mercoledì 15 ottobre 2008

Oggi mi è venuto così...

- «Maledetto guercio !»

Eccomi, vecchio, stanco e malmesso, ormai al capolinea, ripassare e rimuginare il passato...anzi, il "passaggio";
- «Avanti, avanti, gridava lui, l’Annibale Barca...avanti un corno, avrei voluto rispondere; anzi, visto il seguito: una zanna !»
E già, con il Barca e sulla stessa barca, c’era l’intero caravanserraglio: cani e porci...ed elefanti che, alla partenza, i possenti animali da guerra erano ben trentasette !
Tutti, uomini e bestie, in principio campavano di un bene che era una meraviglia: chi sulle coste assolate d’Africa, chi su quelle tiepide e fresche di Spagna;
fino a che il guercio s’incaponì a voler prendere i romani alle spalle, o per il culo, secondo le interpretazioni.
Non se l’aspettavano, questo bisogna dirlo, e la cosa gli bruciò molto.
Dapprima controvoglia, poi contagiato dall’entusiasmo e dalla sfida, attraversai i passi dei Pirenei e i ghiacciai delle Alpi, vedendo compagni cadere nei crepacci, morire per il freddo e gli stenti ed infilzati dalle frecce e dai giavellotti di quei bellicosi montanari, che ci vedevano come neve negli occhi.
Una volta in pianura, m’accorsi con sgomento d’essere il solo della mia gente;
Combattei con il guercio in alcuni dei suoi innumerevoli scontri ma, per le ferite delle sanguinose battaglie nella Pianura Padana - sulle rive del Ticino e della Trebbia - per il cibo a me ostile e il freddo assassino delle italiche montagne, stremato, restai indietro;
Io, Surus, conosciuto anche come Barrus, sedetti e stetti lì, sulle sponde del torrente Ceno.

Il ricordo del clangore delle armi, il pianto e il riso, pian piano si attutì, come il mio udito, così come l’odore del sudore, del sangue e della morte.
Attorno a me passano uomini ed armati, in su e in giù andare, e a loro rubai le storie, attorno ai bivacchi.
- «A Canne, i romani ne hanno persi 50.000»;
attorno al fuoco, si formano le ombre lunghe disegnate dai fuochi, e la conta del massacro è grande, come gli occhi increduli di quelli che ascoltano uno che ha visto quel cimitero, dopo il passaggio del generale cartaginese.
Un altro, che aveva una pezza sull’occhio e una cicatrice, che andava da quello fino alla base del mento, proseguì, insieme parlando e roteando il coltello, dove era infilzato un pezzo di carne:
- «Sul Trasimeno Roma già ebbe una lezione, ma non fece tesoro della forza di Maarbale e della sua cavalleria, come delle fionde e dei sassi dei frombolieri delle Baleari: lì, come a Canne, caddero sotto i veloci cavalli o allineati tra la terra e l’acqua, dove la scelta era morire all’asciutto o annegati, zavorrati al fondo dalla pesante armatura».

Una tosse insistente e sorda scuote i miei polmoni facendo tremare la cassa toracica, come un terremoto con la terra.
Le ginocchia si piegano, che mi sembra di poggiare su tronchi che si spezzano.

- «Hannibal ante portas !»

E bravo il mio guercio, ma sento che non mi riuscirà più di catturare altre storie di lui.

Il tempo che mi è stato concesso fugge, e un poco mi dispiace di non essere riuscito a proseguire cammino e mirabili gesta, però il mio nome è sulla bocca di tutti: Surus, l’ultimo !
la mia esistenza è stata breve, ma intensa, che un giorno da leone è meglio di cent’anni da pecora.
- «Maledetto guercio, grazie: è stato il più glorioso tempo dell’esistere; io, Surus, l’ultimo dei tuoi elefanti, il più valoroso di tutte le guerre puniche, sto morendo per la malaria delle paludi appenniniche, ma furono formidabili quegli anni !»

Ho sonno, sento freddo, come sulle cime innevate; mi sento leggero, come mai prima.
Penso che mi preparerò il giaciglio per un lungo, lunghissimo sonno.

- «Buonanotte, maledetto, meraviglioso guercio !»

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