giovedì 21 agosto 2008

Ciaparatt

- «AAAAAAaaaaarrrrrrrgh cameriere, guardi: c'è un capello nella minestra...che schifo !»

Una cosa del genere è l'incubo d'ogni ristorante, che per tenere alta fama e prezzi deve giocare sull'immagine, qui più che mai legata ad un pelo, più che al filo.
Certo che la casistica annovera di tutto, che il bagnetto nel piatto dove si mangia l'hanno fatto in tanti, del mondo d'insettilandia: mosche, moschini, mosconi e formiche, ragnetti, moscerini e ognuno di quelli che hanno scambiato la pozza per una piscina.
Per uno come me, nato in cascina, felicemente partorito da padre e madre che vantavano ascendenti tra il contadino e il montanaro, convivere con questa insetteria è cosa normale: ripesco o sposto il malcapitato da quel che è mio e continuo il pasto.
Certo riconosco che, in un mondo divenuto più asettico e schizzinoso, l'avversione e la reazione verso assalti ed intrusioni di questi sgambettanti o alati personaggi, è spiccata.
Grazie a Dio siamo a questo livello, che vuol dire abbondanza e pasti assicurati;
altri paesi, altri sfortunati, non possono permettersi il mangiare con i guanti, una posata per ogni occasione, la cristalleria secondo la bevanda, i piatti a misura e mostra del contenuto, il tovagliato fantasioso e la compagnia d'altri piccoli e meno piccoli compagni di scodella, al pari costretti a dividere poco e il nulla: dove spesso manca la sostanza, figuriamoci la forma;
anzi, alla broda, se ci casca il piccoletto ronzante è meglio: alla sciacquatura s'aggiunge un poco di companatico.
La sicurezza di cibo caldo, certo e ricco ci fa guardare con fastidio all'ennesimo documentario su chi muore di fame, dei bambini scheletriti, con l'addome gonfio e le mosche che ruotano, satelliti del pianeta "ancheogginonsimangia".
La tavola per noi è imbandita, con attorno gli amici, ognuno con la sua razione, impasto d'ingredienti selezionati, che quel che non ne fa parte è visto come gli ebrei nei campi di concentramento: da evitare ed eliminare, anche se sono stati appena grigliati e sfornati.
Nell'altro campo, gli sfigati della storia, nati nel momento e nel posto sbagliato, sono a dividere il pancotto in un mondo dove anche gli insetti sono risotti all'osso e usano le zampe come il poveretto le mani, per pescare nel vuoto di una scodella che di pieno c'ha solo il fondello.
La via di mezzo, tra questi reietti e noi, si vede in tanti paesi del Sud-Est asiatico o dell'america latina, dove, il mangiare cavallette arrostite, formiche grigliate, cagnotti in salsina, lombrichi in guazzetto, è ritenuto prelibatezza, memoria forse di tempi in cui si doveva fare di necessità virtù.
Molta di questa gente non lo sa, ma sono spesso vittime di una scommessa.
Una volta era la fatalità, il destino avverso, una carestia, una pestilenza, una stagione più arida, meno umida o troppo fredda, ad ammazzare raccolto e gente: la morte e l'uomo giravano a braccetto, giocavano la partita con il fatalismo e la rassegnazione d'essere mezzo ed oggetto di trame, filato ed ordito del caso, del fato o del destino.
Ognuno recitava ruolo e parte rispettando il copione che gli era capitato, restava o usciva dal gioco per i capricci della fortuna e della natura, in un mondo dove anche la scienza afferma che il caos ha delle regole e basta
"il piccolo battito d'ali di una farfalla per provocare un uragano dall'altra parte del mondo".
Oggi, quel battito è una battuta, una leggera pressione sul tasto d'invio della tastiera di uno scatolozzo elettronico, e un messaggio: "Scommetto che sale" o "no, scenderà".
Cosa ? Qualunque cosa: il mais, la soia, il cacao, il caffè, le aringhe...
Il granturco, vale una scommessa, andrà alle stelle, letteralmente a ruba: serve per produrre biocarburanti.
No, non lo dice l'indovino, a predire, guardando nella sfera di cristallo, l'avvenire;
il futuro oggi si legge "future": è mercato, scommessa e azzardo, il profetizzare, più che presagire quel che si vorrebbe che sia, per il proprio portafoglio.
Chi "gioca", muove carta, che spesso è maggiore il virtuale sul concreto, ma questo basta a dirottare risorse a sfamare la "finanza creativa" piuttosto che la creatura, l'uomo che invece crepa di fame, non potendosi più permettere di pagare cifre gonfiate: lui sarà "game over".
La mia macchina andrà a granturco e la michetta costerà più dell'oro, mentre la nuova scommessa sul riso toglierà quello dalle bocche di altri, sia come nutrimento che come segno esteriore di serenità.
La bolla speculativa ha bisogno di sempre più aria, per tenersi gonfia, altrimenti il crollo dei prezzi porterebbe gli investitori alla bancarotta;
è la vecchia logica del cerino, che passa di mano in mano, sicuri che uno si scotterà:
scommettiamo che non saremo noi ?
Sotto le guglie della madonnina, della Milano meneghina, quando qualcuno tira per le lunghe, cincischia inconcludente, lo si apostrofa con un sonoro:
- «Va a ciapà i ratt !» vai a perder tempo rincorrendo i topi.
Altrove invece la cosa rappresenta una soluzione al crepare di fame al rialzo del prezzo dei cereali e del riso, che anche di poco si rivela disastroso, per chi vive con un dollaro al mese.
- «Mangiate i ratti !»
In uno degli stati più poveri dell'India, il Bihar, le autorità hanno rivolto quest'appello, senza per nulla voler fare dell'umorismo.
Leggo il trafiletto:
"Vijay Prakash, appartenente al dipartimento del welfare state locale, ha sostenuto che così facendo si evita che divorino il grano, aumentandone le riserve [...] così come del riso da alimento, pure lui saccheggiato dai voraci topi, nei campi e poi nei depositi";
e, continuando a scorrere le righe:
"[...] il ministro delle caste, il signor Jitan Ram Manjhi, mangia la salutare carne di ratto fin dall'infanzia e ne propone il commercio pure nei ristoranti e nelle mense pubbliche, quale fonte di proteine a poco prezzo".
Fino a qualche decennio fa sostituire gli alimenti più cari con il menù topesco, nei momenti difficili, era abituale.
Con il crescere del benessere e la lotta al sistema delle caste l'abitudine era diventata impura e messa da parte.
- «Cameriere...Ooooh, cameriereeeee: c'è una massa di pelo nella minestra...che schifo !»
Ora, che ritornano i tempi delle vacche magre e in varie parti del mondo si tira la cinghia, mangiando cani, gatti e lucertole, perché no delle grasse pantegane ?

Almeno, fino a quando il mercato dei "Future" s'accorgerà della nuova bolla speculativa;

- «Scommettiamo ?!»


Io, secondo me...21.08.2008

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