venerdì 31 agosto 2007

Piccoli universi

Sarà un capriccio del caso, l’inestricabile disegno del destino o banale necessità, a far sì che s’abbandoni una strada per l’altra;
Il rapido scarto, a preferire quel vialetto - unico varco nella cancellata che abbraccia le alte fronde - sembra una nave che cerca la sicurezza del porto, ad abbandonare la burrasca di fuori.
Ecco lasciar alle spalle il serpente d’asfalto, fumante di calore, che affida all’aria storia di suoni - talvolta acuti, altrimenti grevi - stridore di gomme e mugugnare di motori, imprecazioni, voci ed urla, brusii, insulti e malauguri, bestemmie al buon Dio e ai Santi in cielo, furberie, malizie, infrazioni e l’intero e collerico repertorio nell’abitare una scatola mobile.
Tutto s’allontana, si smorza, si spegne, rallenta e riparte, con diverso tempo, in altro spazio;
Dapprima la nuova via ci porta in un ampio spiazzo, dove il sole - disegnando con la luce e cancellando con le ombre - dona la pace e cheta l’ansia del cuore, nel vedere l’anziano che getta il pane agli amici con le ali che, riconoscenti, donano la frescura del battere d’ali, a rubarsi l’un l’altro mollica e briciole;
poco innanzi ecco chi divora parole di giornale e altri, a consumare un frugale pasto, sbocconcellato avidamente nella breve pausa di lavoro.
D’attorno - spesso a sconfinare tra erba e calpestar di fiori - si rincorrono altri cinguettanti passerotti: bimbi ancora spensierati, intenti a contendersi l’immancabile palla, mentre i caduti piangono rumorosamente, a richiamar soccorso di mamma.
Nel sollevar polvere, ecco aggiungersi alla gioiosa brigata l’abbaiare e l’inseguire di un giovane cane, felice d’aver trovato altri cuccioli con cui giocare, mentre poco discosto un altro peloso personaggio ringhia il disappunto d’essere disturbato da tanti piccoli, molesti ed irriverenti monelli.
Come le dita di una stessa mano, ecco che quel sentiero riprende, distendendo le affusolate dita, chi da una parte, chi dall’altra, per poi - richiamando i fili della ragnatela - tornare a chiudere le porte di quegli universi paralleli.
Il tempo d’esplorarli tutti, il narrare dei suoi cammini, ci vuole preparati ad un finale non sempre lieto.
Ecco che, da una parte, sembra condurre al nulla, un nido di bambagia erbosa, che pare un segreto convegno tra frondosi cespugli e secolari ceppi, rugosi e colmi di stagioni, un ripensare malinconico alla verde età.
Diverso è l’altra traccia, dove l’oscurità di una selva è pietoso velo, a nascondere dei tossici, fermi in un quel vicolo chiuso, accerchiati da siringhe, cartine, puzzo di vecchi e recenti bisogni;
preservativi di prostitute, che occupano lo stesso spazio in altro tempo : larve, che mai diverranno Effimere, ma lo stesso condannate a breve stagione, bruciando all’istante giorni e respiri.
Talvolta si rinuncia da subito all’ingresso che quelle diramazioni graffiano in quel mondo vegetale: si avverte una fine sgradevole, come a trovarsi improvvisamente al cospetto di un’entità ignota ma scontrosa, acida e rocciosa, emergente da un letto di rovi e spine.
Quasi inevitabile invece, sul percorso che porta alla fontanella, incocciare con il barbone, attorniato da quel poco di suo in involti, pacchi, un carrellino, stracci e cenci, untume d’avanzi, mozziconi e cicche di sigaretta, raccolti gelosamente in una piccola scatoletta di latta.
Per lui è come un lavatoio: l’avaro filo d’acqua basta per pulirsi; chissà cosa, chissà come.
Come per i drogati, che si credono per un istante in Paradiso, per tutti quegli sfortunati la fine di quel passaggio porta al bàratro: l’ultima spiaggia, ad arenare disgraziate carcasse, mentre per noi è solo un proseguire di passi.
Defilato a questi e a noi, con discrezione, in altro luogo - raccontato dalla nostra strada - dorme l’immigrato - o un gruppo - con sistemato accanto la modesta mercanzia.Questo ed altro racconta la strada - così come parlano muri e pietre, case e città - a chi sa e vuole ascoltare, chi sempre ricerca nuovi percorsi, a trovare nuove anime: le tante vite che questa avvicina.

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