venerdì 31 agosto 2007

Storia di..casa

Ad onor del vero bisogna ammettere che, da sempre, ha quell’intrigante e inquietante fascino di mistero, tanto da trasmettere un’agitazione - una piccola scossa - solo ad appoggiare lo sguardo, a sfiorarla, sia pure nel veloce passar oltre.
Intorno, la vita scorre frenetica - il palpito di questi tempi - che, al suo confronto, è il rivivere la favola della corsa tra la lepre e la tartaruga;
I fotogrammi scorrono veloci, come nelle vecchie pellicole dei film comici del cinema muto: i bambini fanno danzare le dita sui tasti dell’ultimo giochino, che disegna i personaggi sullo schermo digitale, mentre c’è chi scarica merci davanti al negozio e il fattorino parte sgommando, a far le consegne con il furgoncino del pane, e tante serrande s’alzano stridendo, ad incominciare un’altra laboriosa giornata, nel mentre le massaie escono come formiche operaie, alla ricerca di che preparare tra il pranzo e la cena.
Lei no.
Sembra sospesa nel tempo, in una bolla, che un folletto birichino ha soffiato fuori da un'altra dimensione: visibile, isolata da un’impalpabile membrana, sottile ma invalicabile.
Un poco, diciamocelo pure, è fuori moda, così stridente con le vicine;
loro: più colorate, più curate, meno scialbe, con una personalità prepotente, una pelle giovane, frutto di un’esistenza di poche primavere.
Lei no: graffiata dal sole, con quel vento che, con l’accarezzarla, l’ha sfiorita, così come l’acqua, il freddo, la neve e il ghiaccio, per arrivare a quel secco che, con l’arsura, ne ha inaridito il bel viso, facendolo screpolare anzitempo.
Non è una vecchia zitella, bella sì in gioventù, ma ormai avvizzita: è una casa !
Ci viveva una vecchietta, che il passar degli anni la incontrava sempre più curva, con una ruga in più, una piega che si contava, come gli anelli di una pianta, un poco più lenta e sempre più assente, quasi che il corpo, correndo, fosse andato più veloce del pensiero, rimasto indietro.
Nella bella stagione sferruzzava e, man mano, si vedeva prender forma una manica, il collo, un’altra manica…invero, non era veloce, ma forse era la vecchia Penelope, che tesseva e disfaceva, nell’attesa di qualcuno che se n’andò troppo presto.
Sedeva sul più alto dei tre gradini, che in alcune parti erano sbrecciati - come se un animaletto avesse tentato di sgranocchiarli - con la schiena appoggiata alla stinta e scrostata porticina d’ingresso.
Questa, con le due finestre ai lati, disegnava la linea di un mesto sorriso, mentre le altre due sopra, con le antine sempre chiuse, erano occhi di uno che pisolava, con quel naso sbarazzino, tratteggiato dalla lunga finestra che dava sul balconcino stretto, a formare le tonde narici, tanto che pareva sentire russare.
Il faccione tondo tradiva ancora il vigore di quei muri fatti ammassando pietre l’una sull’altra, grandi nello spessore, ampie quando distese.
Qualcuno pensò di cercare d’abbellire e ricoprire con il belletto quelle forme ma, come se l’attempata casa n’avesse avuto a male e si fosse dato uno scrollo, ecco che, in più punti, la vernice s'alza, si stacca e si gonfia, sfarina e scompare, riportando alla coriacea pellaccia.
Nella fantasia dei bambini d’allora, quando la signora sola era nella mezza età, sembrava loro fosse la strega, che entrava in un mondo abitato da orchi e uomini neri;
ora, adulti, con non poca malinconia e un principio di lacrima subito richiamata, passano mormorando una preghiera per quella che fu invece una fata buona, ormai volata via, nel regno della magia.
Tanti sbirciano dalla finestrella sul lato in ombra, l’unica che permette di vedere oltre il vetro che, scoperto da quell’anta marcia come il rugginoso cardine, ha ceduto, lasciando ampio spiraglio.
Filtrato da quella lente, incrostata dal velo di polvere, ecco s’intravede la vecchia stufa, con il piano di cerchi concentrici che si spostavano a far posto alle forme più o meno generose delle pentole, che sopra si facevano sedere;
e la caldaietta a lato, per sfruttare il calore ed avere sempre acqua bollente per cucinare o farsi una tisana.
Accanto, il lavello, di quel granito grigio e grossolano, ma ampio e funzionale: sul piano, una scodellina rovesciata, con una sbeccatura che sembra un neo messo per vezzo, alcune posate senza stile, fronzoli e orpelli, giusto per fare il loro dovere e basta.
Un vecchio grembiule appeso: scuro, con tanti fiori dipinti nelle sfumature del grigio.
Un asciugamano, una saponetta che sembra un mattone, con la base incollata, appiccicata come una vongola allo scoglio;
nel mezzo della cucina, un piccolo tavolo - che a star in quattro bisogna essere magri - con un piano di marmo d’infima categoria o qualcosa che gli assomiglia.
Il piccolo cassettino centrale a far da nido alle posate e, a far da compagnia, la scanalatura, ad ospitare il mattarello per tirare la pasta.
Appoggiata ad una delle pareti, una màdia, un cassone rettangolare, dove conservare farina, lievito e altri generi alimentari.
Ancora: un piccolo armadio e una credenza, a contenere piatti e bicchieri, bianchi i primi, trasparenti e neutri i secondi.
Il mondo vecchio di una vecchia signora, dove lei aveva imprigionato i giorni e i ricordi dell’intera sua vita.
In un piccolo angolo discreto, alcune fotografie ingiallite e quasi cancellate, ma non per gli occhi di chi ha memoria.
Appesi con delle puntine scolorite, un poco accartocciati o lì lì per cadere, alcuni disegni di mano infantile, così come per la scrittura che inizia con una tremula, gigantesca, incerta e sofferta grafia: “Cara nonna…”.
Basta, non si può andare oltre a rubare nell’intimo, a scavare nell’anima, e subito lo sguardo se n’esce, come improvvisamente risucchiato via, a ritornar per strada.
Fuori, fissato, defilato, quasi se chi l’ha messo provasse vergogna, un cartello: “In vendita”.
E già: il teatro della vita cambia attori, a raccontar un'altra storia, a rappresentare un mondo diverso.
Quegli antichi muri, sotto la nuova pelle, hanno ancora tanto da raccontare, ma solo per chi avrà orecchie da elfo, gli occhiali dell’immaginazione, la bacchetta delle fate e l’animo del bambino che sa, lui solo, che il mondo delle fiabe esiste. è là che s’incontrerà ancora la nonnina, a sferruzzare per fare un’altra maglia.

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