"Or in azione, m'avvio, a cercar la fonte paglierina dal cui getto scaturì fiamma";
anzi, meglio: m'accingo a legar assieme l'atto del fare con quel del menzionare l'origine della cosa;
un passo in più e s'arriva al nocciolo della questione, che è minzionare orinazione, gesto meno eroico ma viscerale, a far sprizzare fuori cattivi e compressi umori.
E vi spiego quel che diventò guerra solo per mostra di pisello, e come pistola possa uscire non da tasca, ma da coglione; quella e questo hanno faccia di carbone e pur nome: si chiama Ayiva.
Pur vero è che quando scappa, scappa, e nessuna diga, per quanto possente, riesce ad arginare quel che il bacino non ha capienza per raccogliere ma - sant'Iddio! - finanche un cane trova una giusta frasca per salvar faccia e pudende e nasconder vergogne!
Macche: zampillo monta e, al calar di braga, il cannello piscia.
Caso o volontà vuole che, alla finestra del murello di casa, fosse a mirar la piazza volto di giovin donna, che certo non ebbe a gradire quel bel tenebroso mozzicone, e tanto meno il disprezzo con cui la proboscide innaffiava sul suo.
Disgrazia vuole che il marito di lei fosse tra le mura, e il prode Lancillotto, non trovando spada o mazza, e neppur cartuccia a pallettoni, s'accontentasse di tirare al pigro mozzicone una compressa di pallini, riempiendo di pungenti spilletti il moretto salsicciotto.
- «Ahi, che male, fratelli miei: il petto del campione mio si sgonfia, si ritira ed esala respiro!»
Ecco che il telefono senza fili comincia a formare il rosario, perdendo per strada alcuni chicchi ed aggiungendo nocciole al posto dei dispersi, e così, man mano a crescere, da un soffio portare l'uragano.
- «L'hanno ammazzato, l'Ayiva...no, anche un altro...sono morti in due, no, in tre...quattro!»
Ecco che dai pallini si passa alle balle, e tanto a raccontarne che dal sassolino s'arriva alla valanga, che il rotolare al basso degli istinti può solo raccattar per strada di che far massa e scaricarne la furia.
Ayiva e il suo plin-plin ha solo dato goccia per far traboccare il vaso.
Uno...cento...mille: la rabbia monta, accavalla, accatasta, raccoglie assieme spranghe e taniche di benzina, animi infiammati e braccia nervose, a rovesciare macchine, bastonar vetrine e crani, che è facile individuare il bianco e farlo diventare nero.
Or però ecco che s'applica la legge, non quella dell'arma, ma la terza, della fisica la parte dinamica, il terzo principio, che dice:
"Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria", e il bastone e la spranga cambiano campo, ed è il nero a divenir più nero, facile a trovare nel campo bianco.
E tutto per un rigagnolo di piscio, che nessuno avrebbe pensato veder nascer da liquido fiamma.
A nessuno piace veder la propria casa devastata, ma nemmeno all'altro averne cura e lavorarvi per ricever paga da fame da tanto servizio, a dover dimorare in tuguri e topaie e ricevere umiliazioni, insulti ed esser trattati peggio del cane di quelli a cui si offre per poco il tanto proprio sangue, sudore, lacrime e fronte per gli sputi.
Errore fu il rispondere con il randello, per difendere, del prode Ayiva, l'onta del pisello;
attenzione però pure ad ignorare che dignità dell'uomo deve sempre essere rispettata, in chi per noi lavora, non da servo ma da aiutante, a sporcarsi mani e spezzar schiena per salvare le nostre.
Giusto è conoscere e sapere, avere un nome con cui chiamare l'altro, sapendo di lui però che ci è amico e non che in patria era malvivente e non perseguitato, fuggito per non ricevere giusto castigo e ricominciare altrove la carriera di delinquente.
Questo è imperativo, per un'equa società dell'accoglienza, che il garantire sicurezza vuole obbligato l'uso del setaccio, a far sì che solo la buona farina, e non quella del diavolo, sia ad impastare il pane del giusto, che non è come ingoiare rospi per forza, per rassegnazione o per impotenza.
E allora ben venga, che l'Italia non è razzista o xenofoba, anche se tanti cercano di far chiasso usando quello dell'albero che cade piuttosto che far udire il fruscio dell'erba che cresce.
Io onoro, rispetto e m'inchino davanti a chi attraversa in lungo e in largo il mio paese, a raccattar, secondo orto e stagioni, aranci e clementine, mandarini, limoni, mele o patate, talvolta a campare con un tozzo di pane e dormire sotto le stelle pur di mandare qualcosa a casa, per chi laggiù aspetta da loro, come una nidiata la madre, che torna con il cibo.
E sono a disprezzare quanti di bipede forma, ma di quadrupede bestialità, sono a cavalcare l'onda della miseria e della disperazione per propri fini;
così per la malavita organizzata, che li vorrebbe neutri attrezzi da lavoro;
e una sporca "politicanza", che li userebbe da grimaldello, per forzare le cerniere di una democrazia che li ha cacciati;
o fessa raccolta di braccianti, da trasformare in sicari, da dedicare al dio di una religione di morti, becchini alla ricerca d'animi decomposti da esplodere in casa d'altri, a piantare tombe e cimiteri nel mondo.
L'Egitto dei fratelli - quelli musulmani - oggi ne mena vanto e bandiera, pronto a navigare sul piscio di Ayiva per marcare territori fuori del loro, che di quei poveri disgraziati non frega nulla, tanto che ne hanno fatto transfughi, ben lontani dall'avere idea di tornare da tanto "parenti-serpenti".
Disposti a chinare la testa da noi, piuttosto che vedersela rimbalzare in terra natia.
L'Egitto dei miei stivali, che ce l'ha con l'Italia per come ha trattato i musulmani, che gioca a scimmiottare democrazia in vece nostra, dove vige "[...] una campagna d'aggressione e violenze, subita da arabi immigrati e minoranze arabe e musulmane" e necessita di "[...] misure necessarie per la protezione delle minoranze e degli immigrati".
Quelli che vorrebbero appellarsi alla comunità internazionale, a che intervenga sulla questione della «discriminazione religiosa, razziale e l'odio contro gli stranieri "[...] per evitare che questo tipo d'incidenti si ripetano in futuro", fanno di peggio a quelli di nostra fede, che se contiamo i morti che c'hanno fatto, viene da chiedersi se hanno parlato a testa in giù, guardandoci negli occhi e dando fiato ad altra uscita, che non fosse di bocca.
Per quanto dura, nessuno da noi sgomita per prendere il primo aereo che li riporta in patria, che se l'età di Roma è finita, pure quella dei grandi Faraoni sta sotto la sabbia, come la testa di tanti str... struzzi cairoti!
E tutto sto casino, solo per un'orinazione!
Io, secondo me...12.01.2010