martedì 21 ottobre 2008

Da Giuseppe a Giuseppe

Caro Giuseppe, mio omonimo e omofono, ti scrivo questa mia letterina aperta, che c'ho un amaro proprio qui, in gola, che ancora non capisco se siamo fessi perché siamo vili, vili per fessi o tutte e due le cose.

- «Li abbiamo uccisi e abbiamo disseminato i resti in tutta la zona; abbiamo lasciato i corpi sulla strada e nei villaggi, a gruppi di due o di quattro, per dare l'esempio alla popolazione».

Sono parole del portavoce talebano Yousuf Ahmadi, in quel di Afghanistan, dopo l'ennesima mattanza di queste latrine bipedi, dopo che avevano sparacchiato su un autobus di persone disarmate, uccidendo pure un bimbo e scannando poi una trentina di sopravvissuti. La traccia di Pollicino, che ha portato a questi poveri disgraziati, è stata il ritrovamento dei primi sei, decapitati;
tra l'indifferenza nostra, che di resti ci premono di più quelli di ritorno, dalla spesa.

Giuseppe, tu sai, come me, che il liquame, dopo essere stato spurgato dalle fosse biologiche in Irak, sta passando ad intasare le fogne afghane, a portare la "lieta novella" e la misericordia di Binallah e Maomettaleban nelle macellerie di casa prima e d'esportazione poi.
Nel trasloco, si sono portati dietro armi e bagagli, manuali e videocassette del loro "maestro unico" e del come si dovrà raddrizzare la schiena alle genti se non si legano al carrozzone e non entrano nel caravanserraglio dei loro deliri.

E già, dimenticavo, caro Giuseppe mio, tu contro questa schiumarola c'avevi già sbattuto il grugno, che del tuo dire non avevano capito una mazza, ma tradotto alla somara, confermando un vecchio detto milanese, magari volgarotto ma sintesi di profonda filosofia:

- «Se fa prima a picaghel denter nel cù che nel cò !»

Non traduco, ma brevemente sintetizzo: è più veloce infilare altrove qualcosa che non entra nella testa.
I nostri vecchi, usi ad economie in tempi di fame, quando non si mangiava con il "dolce stil novo", erano così, a riassumere in poche parole un concetto altrimenti d'arzigogoli e bizantinismi dialettali.

Caro Giuseppe, in questa mia epistola sono a confrontarmi con te, alla pari, se non altro fidando d'essere tutti uguali al cospetto di Dio;
io non ci credo troppo, come del fatto che l'essere a sua immagine e somiglianza sia da prendere alla lettera:
mi pare sacrilega veduta l'immaginarlo con il mio nasone, la fronte spelacchiata, cicciotello che, se entrassi in un campo di grano, i passeri se ne fuggono.

Caro Giuseppe, io e te sappiamo che, se quelli creano metastasi, la nostra testa diventa pallone da calcio e la carcassa pasto per i corvi;
Te, me e i nostri Santi e Profeti ci possono ridere sopra e prendere per i fondelli: i loro quattro gatti, non si toccano.
Prendi la tessera di quel partito e non ne esci più, se non con le gambe allungate e il fiato strozzato.
Anche di noi diranno: «Abbiamo disseminato i resti; abbiamo lasciato i corpi sulla strada e nei villaggi».
Dobbiamo modellare la nostra cultura e civiltà secondo la loro, dobbiamo cambiare arredi di casa secondo l'altra mobilia;
manca poco - ma è questione di tempo - che saremo a fare corsi di "Eurabiarabese" pure nelle nostre scuole, a spostare le nostre feste, a buttare la nostra bistecca, a silenziar le nostre campane, a disporre loro Chiese e Oratori, in cambio di specchietti e collanine e l'ossetto da mettere al naso.
Noi dobbiamo - non devono - adattarci, rassegnarci, piegarci, sottometterci e comportarci con rispetto a tutto questo.
Dobbiamo, perché siamo visti così: servi oggi; schiavi domani.

Caro Giuseppe - ma tu l'hai capito prima di me – costoro non seminano, ma disseminano, resti, porzioni e frazioni.
Di noi. Della nostra civiltà, della nostra cultura, della nostra terra, del lascito dei nostri padri.

Giuseppe, tu sai: che i talebani sono ancora lontani, ma in casa ce ne abbiamo di nostrani;
con i fratelli e gli emuli di Yousuf Ahmadi ci vanno a braccetto, ci vogliono trattare assieme, ci fanno da collettore, per la raccolta di Katiuscia e petarderia varia, applaudono le uscite del nanerottolo, quello che vuole la bombetta atomica per finire l'opera dei forni crematori del baffetto nazista;
Il ComuNazIslam raccoglie e salda rigagnoli di fonti diverse, ma che assieme s'accompagnano alla foce, con stesso denominatore comune che è pratica di terrore e terrorismo.
Affinità...affinità elettive.

Caro Giuseppe, mentre i cristiani nel mondo sono ad essere scacciati e schiacciati, come insetti, il peggio ce l'hai in casa, che molti del tuo abito sono ad ammirare quanto sia più bella l'erba del vicino, quanto più obbedienti e adulatori siano nell'altro giardino;
quanto più disposti a rispondere, ad una jihad-crociata, simbolo a crocicchio tra una luna a mezzo e la scimitarra.
Caro Giuseppe, proprio tanti dei tuoi sono serpi, che del credo e della fede sono a prediligere - tra il malinconico e il nostalgico - i tempi in cui non si dava tanta confidenza al popol bue, che altrimenti - che bello ! – si poteva accender sotto i piedi dei villani un bel focherello !
Vogliamo mica mettere il buonismo, del «Tu sarai con me in Paradiso», invece che «Sia il diluvio, a cancellare gli empi !»
Ovviamente, tali Mullah-porporati, si sentono Noè, mica un pirlotto come il Beppe Fontana, destinato a perire tra i gorghi del loro dio, incazzoso e virile, non molliccio, come Salvatore...Gesù, che, si sa:
l'essere troppo buoni lo si prende sempre in quel posto, e poi ti mettono pure in croce !

Caro Giuseppe...Joseph Alois...Ratzinger; Benedictus XVI, Santità:

Una mano davanti e l'altra dietro, a parare e coprire tutti i fronti.

Mi perdoni la franchezza: è il volerLe troppo bene che mi fa dir le cose fuori dei denti e oltre le righe.

Che il Signore la preservi e ci salvi, Santità:

Beppe di Canossa.


Io, secondo me...21.10.2008

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