martedì 5 luglio 2011
Scaccarabocchi
«Beppe XVI, molla la pecunia!»
Stefano, di cognome farà pure Disegni ma, a dirla in parole gentili, i suoi, più che scarabocchi, sono “scaccarabocchi”;
neppure schizzetti...schifezzetti, ecco.
Meglio di lui, persino i vecchi trogloditi, i “writers” dell’età della pietra, sui “murales” cavernicoli.
Il nostro coevo, invece: vignette da sgorbio, schiacciate da fumettoni densi di parlato, espressione con cui, estroflette il sacchetto biliare e ne rovescia acido.
Niente a che fare, tanto per fare altri nomi, con Vauro che, seppure mi stia sugli zebedei, ha almeno un bel tratto.
Caustico, e sarcastico, talvolta c’azzecca;
gli riesce la satira: di parte, rigorosamente a senso unico, ma di una certa qualità.
Il Vauro Senesi lo invidio e mi piace, vignettisticamente parlando.
Disegni no...da schifo; i disegni con la “d” minuscola, i suoi, intendo.
Lui no: potrebbe anche attirare materna dolcezza, tanto assomiglia, se gli si mette una bombetta in testa, a Stanlio, il comico stecco, compagno del più rotondetto Ollio.
Solo che lo Stefano nostro non fa ridere...anzi.
Il suo “grafoverbo” è intriso d’astio, di cattiveria, di rancore, di...di...odio, ecco: odio al distillato puro.
Forse è solo “Sgarbismo”: quel metodo introdotto dallo Sgarbi Vittorio, di chi utilizza “effetti speciali”, aggressivi e violenti, per annientare l’avversario, calpestandolo con insulti e chiassate tali da rimpicciolirne immagine a vantaggi della propria.
La classica formula, dove si parlerà di te se getti la vecchietta sotto la macchina, non se l’aiuti ad attraversare la strada.
Can che dorme nessun lo nota: quel che morde, sì.
Eppoi, bisogna campare: quello fa e, se qualche altro, meglio dotato, gli fiata sul collo e le sue strisce non trovano pagina di giornale, che magna...‘ndo va...’a fà che?
L’infantile semplicità e il vuoto pneumatico aiutano, nel magro pasticcio di matita.
Illustrazioni certo care al popolo sinistroide, per essere elementari, alla portata di comprendonio dell’ex gioventù rossa, che faceva passerella con l’”Unità” bella in vista...mai letta, ma dava aria d’impegnato, piegata nel modo giusto, come la cravatta, nella tasca posteriore dei pantaloni da proletario, adeguatamente logori e sfilacciati, che facevano tanto bohémienne;
salvo poi tornare a cuccia ed indossare pelle vera, l’abito buono, della festa.
Ah...che malinconia;
ricordo con tenerezza i miei lontanissimi tempi di scuola... e il Fabrizio che, per quanto descritto pocanzi, calzava panno a misura.
Compagno di classe, ma lui, anche estratto di brodo d’altra classe: tessera e partito del Comunista.
Noi arrivavamo con il tramvai: lui, con la mitica “127” rossa, la Fiat che, in mano ad uno studente d’allora - ai nostri occhi, che si andava in bicicletta o con il “cinquantino” - era come la Ferrari d’oggi.
"Okkupava", distribuiva volantini, partecipava attivamente ai cortei contro la guerra in Vietnam, malediva i capitalisti...poi...a sera, finito le “lezioni”, tutti a casa.
Chi dal padre ferroviere, chi dal genitore “Ragiunatt” alla Pirelli, chi, come me, da un meraviglioso papà muratore...il Fabrizio...dal papi imprenditore, con un maglificio a Carpi, provincia di Modena, nella regione che più rossa non poteva: l’Emilia-Romagna.
Un “capitalista” nel cuore del “Poppolo” proletario.
Di “Fabrizio” ne giravano, più di quanto si pensi: belli e bulli che facevano filosofia spicciola, con il culo coperto dalle “mancine” di papà, altrimenti demonio plutocratico e vil borghese.
Il mitico ’68 aveva setacciato, negli anni appena a seguire, a maglie differenti;
da una parte, quelli a cui era riuscito il colpo gobbo, di essere “promossi” alle classi superiori, ovvero, di scavalcare la staccionata e far soldi e carriera nei noduli dell’odiato capitalismo;
altri, rimasti ancora alla cannetta d’oppio e con l’armatura alla Don Chisciotte, a combattere contro i mulini a vento.
Il peggio, a parassitare, confluendo nei centri cosiddetti “sociali”: un crogiolo di ferramenta, di rottami fusi nel cervello, ritornato dall’ammasso, vuoto a rendere: cimitero, discarica e reflusso intestinale del defunto pachiderma comunista.
Altri, nei bassifondi, ad aprire botteghe oscure, dove ancora trovare cimeli di un tempo di sbornie e “venali” pere, dove l’oppio dei popoli non si rivelò essere la religione, che invece ne uscì ringalluzzita e vittoriosa.
Troppo vecchi per tornare sui propri passi, dall’avere imboccato una strada chiusa, eccoli a scavare la roccia, ostinandosi a voler proseguire ancora in quel vicolo cieco, politico ed evolutivo.
Come quei robottini di una volta che, trovatosi davanti il muro, continuavano ad arretrare e poi a capocciare, fino all’esaurimento delle pile.
All’occorrenza, rivestono il muffo e tarlato abito dei bei tempi, come un cavernicolo la pelliccia d’orso;
dal cassetto, i vecchi slogan, preconfezionati, lisi, impolverati, buoni per tutte le stagioni, incartapecoriti come le mummie: frasi trite e ritrite, concetti della complessità di un interruttore della luce...click, acceso...clack...spento.
«Beppe XVI, molla la pecunia!»
Stefano Disegni ricalca lo schema.
«Devolvete tutto, donate ai poveri tutti i vostri beni, vendete tutti gli immobili! Con quello che ricaverete sconfiggete la povertà nel mondo», dice, rivolto ad un Papa da caricatura, attraverso uno dei suoi fum(ett)osi personaggi.
Neppure l’Adriano, il Celentano re dei cretini, è arrivato a sparare simili minchionate.
Anche se Benedetto XVI lo facesse, buttata la goccia nell’oceano, questi neppure l’avvertirebbe.
La semplicità della soluzione, invece, sta proprio nella missione della Chiesa:
“Dai un pesce ad un uomo e lo sfamerai per un giorno; insegnagli a pescare e lo sfamerai per tutta la vita”.
Del resto, neppure la beneamata “multinazionale Comunista” ha fatto questo passo: il distribuire le sue ricchezze ai proletari.
Sotto gli occhi di tutti è rimasto ricordo di quanto si è visto, oltre quel muro di Berlino, dopo che è caduto.
Morte e desolazione, fame e fallimenti, patimenti, torture, deportazioni, anche d’intere popolazioni, pestilenze, epidemie, carestie, catene e botte, dove pure l’Apocalisse di Giovanni impallidisce, al confronto.
Il “grano” nelle saccocce dei capoccioni, la carne nel congelatore...in Siberia.
No, il meteorite famoso non ha estinto tutti i dinosauri.
Qualcuno è giunto sino a noi.
Lo provano i...Disegni, sui muri delle Botteghe Oscure.
Scaccarabocchi.
Io, secondo me...05.07.2011