Dall’orbita periferica si entra a Milano da Viale Forlanini, lasciando alle spalle l’Idroscalo, specchio d’acqua voluto dal regime fascista per far da galleggiante agli idrovolanti;
oggi, dopo l’addio a quei sogni di gloria, siamo ad ospitare solo bagnanti del fine settimana, che non possono permettersi di meglio e s’accontentano del surrogato, come l’acqua di cicoria al posto del caffè, nei tempi grami.
Proseguendo nella traiettoria d’avvicinamento alle mura, ecco sfiorare l’aeroporto di Linate, una volta mèta di famigliole che portavano i bimbi ad ammirare quei ronzanti calabroni svolazzanti, che s’alzavano o s’adagiavano sulle piste: ora non più, declassato a scalo secondario e distratta curiosità di passaggi frettolosi.
La veloce carrellata porta alla fine di quel lungo rettilineo, a rallentare ed arrivare, quasi solo sulla spinta, a ridosso del ponte della ferrovia.
L’infausto calcolo delle probabilità, sempre al servizio della sfortuna, quasi mai permette di affrontare con agilità e superare d’effetto la somma dei nodi di semafori, che disciplinano l’intricata matassa di vie, altrimenti difficoltose da superare senza rischi, tanto s’avviluppano e s’intralciano l’una con l’altra.
Quello stare a cavallo, a ridosso, quasi a volersi scavalcare, parafango contro parafango, viene ad interrompersi, aprendo larghi varchi, pronti ad essere subito riempiti al via libera.
è solo l’inizio di una lotta di scaltrezza e malizia, condite con un pizzico d’azzardo, a cercare d’evitare l’immancabile presidio dei mendicanti e lavavetri che, furbescamente, sfruttano quello ed altri colli di bottiglia, ad assediare le automobili ed esasperare la pazienza del contenuto acciocché scuci, rassegnato e sconfitto, l’agognato obolo.
Questo è il primo di tanti filtri che si frappongono e s’impongono al voler prendere uso della città.
Dalla percezione s’arriva alla certezza del dover affrontare quello che promette d’essere solo il capo di un lungo filo, a seguire un tortuoso percorso di guerra;
messa a riposo l’auto, ormai d’intralcio entro i bastioni, si è rincorsi e circondati dalle seconde linee: i nonni !
Si dice siano pensionati dei paesi dell’Est, rastrellati e arruolatati a frotte, caricati, scarrozzati e scodellati all’interno di un ben definito confine, che disegna la precisa fascia d’attività, data in concessione dal caporalato della questua.
Guai a sovrapporsi, oltrepassare la zona cuscinetto, l’esigua striscia di terra di nessuno: ad ognuno un lavoro e questo la sua gente !
è una lotta sotterranea e invisibile, legge dei vasi comunicanti sconosciuta ai più: disciplina per chi domanda più che lascito all’offerente.
Come per i cinesi della centrale Via Paolo Sarpi, anch’essi hanno un’autonomia di fatto che, sempre più, porta a giustificare e pretendere concessioni di diritto !
Neanche a pensare di poter passar oltre e cercare d’uscirne incolumi - salvando nervi e monetine - volendo andar per rotaia: eccoti il suonatore di violino, piffero o fisarmonica - spesso a sfilare in sequenza - pronti a straziare i timpani oltre che a violentare la musica: non vogliono l’invito a proseguire, ma la ricompensa per cessare la tortura !
E quelli che sembra prolifichino sulle carrozze, quasi queste fossero incubatrici ?
“Sono bimbo di famiglia numerosa…papà non ha lavoro, mamma è ammalata…nonna è in agonia e nonno è da seppellire…”, e via, che sembra abbia da stampare l’intero stato di famiglia !
S’arriva nel centro della metropoli - più o meno provati - per subito inciampare sullo zingarello con il cucciolo di cane - da gettare appena cresce - che ha capito quanto gli occhi del peloso novellino sono d’ammorbidente per il pietroso cuore e il grasso portafoglio di quanti sono riusciti - duri e puri - a superare le altre falangi, usando la baionetta del cinismo e dell’indifferenza.
Nel mentre, mamma e sorelline svolazzano e fan danzare scialli e sottane, coperte per quel gioco di prestigio dove sparisce il polposo portafoglio, per poi riapparire altrove con il ripieno da bolla di sapone !
Finalmente un attimo di respiro, facile ostacolo da evitare e scavalcare: il branco, la somma del Punkabbestia e i suoi tanti cani, che fanno da materasso, coperta, famiglia, fratellanza, tribù e tante altre cose, come il coltellino multiuso dell’esercito svizzero.
Ma questo era solo un ostacolo passivo, una specie di boa da doppiare;
sotto le guglie del Duomo t’acchiappa quel sorriso smagliante, abbacinante nel contrasto con la pelle scura, il luccicore simpatico del fantasioso e intraprendente negretto, che propone dei libercoli striminziti, d’una semplicità infantile, che parlano di un mondo a noi alieno e lontano: uno dei tanti cavalli da battaglia dei “Vu cumprà”.
Questi in genere fermano vicino a chiese o case editrici d’oggetti e generi religiosi.
Appena s’imbocca il colonnato di Via Vittorio Emanuele - dalla Rinascente fino a Piazza San Babila - ecco a dover serpeggiare tra ambulanti e venditori d’imitazioni, dalle borse agli orologi mentre, frammisti, siamo a dover scansare la cinesina che vende il fularino o il suo compagno che fa trottare, tra i piedi dei passanti, simpatici e inutili pupazzetti danzanti oppure propone il tatuaggio in caratteri cinesi e lo stesso per il nome, scritto su cartoncino.
A punteggiare questo eterogeneo mercato, ecco i ritrattisti, bravi, ma non tanto da eguagliare i rimpianti “Madonnari”, maestri del gessetto nel raffigurare l’arte sacra, sulla volatile tela del selciato, sostituiti dai graffittari, che alla terra hanno preferito i muri e al gessetto la bomboletta di vernice.
In via d’estinzione ma inevitabile, ecco incontrare la cassettina povera con accendini e portachiavi, prima d’imboccare Corso di Porta Venezia e sfilare per Corso Buenos Aires: qui è il regno di venditori d’ombrelli - quando piove - occhiali da sole, cappellini e guanti di lana di stagione o incensini, statuine orientaleggianti, talvolta radioline o svegliette.
Per chi si fosse lasciato alle spalle la passerella del lusso di Via Montenapoleone e Via della Spiga, sarà come percorrere la Via della sfiga, l’abbacinate povertà di un mondo che non vive ma sopravvive d’espedienti.
Parallelo a Corso Buenos Aires, se ci s’inoltra, ecco un mercatino povero che, se non fosse per il veder tanti poveri pensionati a loro mischiati, sembrerebbe d'essere in un subùrbio arabo: tanti sono gli immigrati che s’accostano ai banchetti, a comprare pane e companatico, la stessa michetta che, venduta nell’isolato a fianco, è esposta in vetrina sotto il riflettore, con presentazione e prezzo pari agli ori nella bacheca del gioielliere.
Tante case e casermoni nelle viette più spoglie e defilate, sono stipate, riempite fino all’eccesso, da famiglie d’immigrati, a trasformare in modo speculare la geografia del sociale, che attorno tende a riflettersi.
I dialetti sono dei più svariati tranne quello milanese, quasi assente o imbastardito da chi lo ricorda poco, cancellando così, pian piano, regole e grammatica.
Oltre Piazzale Loreto, per chi volesse proseguire, ci si troverebbe a ripercorrere a ritroso quanto fin qui vissuto, trovando in aggiunta macellerie islamiche e Döner Kebab, per lo più turchi, ma arte di cucina che appartiene anche ad Egitto, Marocco, Tunisia, Libano e Siria.
Monumenti e Storia, ricordi e malinconie, palazzi, giardini, personaggi: tanti e tanto ancora ci sarebbe a dire degli ori di famiglia della metropoli meneghina.
Oggi, anche questa è - sarà - Milano: uno spaccato, tanti stampini che andranno a timbrare, senza annullare, una città che, se non nuova, ne uscirà diversa !
Io, secondo me...30.08.2007
giovedì 30 agosto 2007
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