondino dagli occhi azzurri c’ha un’idea grandiosa: con il primo ci fabbrica una bomba e gli altri due poi, per dare il tocco finale e battere ogni record, al miglior gioco di guerra che gli sia mai venuto, in barba alla monotonia di quelli virtuali, sulla noiosa "Playstation" con cui gli riusciva d'ammazzare solo il tempo.
Andar per quaglie era troppo scontato, che quelle ormai, come ogni cosa di riserva, sono talmente rimbambite che gli viene un colpo solo a fare «Bum!» con la bocca!
Come gli eroi di carta, di celluloide e della “Game Boy”, c’è sempre un cattivo da sparare, “atti atroci ma necessari” per salvare il mondo, nell’essere motivati, che “Una persona con un credo è forte come centomila, mosse solo dall’interesse”.
«Ciao mamma, ciao papà: sono contento di essere arrivato uno; ci vuole un fisico bestiale e io modestamente lo ebbi!», avrà detto il nostro “Terminator”, caduto sulla terra per fare l’Angelo Sterminatore.
Una bella bombetta ad Oslo, giusto per aprire le danze e cominciare con i fuochi pirotecnici, per dare l’avvio alla goduria, e poi via, ad entrare nel...vivo della festa!
La Norvegia è un bel paese: civile, educato, disciplinato, quasi da favola, dove i diritti sono tutelati all’inverosimile.
Vive come da noi ai bei tempi andati, quando i vecchi, con nostalgia, narravano di porte mai chiuse a chiave, che mai ci fu chi approfittò di tanta fiducia.
Dai pollai, i ladri di galline presto si accorsero che era da stupidi fregare uova e pennuti, quando da spennare c’era di meglio.
Dopo qualche casa svaligiata, presto ci si accorse che santa persona era il fabbro del villaggio, che sapeva mettere assieme grate e inferriate robuste.
Peccato che oggi, in casa, c’è entrato un assassino.
Sull’isola di Utoya, un qualunque Anders Behring Breivik, frangetta biondiccia e limpidi occhi azzurro mare, che assomiglia più al Principe Azzurro delle fiabe che ad un macellaio, invece che al piccione o al piattello, comincia a mirare alla nutrita schiera di ragazzi, che là si erano radunati in una sorta di “campus” estivo di rappresentanza laburista.
Ce n’erano a frotte: belle tortorelle da impallinare.
Anders, Il cavaliere solitario, che al posto dell’armatura indossava una divisa da poliziotto, inizia la mattanza: colpo in canna, carica, mira e spara... colpo in canna, carica, mira e spara... colpo in canna, carica, mira e spara.
Avanti così, per decine e decine di volte, in una defatigante tirata ai birilli che dura - indisturbata - un’oretta buona.
Ah, la Norvegia...cosa mai potrebbe succedere, in una società così perfetta, appagata, coccolata, in un mondo così paradisiaco...
Vorremo mica mettere un antiestetico presidio armato a guardia dell’ovile, nell’incantato e fiabesco mondo?
Sessanta minuti in cui il lupo ha fatto quel cazzo che voleva, semplicemente perché si pensava bastasse uno spaventapasseri o una sagoma di cartone a fare da deterrente.
La stupidità e l’imperizia hanno avuto più responsabilità nella conta dei morti, di chi li ha effettivamente freddati.
Non importa cosa o chi è Anders Behring Breivik: svitati e sbiellati come lui - purtroppo - sono universali, apolidi e spalmati in ogni dove: non sono niente, ma indossano uniforme del posto dove hanno scavato la tana.
La loro follia è ad orologeria, l’innesco, al fulmicotone.
Il cervello, una poltiglia, dove c’è di tutto e il suo contrario: Anders sogna un ritorno al cristianesimo rigido e ingessato delle origini, ma non disdegna la Massoneria, che a quello sta come il diavolo per l’acquasanta;
odia l’aggressività del suo opposto, quella del radicalismo islamico, ma ne scimmiotta le mosse e i modi, dove ritiene che la nazione non abbia palle per farlo e quindi costretto a compiere “atti atroci ma necessari” a causa di quell’impotenza;
ammira quelli che sono stati acerrimi nemici del nazismo, da Winston Churchill all’eroe combattente norvegese Max Manus.
Ma è tale e quale spiaccicato, anche nei tratti, all’aitante ed atletico - oltrechè spietato - Reinhard Tristan Eugen Heydrich, stupendo esemplare ariano della seconda guerra mondiale, governatore del Protettorato di Boemia e Moravia...il “Boia”.
Un apprendista, forse: un garzone di bottega magari, ma se n’avesse avuto il tempo...sicuramente a non sfigurare, a guadagnarsi pure lui la qualifica del “Magister” teutonico.
Forse le seghe mentali se l'è fatte da solo, forse s’è fumato il cervello in compagnia, ma è solo un povero pirla che non ha capito perché tante mosche gli volano attorno e che non sono loro a puzzare;
è solo questione di proporzioni, di misure e di grandezze: come Himmler, agronomo fallito o “mezzemaniche” mancato, che purtroppo trovò appoggio e una leva per sollevare il mondo e diventare sterminatore.
Anders Behring Breivik ha avuto la sfiga che patate e meloni della sua fattoria non hanno dato frutti per sentirsi appagato del suo fare.
Solo la mediocrità lo ha fatto agire in quel modo: per non sentirsi ed essere quel fallito che invece è.
Avrebbe voluto comparire in aula indivisa e trasformare il banco d’imputato in cattedra da predicatore.
Solo le mosche potranno apprezzarne sostanza, che quelle nella merda ci sguazzano.
Per il rimanente, è solo un povero esaltato “Cristialebano”.
Io, secondo me...26.07.2011
lunedì 18 luglio 2011
Povera stella
Povera stella, lei non voleva;
povera stella, che l’hanno raffigurata così
povera stella, l’hanno usata, ricattata, minacciata;
povera stella, che vorrebbe ricucire.
Stanca del vecchio mestiere, ricco d’entrate ma usurante, d’essere “Ifigonia” di goliardico ricordo, eccola sartina, con ago e filo, a voler rimediare verginità e rapporti;
a rinnegare e rimangiarsi verità di ieri per riadattarne variante oggi.
«Non sono cattiva, è che mi hanno disegnata così» piagnucola la novella Jessika Rabbit.
“Patty” D’Addario, in arte, anche Alessia, Ivana o Alessandra, oggi stagionata “over 40”, si accorge che, per l’ennesima volta, ma gratuitamente, l’hanno presa per i fondelli.
“Giuda” D’Addario scoccò il velenoso bacio, che marchiò la vittima di turno con stampino di puttaniere.
Gola profonda, armata dell’inseparabile registratore, sfiamma le penne dei tanti polli;
quanti, cascati nella rete delle sue calze, dopo effimera assunzione in Paradiso, si sono ritrovati precipitati all’inferno, dovendo cancellare tracce d’augello, a che non sappia la moglie cornuta il perché del soffrire di tanta fastidiosa emicrania.
«Non mi sono mai separata da quel prezioso apparecchio: era il mio angelo custode. Ho sempre registrato tutto. Non ho mai smesso. La mia casa è invasa da documenti.»
Dice di non averli mai usati contro nessuno.
Un’innocente forma compulsiva, una candida, disarmante e inoffensiva forma di raccolta, come quella dei francobolli o delle monete.
Ci credo, come a Gesù Bambino e a Babbo Natale.
Ma alla Befana sì: lei ha portato doni ai giornalisti e magistrati, che di quei regali avevano bisogno per i propri giochi.
«Berlusconi ha ragione, quando afferma che certi magistrati lo perseguono ingiustamente e lo colpiscono nella vita privata, per cancellarlo da quella politica.»
Ma va là? Guarda te, che non ce n’eravamo accorti!
Povera stella: le hanno ciucciato il midollo, per poi sputarne l’ossobuco.
Povera stella, costretta con la forza.
«È peccato. Dio non vuole: andrete all’inferno!»
Povera stella;
ha sudato una vita facendosi un c…paiolo grande così, perché sua figlia potesse, con orgoglio, vantare d’essere figlia di tale operosa madre, ed ecco:
«Ora si vergogna di me. Non la vedo da un anno.»
Brutta cosa essere una figlia di Patty.
Povera stella.
«Sono stata presa in giro: mi dicevano che sarei diventata famosa, che avrei guadagnato denaro da libri e interviste, Invece non ho preso un soldo. Sono stata distrutta e rovinata da chi è pronto a usare persone fragili e sfortunate come me. Adesso che non servo più mi hanno abbandonata.»
Povera stella, che ha finito i trenta denari.
Ora che la patatina scotta, nessuno più si sente di metterci mano sopra.
Quelle del mestiere più vecchio del mondo la isolano, come appestata.
La patatina tira, ma teme la luce del sole: una regola non scritta, ma ben impressa nei cromosomi delle mammellute, vuole che la merce sia data via al buio, nell’ombra, nell’anonimato;
sacramento vitale per la continuazione della specie, da proteggere, come il segreto della confessione per i sacerdoti, d’ufficio per investigatori, notai, avvocati e…no…i giudici no: quelli ormai hanno bottega sulla strada, banchetti e grida da mercato.
Povera stella…
Merce che scotta, da non toccare, come i fili dell’alta tensione.
Non gli è riuscito il gran salto: quello del tradimento che paga, la spinta bastante per farla arrivare e rimanere in orbita e non ricadere al suolo.
Oh, guarda: una stella cadente.
“Gradisca, Presidente”, forza: esprima un desiderio!
Io, secondo me...18.07.2011
domenica 17 luglio 2011
La sagra del salame
«Maledetti, vi odio!»
Siete le zecche, siete le pulci, siete sanguisughe, siete piaghe bibliche, siete devastatori, siete esseri inutili, siete parassiti, siete le piattole d’Italia, pappataci, blatte…fate schifo!
Non esiste termine adeguato a descrivere la vostra razza;
nessuna sagoma può calzare sul vostro profilo, nessuna epidemia, nemmeno la peste di manzoniana memoria è in grado di provocare rovine pari alle vostre, nessuno come voi ha, in natura, migliore apparato succhiatore e, ove sì, almeno ci torna consolazione nel riuscire a schiacciarne tanti, dei malefici insetti.
Con voi no: siete indistruttibili, rinascete da ogni cenere, risorgete da ogni tomba in cui si tenti di sigillarvi, uscendone sempre, più famelici di prima.
«Siamo sul Titanic…si affonda…dobbiamo fare sacrifici, tirare la cinghia; popolo, di cielo, di terra e di mare…eroi, santi e navigatori: abbiamo dichiarato guerra agli sprechi, al grasso che cola dei bei tempi di vacche grasse!»
Peggio di quelli che girano a castrare i torelli, provetti “maestri di cesoia” sono a far servizio sui nostri, di “gioielli”, prendendoci per i fondelli e lasciandoci mazziati sul fronte delle corna.
Per noi, sangue, sudore e lacrime, nel momento in cui si chiede “oro per la patria”.
Siamo tanti e quindi nessuno deve tanto curarsi di dove mette i piedi: morta una formica ne arriva un'altra, mentre i grilli cantano, dando il ritmo, come quello che batteva il tamburo per dar mossa ai rematori, sulle galere;
qualora la nave affondasse, solo noi, con i piedi incatenati, saremo a seguirla nelle profondità, mentre quelli “di sopra” lasceranno lo sfortunato legno, come i topi, per cercare subito altro da infestare.
Questo sono: ratti, pantegane, figli delle fogne e maestri di rapina.
Mentre noi, miserie e miserabili, ai loro occhi, siamo a dividere pane, cipolla e tasse, quelli sono riusciti, nottetempo, a infilare e approvare, con manovra fulminea, un perfido disegno, che permetterà di legare la propria già lardosa paga a un sistema di leve, che ne assicurerà comunque continuo alzo. Solo per noi saranno i buchi nella cinghia, ammesso che poi, attorno, ci rimanga qualcosa.
Hanno brillantemente e genialmente aggirato ogni tentativo di “regolare” le creste del loro pantagruelico pasto, almeno nel volerne adattare boccone a stessa bocca di colleghi con pari compiti e gradi, che rappresentano elettori di altri paesi.
E non che ve ne sia qualcuno che muoia di fame.
Ma i nostri non demordono, che se “l’erba voglio non cresce neppure nel giardino del re”, da noi esiste, ma nei pascoli ruminano solo pigre e sterili vacche.
Una volta esistevano grandi uomini, condottieri e guerrieri, che crearono imponenti opere, arrivate a noi magari in rovinosi resti, bastanti però a farci immaginare quale fosse l’originale bellezza e grandiosità.
Oggi invece, abbiamo piccoli e insignificanti esseri: ambiziosi, vanitosi, presuntuosi, opportunisti, egoisti, esosi e voraci consumatori delle provviste dell’intera comunità, che ha disgrazia di ospitarli.
Dovunque si spinga lo sguardo, sull’intera e sfortunata penisola, esistono rovine;
ma non sono causa di terremoti, alluvioni o calamità naturali.
“Omuncoli”, si chiamano quelli che li hanno messi in piedi.
La loro nascita ebbe sempre festosi natali, suono di grancassa, di trombe e di campane.
Subito dopo, abbandonati.
Scuole, piscine, ospedali, palazzi, palestre, asili e quanto ogni ben di Dio si sarebbe potuto godere, se solo non fossero stati concepiti già per restare gusci vuoti, ma permettendo a un’elaborata filiera di ladri e approfittatori di sbocconcellarne, strada facendo, pezzo per pezzo, di tanto ricco ripieno di quattrini pubblici.
Piccoli ladroni crescono e arrivano in alto, avendo ben scritto nei cromosomi le regole della propria dannata stirpe.
Come nel vedere i maiali in corsa al trogolo, nel quando si spingono, si sgambettano e litigano, mai però sull’abbondanza delle razioni, che li vede ingrassare già puntandone occhio.
Spero venga giorno di festa anche per noi, a poter banchettare alla tavola di Crapulone e poter dire a quelli che, sì, ci sono costati cari nel crescerli ma, alla fine, c’han dato soddisfazione, nel vedere tanti bei insaccati.
«Maledetti, vi odio!»
Fino alla sagra del salame.
Io, secondo me...17.07.2011
sabato 16 luglio 2011
Diabolicum
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum…
Diabolicum non sarà il gemello scemo di Diabolik, il famoso criminale dei fumetti, ma poco ci manca.
Commettere errori è umano, ma perseverare è diabolico: chi mai, sano di mente, oserebbe mettere in dubbio un simile assunto?
Uno c’è, un vero maestro di cappelle: non di chiesa, ma di giudizio.
Recidivo, per tante che ne ha fatte di sue, che non ci si meraviglia mostri indulgenza a chi gli provoca gaudio di mal comune.
Pietro Forno, togato procuratore aggiunto in quel di Milano.
«Sbagliarono…ma vanno assolti: tutti gli errori possibili sono stati commessi, ma non c’è rilievo penale.»
Della serie: abbiamo scherzato!
Si era in quel di Basiglio, quando la maestra scoprì, sotto il banco della piccola, un disegno: raffigurava due bambini in atteggiamenti sessuali, dando corpo al sospetto che avesse rapporti con il fratello.
Nonostante pochi giorni dopo una compagna di classe confessasse di esserne la vera autrice, la “gioiosa macchina da guerra” della giustizia aveva già avviato la macina del frantoio.
Due genitori si sono visti strappare i figli - all’epoca di 9 e 13 anni - per sessantanove eterni giorni, grazie alla “banda dei cinque”;
un branco d’incapaci, superficiali, di una professionalità vicina allo zero assoluto, nulla sensibilità, doti analitiche pari a niente, seppur indispensabili per ognuno che si voglia cimentare nell’arte investigativa.
Tanto di numero è bastato, una teppa d’incompetenti, per rovinare una famiglia.
Ma chi di questo s’intende, per esservi passato, di suo e per primo, li assolve.
E non lo dico io, ma i fatti del poi: la preside della scuola e un’insegnante accusati di falsa testimonianza; un’altra maestra di bugiarde dichiarazioni e, per uno psicologo e un’assistente sociale, reato di lesioni colpose perché, invece di facilitare il passaggio nella comunità protetta, traumatizzarono il bimbo, dicendogli che gli avrebbero cambiato i genitori.
Eppure tanto male, fatto e provato non basta, neppure per dare a quelli un buffetto ammonitore, a insegnare un poco di creanza, a risvegliare un briciolo di dignità, che li porti a pagare di tanta faciloneria nel maneggio di pelle altrui;
quando ognuno di noi, nel quotidiano, è chiamato a render conto d’ogni errore: l’aver dimenticato di saldare una semplice multa, quando anche la rata dell’elettrico lumino da morto, dove ti arriva una minacciosa lettera dall’avvocato degli sceriffi, con sottofondo musicale di tintinnar di manette e minacce di pignoramenti, in un crescendo del tutto sproporzionato a veniali colpe, mentre nulla a chi ha demolito le giunture di un cardine famigliare.
“Tutti gli errori possibili sono stati commessi”…ricorda molto la tacciata di dilettantismo e superficialità, che una collega del Pietro nostro rivolse al lavoro dei suoi, cappellata dopo cappellata, dove in galera ci finì l’ennesimo innocente.
Tiziana Siciliano, si chiamava, che ridicolizzò tanto del lavoro svolto dal Forno e dai suoi “procacciatori” di carne da grata galeotta, dove, a una più rigorosa e attenta opera di ricerca, si scoprì con quanta incapace metodica i “compagni di merende” gli portassero capri espiatori e anime incolpevoli, sbattuti in fetide celle e offerti alla gogna mediatica, con il marchio infamante di “mostro”.
Ovvio che poi, sparando a pallettoni, qualcosa di giusto colpiva: anche Erode ordinò di falciare il grano, certo di ghigliottinare anche l’erbaccia.
Ciliegina sulla torta: assolte anche la preside e le due maestre;
cade l’accusa di falsa testimonianza e dichiarazioni, falso ideologico per omissione, per non avere detto che un’altra bimba aveva ammesso di essere l’autrice del disegno, lasciando scientemente nelle pesti la povera famigliola.
Logica “Dipietrina”: nessuno glielo chiese!
Pare che la piccola, abbracciando i genitori, abbia esclamato:
«Facciamo finta che ho fatto un brutto sogno.»
Ecco, sì:
«Sbagliarono, ma vanno assolti: tutti gli errori possibili sono stati commessi...fate finta che sia stato un brutto sogno; il fatto non sussiste.»
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum…
Io, secondo me...16.07.2011
martedì 12 luglio 2011
Olio di ricino
Con la merda e ai soldi: mira, colpisci ed espropria.
Da vent’anni, una macchina da guerra, affatto gioiosa, ha messo in opera tutto il peggio che dei devastatori possono sul campo, che pure le piaghe bibliche, a confronto, sono a impallidire.
Come le cavallette, sono programmati per radere al suolo, nel demolire, nell’ingurgitare e digerire ogni qual cosa si frapponga al compimento del loro compito, come geneticamente scritto, dal cromosoma di tanta razza maledetta.
Quasi cento anni ci sono voluti, dalla schiusa delle uova alla disinfestazione storica, perché simili blatte fossero quantomeno ridimensionate e il corpo riprendesse il controllo dopo aver sintetizzato i giusti anticorpi;
se non estirpati, almeno controllati: fastidiosi parassiti da grattare via dal pelo.
La conta dei morti che questa ideologia bacata ha fatto, è impressionate, che neppure contabilizzando l’intera guerra del genere umano fino a loro, riesce neppure ad avvicinarsi, nel computo della macellazione dell’allegra e “gioiosa macchina da guerra” del Comunismo.
I nonni maledetti di questa stirpe avevano sradicato e portato a migrare intere popolazioni, assoggettato e schiavizzato milioni di poveri cristi, da asservire alla produzione di una grandezza industriale, tale che portasse a poter competere con le potenze democratiche.
Ecco, “Siori e siore”,le “masse”: buoi menati al pascolo;
insetti, tanti e intercambiabili, da schiacciare senza pericolo di restarne senza.
Siberia e Gulag epurazioni e purghe, processi sommari per cercare di cancellare i fantasmi dalla mente di un capo completamente rincoglionito, che vedeva nemici dappertutto, a complottare contro l’adesiva ventosa che, sotto il culo, lo attaccava saldamente al potere.
Un proletariato ridotto alla schiavitù, alla miseria e all’imbarbarimento, cui era stato detto e profetizzato che a loro spettava il potere, quando ne avevano nemmeno per avere permesso di andare al cesso.
Tiranni e parassiti, con cui spartiscono capacità nel decomporre, non avendo attitudini simbiotiche, propensione alla reciprocità e allo scambio, tantomeno d’integrazione talentuosa, ove hanno avuto disgrazia di attecchire, ecco l’agonia e la morte di chi li ospitava.
Il loro dio si chiama Odio.
La madre, Presunzione.
Siamo i migliori; il resto: bovini ottusi, portatori di giogo e aratro.
Oggi, la progenie ha cambiato il carapace ma, all’interno di questo, ancora alberga l’animale a sangue freddo, predatore per natura, preistorico per età e riflessi condizionati.
Come per i dinosauri, la caduta della casa genitoriale non li ha del tutto cancellati e sperano di sopperire con il numero delle nascite e a una fortunata lotteria naturale che, ne scampasse solo uno su milioni, permetta di fregare la selezione naturale che gli rema contro.
In fin dei conti, sono i “migliori” e quindi, staffetta ideale per passare testimone.
E poi, sono incistati ovunque, dopo tanta capace e infestante colonizzazione: nelle scuole, nei tribunali, negli uffici pubblici, nei posti dove meglio autocelebrare se stessi.
Tolto la massa tumorale, restano le metastasi, speranza di crescita nel futuro.
Sono tutti uguali, omologati: un Veltroni uguale a un Franeschini, che è lo stesso di Bersani o un D’Alema
Pomposi, tronfi, “tacchineschi”, boriosi e incapaci, sia con la manetta di manovratore che con il “Niet” d’opposizione, marchiato fuoco sulla chiappa.
Estranei comunque a ogni struttura sociale dove stanno, non hanno necessità di portare valore aggiunto, se non al pari di una zecca sul groppone del bue.
Hanno passato vent’anni a cercare la vena giusta per salassare un singolo uomo, il Silvio Berlusconi, superando nell’ostinazione temporale pure i fallimentari” piani quinquennali” dei loro nonni, nel prendersi tanto per agire e confluire in forze su un punto, pensando di poter fare il forellino nella diga, cercandone il crollo.
Con la merda e ai soldi: mira, colpisci ed espropria.
Compiacenti alleati e complici in toga li hanno appoggiati nel passar loro la merda mediatica cui avevano bisogno i “servi” di parte e partito, “cartastraccia rossa” e cassa di risonanza;
all’occorrenza, alla bisogna, per “servizi minori” e di manovalanza (tutto fa brodo), sempre in tema, le fosse biologiche dei centri sociali;
a far da tappo intestinale alla nostra politica, il “Niet”, il “NO”, prestampato, preconfezionato, assoluto, per…partito preso.
No all’alta velocità, alle centrali nucleari, ai gassifica tori, ai termovalorizzatori…no, no, no.
L’importante che la negatività porti al crollo del sistema, perché sperano di spolparne qualcosa, anche le ossa, come fanno gli sciacalli.
Talvolta bastano pochi pirla a mettere nel didietro il tappo al malcapitato e provocarne il collasso.
Non hanno programmi, nessun progetto, nessun coniglio da estrarre dal cilindro, se non da arrostirlo a fuoco lento, dopo aver dato fuoco alla baracca con le Molotov.
Vivono alla giornata, con l'imperativo di abbattere Berlusconi;
del contesto non hanno coscienza e conoscenza.
Un parassita ciuccia e basta, perché gli è stato dato la cannetta per quello e basta, che il cervello sarebbe stato inutile zavorra.
Con la merda e ai soldi: mira, colpisci ed espropria.
In appoggio alla prima, non bastando ad abbattere l’odiato nemico, qualcuno ha pensato di fare come per Al Capone, il famoso gangster italoamericano degli anni trenta: nell’impossibilità di incastrarlo altrimenti, si colpisca nel portafoglio!
Un giudice, uno solo: non un collegio e l’appoggio di un gruppo di esperti, visto l’entità della posta in gioco.
Sentenza di primo grado: un Raimondo Mesiano qualunque, condanna il gruppo di Berlusconi a dare al De Benedetti settecentociquanta milioni di euro!
Sette-cento-cinquanta-milioni.
L'arte “spannometrica” del Raimondino nostro, in quell’ottobre del 2009, era assolutamente fuori da ogni logica economica, ma le toghe già primeggiavano con Dio, nell’applicare vita e morte.
Si rispolverò l’affare Mondadori, di vent’anni fa, che vide alle mani il “Berluska” contro l’”amico della Repubblica”: il Carlo De Benedetti.
Al Silvio gli riuscì di soffiare l’affare al Carletto, che comunque accettò, allora, una spartizione, dove si prese le sue belle soddisfazioni.
Ora però, c’ha l’appoggio del vento divino, dei semidei, dove il nero della veste gemella con il rosso del cuore e il grigio di una vita che può colorarsi, solo ben servendo cause di giustizia, dove i pesi sulla bilancia li può mettere chiunque vesta loro uniforme.
Tanti ne sono usciti, da ombrosi corridoi, per assurgere a quelli grandi e luminosi della politica che, oltre a pagare meglio, stimola orgasmo di ogni Narciso, illuminato da luci e riflettori, portando dalle stalle alle stelle.
Non importa: le galline litigano nel pollaio che va a fuoco, mentre attorno le volpi fanno la posta.
Oggi al Silvio hanno scontato un paio di centinaia di milioni ma, patendo dalla luna, ancora siamo a girare nell’orbita di quella e la cifra rimane folle, incidendo pesantemente nell’assetto di una società che da lavoro a tanta gente.
In Italia.
Fa nulla: l’odio impone che si massacri, oltre ogni ragionevole motivo, il “nano malefico”, che osò rompere il giocattolino gioioso di gente che pensava e con tanta “bauscia”, di avere già in mano il borsino e se lo trovò sfilato di sotto dal veloce piccoletto, che vinse, in libera e democratica tenzone elettorale.
Da allora: con la merda e ai soldi: mira, colpisci ed espropria.
Il loro tanto produrre materiale, ha portato il paese a perdere faccia davanti a chi, non migliore di noi, si è avvantaggiato di tanto litigare, dove tra due, si sa, è sempre un terzo che gode.
Frega ‘na mazza: oggi la lotteria Italia premia il Carletto De Benedetti, lo “svizzero”
Colà ha cittadinanza: da noi arriva solo per le scorribande, come i pirati di un tempo.
Ebbe l’Olivetti, un piccolo gioiellino: la potò al fallimento, assieme ai suoi operai, ma gli riuscì di fare grana;
I disoccupati d’allora lo ricordano bene…l’ingegner De Maledetti!
Gli passò tra le mani l’Omnitel: venduta ai tedeschi della Mannesmann.
A rate.
I crucchi la rivendettero per una cifra immensamente superiore. Senza rate: pronta cassa.
Ma il De Maledetti, comunque, la sua parte d’indigestione se la fece.
Attraverso una delle sue imprese, arrivò a ”sanare” la Domopack: il tempo di mandare a spasso 190 operai e poi, dopo la “disinfestazione”, una bella mancia e via!
E così andare, con scalate, Opa, alchimie e diavolerie d’ogni tipo, dove la priorità era il riempirsi le tasche.
Poi, via, nella sua bella Svizzera!
Non importa: il nemico del mio nemico è il mio miglior amico.
Mi correggo: non è vero che i parassiti non conoscono simbiosi... tra loro, sì.
Avanti, che c’è ancora merda!
Io, secondo me...12.07.2011
domenica 10 luglio 2011
Profili e profilattici
«Datemelo e vi solleverò il mondo!»
C’è chi spacca il capello in due, chi cerca il pelo nell’uovo, chi ce la fa per un pelo o, sempre per quello, ne esce perdente.
I mitici Argonauti di Giasone, per del pelo, un vello di capron d’oro, rischiarono il tutto per tutto;
ma, il migliore, è sempre quello che - si dice - “tira” più di un carro di buoi.
Un filato che ha disfatto trama e destini di re e imperi, fatto scontrare eserciti, provocato liti e guerre ed ha inguaiato persino gli dei.
Cleopatra…Messalina...Madame de Pompadour (!)…quanto del loro inguinale bulbo pilifero ha menato, non solo per il naso, il maschio dominante, il capobranco, condottiero e“arbitro” del destino di moltitudini;
passato alla storia per meriti sul campo, al meschinello riuscì a ottenere vittoria, ma di regale palco e cor(o)na.
No, Archimede non aveva ragione: non è la leva, per principio, ad avere più forza del sottile filo.
«Datemi un pelo e vi solleverò il mondo!»
Nessuna meccanica, anche se celeste, ha mai avuto eguale forza di attrazione dell’esile spaghetto, cui difficilmente sfugge satellite.
Come le sirene per Ulisse o il Bengodi di Pinocchio, l’incanto del crine incanta, carico di promesse da fiaba, dove si vede tutto rosa, dove s’incontra Alice, nel paese delle meraviglie, quello di Alice…Alice Rosa.
Per entrare nel mondo della nostra Alice, non si deve attraversare nessuna porta magica: basta la macchina, una moto, il treno, un mezzo di locomozione a piacere;
San Miniato, nel pisano non è più irraggiungibile della periferia di dove abitiamo, con i mezzi d’oggi.
Anzi, no, che dico…non c’è nemmeno bisogno di spostarsi…se io non vado da Alice…
«Così mi fai venire subito!»
Ecco, basta una cassetta…un videoregistratore…et voilà!
“È venuto a saperlo mia madre”.
‘azzarola…e mò…’so c….avoli amari!
Ah…no…meno male: è solo il titolo della pellicola.
«Mi hanno scoperta!»
E te credo: come avrebbe fatto altrimenti, lo stallone, il pornoattore Alex Magni, a farci “quattro salti in padella”, con la pollastra, se non si spogliava?
Bella spennata, con quell’intrigante mascherina nera, che non è bastata a nasconderla per renderla irriconoscibile: ecco l’Alice, segretaria del locale circolino del Pd, il partito del Bersani, quello dei Savonarola, del talebanismo invocato contro quelli di facili costumi.
L’Alice, povera stella, no, non rientra in questa categoria: il costume non lo aveva, quando nitriva e sbuffava, eccitata, sotto le spinte e le controspinte del duro e delle molle del talamo casereccio, mentre confezionava il porno filmino amatoriale.
Prenderà l’Oscar…poi Mario, Giovanni, Marco, Giulio…sì, di sicuro...l'Oscar.
Questi sono a far la fila, con il numerino, come dal panettiere, per il turno.
Alice è un’attrice…Ruby una escort…Giovannona Coscialunga, una puttana.
I profili saranno pure diversi, ma nel profilattico sempre quello c'è.
Cambia solo la tariffa.
Io, secondo me...11.07.2011
giovedì 7 luglio 2011
Junk box
Una volta c’era il juke box, che ci donava il bello di melodia e suoni;
al solo pensarci, mi prende nostalgia di quei tempi lontani, una struggente malinconia, al ricordo di quel pozzo dei desideri: ci mettevi una monetina, schiacciavi il tasto accanto al brano che volevi, il braccio meccanico artigliava il disco, lo posava ed iniziava l’incanto.
Come per le prime televisioni, anche quel piacere doveva essere condiviso con gli altri e questo favoriva i rapporti sociali, lo stare assieme, il commentare, trame e relazioni, il gruppo, l’anima gregaria della specie.
Altro che iPod, dove in una saccoccia ora ci sta il compendio di un certo numero di quelle melodiose ma ingombranti casse armoniche.
Oggi vai per strada e vedi tanti isolotti galleggianti, alla deriva e menati dai ritmi di quelle cuffiette, che trasmettono e isolano dal resto del mondo.
Passano accanto, gli uni agli altri, si sfiorano e paiono tanti tarantolati: appartati, ognuno con accompagnato dalla propria solitudine, sacchetti di cellule con movimento ameboide, con pareti refrattarie all’osmosi, senza vasi comunicanti.
O forse, colpa mia: non mi sono accorto del mutare dei tempi, che non ho le giuste terminazioni nervose, da agganciare alla nuova presa di corrente. Oddio...vuoi vedere che mi sono trasformato in “matusa”?
‘azzarola!
No...però...un momento...c’è ancora, il juke box...dove ho messo gli occhiali...c’è scritto sul giornale.
Sbagliato.
Junk...ecco: junk, no juke.
Spazzatura...una pattumiera.
“Moody's: si declassa il “rating” del debito sovrano del Portogallo e diventa “junk”!
In parole povere: da schifo, ‘na chiavica a cielo aperto.
Come a mettere i campanellini al piede di un lebbroso.
«Attenzione. Scansate, altrimenti v’infettate!»
Beh, non è il juke box, ma ai poveretti gliel’hanno cantata e pure suonata...e se lo dice Moody's.
E già ma, a ben vedere, “chicazz’è” sto Moody's, che pare la marca di un organo.
Vado a vedere, nella soffitta cranica, dove ancora parcheggia e stagiona un cervellino, sempre più raggrinzito, incartapecorito, somigliante più ad una pallina di carta straccia, accartocciata e pronta per il cestino.
Nell’angolino recondito, ritrovo la pallina grigiastra e la interrogo, come l’indovino con boccia di cristallo.
Una passata con il gomito, una lustratina, un soffio per scacciare la patina di polvere ed ecco...vedo....vedo...le cappellate!
Non sola, ma assieme alle sorelle, Fitch e Standard&Poor’s, tornano i ricordi, di quanto male hanno fatto in passato e le cazzate di famiglia.
Queste Pizie dei tempi moderni, come per quelle di Delfi, consacrate al dio pagano Apollo, vaticinano, interrogano il fegato della gente, interpretano il volo degli uccelli...e fanno spesso la fine del pollo, di cui si conosce l’utilità per carne e uova, ma non il brillare d’intelligenza.
Il mondo si rivolge a loro, per i responsi, come facevano i condottieri con i sacerdoti, per sapere se le guerre che stavano iniziando avevano o no l’appoggio degli dei, e che la vittoria avesse per loro un occhio di riguardo.
Insomma: era come la raccomandazione d’oggidì.
«Il Portogallo...nooo! L’Italia? Uhm...così così...occhio a questo...attento a quello; alla larga dall’altro!»
Standard&Poor’s concesse la tripla “A” a Bernard Madoff...quello della truffa miliardaria a Wall Street.
Bernard sta in galera, ora: deve scontare “appena” centocinquan’anni...dicasi cen-to-cin-quan-ta.
Standard&Poor’s: nessuno.
Nel 2006, la quasi totalità dei titoli erano dati per buoni, con l’avallo della forca tridentina: "AAA".
Come a dire: vai tranquillo, che qui fai un sacco di palanche.
Poco tempo dopo...«Contrordine! Sono spazzatura...junk! junk! junk!»
E che cazzo: sempre voi, maledette sorelle del menga, me le avevate garantite!
«Ci siamo sbagliati, scusate: è stato un errore dio sbaglio.»
Vabbè, ho capito: a qualcuno dei loro tirapiedi, impiegatucci mezzemaniche e mezzecalzette, Fantozzi della finanza, deve essersi incastrato il ditino sul tasto della “A”.
Click...click...click...cancellato...bocciato...nella lista dei cattivi...'un c'ha ‘na lira!
MI ricordano i medici dei campi di concentramento, quelli che, all’entrata, dividevano i nuovi arrivi;
questo a destra...quello a sinistra.
Signori e padroni della vita e della morte, da una parte la camera a gas, dall’altra, la schiavitù, quella dell’"Arbeit macht frei", del lavoro che rende liberi, perché sudi, ti viene il mal di gola e muori.
Le tre sgualdrinelle, Moody’s, Fitch e Standard&Poor’s, ce la danno, l’annunciazione.
Giurano sulla pagina finanziaria, santificano i bilanci e la statistica, la famosa “arte di mentire con i numeri;
la banca Lehman Brothers? 'Nu babbà!
La Parmalat...’nu schianto!
«Ite, figlioli: Ite, missa est...Andate, l'offerta è stata mandata...rien ne va plus, les jeux sont faits!»
Trombati.
I risparmi della nonna in fumo; un’intera vita di lavoro persa sul tavolo, che sarà sempre meno verde delle nostre tasche, dopo aver incautamente dato retta a questi smanettoni, che dei loro “diagrammi a torta” non ci sono rimaste neppure le briciole!
Hanno il potere d’affossare qualunque economia, ogni paese, ogni bilancia commerciale, ogni borsa, d’azzerare chiunque ed ogni cosa.
Quando sbagliano, ballano la tarantella...
«Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto... chi ha dato, ha dato, ha dato... scurdámmoce 'o ppassato, simmo tre sorete, paisà!»
‘ffanculo a soreta!
Suonacelo ancora, zio Sam...il junk box.
Io, secondo me...07.07.2011
martedì 5 luglio 2011
Scaccarabocchi
«Beppe XVI, molla la pecunia!»
Stefano, di cognome farà pure Disegni ma, a dirla in parole gentili, i suoi, più che scarabocchi, sono “scaccarabocchi”;
neppure schizzetti...schifezzetti, ecco.
Meglio di lui, persino i vecchi trogloditi, i “writers” dell’età della pietra, sui “murales” cavernicoli.
Il nostro coevo, invece: vignette da sgorbio, schiacciate da fumettoni densi di parlato, espressione con cui, estroflette il sacchetto biliare e ne rovescia acido.
Niente a che fare, tanto per fare altri nomi, con Vauro che, seppure mi stia sugli zebedei, ha almeno un bel tratto.
Caustico, e sarcastico, talvolta c’azzecca;
gli riesce la satira: di parte, rigorosamente a senso unico, ma di una certa qualità.
Il Vauro Senesi lo invidio e mi piace, vignettisticamente parlando.
Disegni no...da schifo; i disegni con la “d” minuscola, i suoi, intendo.
Lui no: potrebbe anche attirare materna dolcezza, tanto assomiglia, se gli si mette una bombetta in testa, a Stanlio, il comico stecco, compagno del più rotondetto Ollio.
Solo che lo Stefano nostro non fa ridere...anzi.
Il suo “grafoverbo” è intriso d’astio, di cattiveria, di rancore, di...di...odio, ecco: odio al distillato puro.
Forse è solo “Sgarbismo”: quel metodo introdotto dallo Sgarbi Vittorio, di chi utilizza “effetti speciali”, aggressivi e violenti, per annientare l’avversario, calpestandolo con insulti e chiassate tali da rimpicciolirne immagine a vantaggi della propria.
La classica formula, dove si parlerà di te se getti la vecchietta sotto la macchina, non se l’aiuti ad attraversare la strada.
Can che dorme nessun lo nota: quel che morde, sì.
Eppoi, bisogna campare: quello fa e, se qualche altro, meglio dotato, gli fiata sul collo e le sue strisce non trovano pagina di giornale, che magna...‘ndo va...’a fà che?
L’infantile semplicità e il vuoto pneumatico aiutano, nel magro pasticcio di matita.
Illustrazioni certo care al popolo sinistroide, per essere elementari, alla portata di comprendonio dell’ex gioventù rossa, che faceva passerella con l’”Unità” bella in vista...mai letta, ma dava aria d’impegnato, piegata nel modo giusto, come la cravatta, nella tasca posteriore dei pantaloni da proletario, adeguatamente logori e sfilacciati, che facevano tanto bohémienne;
salvo poi tornare a cuccia ed indossare pelle vera, l’abito buono, della festa.
Ah...che malinconia;
ricordo con tenerezza i miei lontanissimi tempi di scuola... e il Fabrizio che, per quanto descritto pocanzi, calzava panno a misura.
Compagno di classe, ma lui, anche estratto di brodo d’altra classe: tessera e partito del Comunista.
Noi arrivavamo con il tramvai: lui, con la mitica “127” rossa, la Fiat che, in mano ad uno studente d’allora - ai nostri occhi, che si andava in bicicletta o con il “cinquantino” - era come la Ferrari d’oggi.
"Okkupava", distribuiva volantini, partecipava attivamente ai cortei contro la guerra in Vietnam, malediva i capitalisti...poi...a sera, finito le “lezioni”, tutti a casa.
Chi dal padre ferroviere, chi dal genitore “Ragiunatt” alla Pirelli, chi, come me, da un meraviglioso papà muratore...il Fabrizio...dal papi imprenditore, con un maglificio a Carpi, provincia di Modena, nella regione che più rossa non poteva: l’Emilia-Romagna.
Un “capitalista” nel cuore del “Poppolo” proletario.
Di “Fabrizio” ne giravano, più di quanto si pensi: belli e bulli che facevano filosofia spicciola, con il culo coperto dalle “mancine” di papà, altrimenti demonio plutocratico e vil borghese.
Il mitico ’68 aveva setacciato, negli anni appena a seguire, a maglie differenti;
da una parte, quelli a cui era riuscito il colpo gobbo, di essere “promossi” alle classi superiori, ovvero, di scavalcare la staccionata e far soldi e carriera nei noduli dell’odiato capitalismo;
altri, rimasti ancora alla cannetta d’oppio e con l’armatura alla Don Chisciotte, a combattere contro i mulini a vento.
Il peggio, a parassitare, confluendo nei centri cosiddetti “sociali”: un crogiolo di ferramenta, di rottami fusi nel cervello, ritornato dall’ammasso, vuoto a rendere: cimitero, discarica e reflusso intestinale del defunto pachiderma comunista.
Altri, nei bassifondi, ad aprire botteghe oscure, dove ancora trovare cimeli di un tempo di sbornie e “venali” pere, dove l’oppio dei popoli non si rivelò essere la religione, che invece ne uscì ringalluzzita e vittoriosa.
Troppo vecchi per tornare sui propri passi, dall’avere imboccato una strada chiusa, eccoli a scavare la roccia, ostinandosi a voler proseguire ancora in quel vicolo cieco, politico ed evolutivo.
Come quei robottini di una volta che, trovatosi davanti il muro, continuavano ad arretrare e poi a capocciare, fino all’esaurimento delle pile.
All’occorrenza, rivestono il muffo e tarlato abito dei bei tempi, come un cavernicolo la pelliccia d’orso;
dal cassetto, i vecchi slogan, preconfezionati, lisi, impolverati, buoni per tutte le stagioni, incartapecoriti come le mummie: frasi trite e ritrite, concetti della complessità di un interruttore della luce...click, acceso...clack...spento.
«Beppe XVI, molla la pecunia!»
Stefano Disegni ricalca lo schema.
«Devolvete tutto, donate ai poveri tutti i vostri beni, vendete tutti gli immobili! Con quello che ricaverete sconfiggete la povertà nel mondo», dice, rivolto ad un Papa da caricatura, attraverso uno dei suoi fum(ett)osi personaggi.
Neppure l’Adriano, il Celentano re dei cretini, è arrivato a sparare simili minchionate.
Anche se Benedetto XVI lo facesse, buttata la goccia nell’oceano, questi neppure l’avvertirebbe.
La semplicità della soluzione, invece, sta proprio nella missione della Chiesa:
“Dai un pesce ad un uomo e lo sfamerai per un giorno; insegnagli a pescare e lo sfamerai per tutta la vita”.
Del resto, neppure la beneamata “multinazionale Comunista” ha fatto questo passo: il distribuire le sue ricchezze ai proletari.
Sotto gli occhi di tutti è rimasto ricordo di quanto si è visto, oltre quel muro di Berlino, dopo che è caduto.
Morte e desolazione, fame e fallimenti, patimenti, torture, deportazioni, anche d’intere popolazioni, pestilenze, epidemie, carestie, catene e botte, dove pure l’Apocalisse di Giovanni impallidisce, al confronto.
Il “grano” nelle saccocce dei capoccioni, la carne nel congelatore...in Siberia.
No, il meteorite famoso non ha estinto tutti i dinosauri.
Qualcuno è giunto sino a noi.
Lo provano i...Disegni, sui muri delle Botteghe Oscure.
Scaccarabocchi.
Io, secondo me...05.07.2011
lunedì 4 luglio 2011
Grilletto di pistola
Rivoluzionari...eroi...campane a festa...
Grilletto salta all’impazzata; pistola, spara a raffica.
Lo Stato di Polizia vacilla, la barricata si sbriciola, lo sbarramento cede, la dittatura trema, dopo aver fomentato disordini e messo gli italiani gli uni contro gli altri, usando le masse come carne da cannone.
Grilletto...pistola...grilletto...pistola...piombo verbale - per ora - contro tiranni e despoti che, alla canna del gas, sono a consumare l’ultimo atto “[...] per salvare le penne di fronte al cataclisma economico prossimo venturo, o la nascita della democrazia in Italia”.
«I black bloc in Parlamento!», urla la nanerottola caricatura del Che Guevara, il Brontolo dei sette.
Quelli che scorrazzavano con bastoni e catene, pietre focaie e combustibile, in Val di Susa, invece: rivoluzionari...eroi...per loro campane a festa, nel nuovo giorno della liberazione partigiana, con duecento “sbirri” all’ospedale.
Prove tecniche di rivoluzione: una “macchina da guerra” che di “gioioso” ormai ha solo il ricordo.
Il Grillo canta, nel vedere le odiate formiche allo sbando.
«Le violenze le ha commesse chi ha sparato i lacrimogeni ad altezza d'uomo!», urlano i devastatori di professione.
Ecchècazzo!
Si difendono pure, quelli schifosi servi dello Stato.
Alla “macchina da guerra” non gli è riuscito di arrivare a tiro utile, per il lancio delle Molotov, che gli veniva da piangere!
Ma i rivoluzionari non si piegano...loro sono gli eroi...din-don-dan...campane a festa infiammano gli stoppini e la benza.
Troppa carne al fuoco;
il cuore del potere non è in quella valletta e i battaglioni armati, nascosti nei “Centri Sociali”, le truppe paramilitari, non devono scoprire le carte e venire allo scoperto troppo presto.
«Contrordine compagni: i tempi non sono maturi. Siamo solo alla P4 e, prima che arrivi il turno nostro, dobbiamo aspettare il 37 e poi - zac! - la P38 l’abbiamo noi!»
Non avevano tutti i torti, povere gioie, a menare le mani: i battaglioni d’assalto erano pronti sin dal 13 aprile, dopo la lettura del Manifesto, grondante”Intellighenzia” del compagno-apparatchick Alberto Asor Rosa:
«Ciò cui io penso è invece una PROVA DI FORZA che [...] instaura quello che io definirei un NORMALE "stato d'emergenza", SI AVVALE, più che di manifestanti generosi, dei CARABINIERI E DELLA POLIZIA DI STATO congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità d’azione, STABILISCE D'AUTORITÀ NUOVE REGOLE ELETTORALI [...] insomma: LA DEMOCRAZIA si SALVA anche FORZANDONE LE REGOLE.»
Sintesi: W il colpo di Stato!
Il popolo è bue, incapace d’intendere e di volere, pertanto le votazioni sono state farlocche; dei dementi hanno fatto numero e non qualità, perché i migliori siamo sempre noi, la ciccia sull’osso.
Forti di tanto ottimismo e rosea visione, scambiando la Val Susa con la Val D’Ossola, eccoli desiderosi di fondare la “Repubblica partigiana della susina”.
Più che campane, sono stati i campanacci a transumare questi rivoluzionari ed eroi, forti della convinzione che Carabinieri e Polizia erano dalla loro, come auspicato da “nonno Alberto”.
A metà tra formiche legionarie e cavallette di biblica piaga, hanno fatto quel che impronta genetica gli ha cucito addosso: il “parassitismo devastatorio”, l’arte di fabbricare macerie.
Oltre che mazziati, pure cornuti, che non solo quel reperto archeologico dell’Asor Rosa non c’azzecca, ma pure i tanti fiancheggiatori si sono spaventati di tanto casino.
Dal mondo politico, ce li hanno tutti contro: Napolitano gli ha dato del "violenti eversivi";
il Pd li ha rinnegati e rigettati e pure Sel e Idv hanno detto di non riconoscerli.
Si sono trovati, calcisticamente parlando, del tutto fuori gioco, che fuori tempo lo sono da un pezzo.
E il povero grilletto, poi...il deserto, attorno.
Click...click...click...grilletto scatta, pistola non spara più cazzate.
«Valsusini eroi: black bloc da arrestare!»
Click...click...click...grilletto scatta, pistola non spara...ci lecca.
Da “Và dove ti porta il cuore” a “Và dove ti porta il vento”.
Da Tamaro a Tamarro.
Grilletto di pistola!
Io, secondo me...04.07.2011
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